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Intervento dell’On. Paola Binetti nel corso della Seduta n. 405 della Camera mercoledì 1 dicembre 2010

 

 

Trae spunto dal suicido di Mario Monicelli (avvenuto il 30 novembre 2010) e tocca il tema della solitudine dell’uomo e dell’eutanasia.  


Signor Presidente, da un lato mi associo a quanto detto dall'onorevole Veltroni, nel quadro che ha tratteggiato del regista che ha forse espresso il senso più profondo di un'italianità umile e ricca di valori, capace di assumersi le proprie debolezze che ha rappresentato sullo schermo, facendoci sorridere dei nostri limiti e, probabilmente, spingendoci anche ad una sorta di autocritica costruttiva. Non credo però che si possa assumere ora questo episodio, ovvero la morte di una persona anziana e sola, come era in questo momento Monicelli. Egli aveva interrotto i rapporti con i familiari e con gli amici. In un convegno sugli anziani tenutosi ieri qui alla Camera, nella sala della Mercede, Pupi Avati è intervenuto raccontando un antico rapporto tra lui e Monicelli, nella solitudine e nella paura del buio, che lo stesso Monicelli aveva, e di questa rarefazione della qualità dell'amicizia e della qualità del sostegno.

Monicelli è morto solo, perché lo abbiamo lasciato solo e perché lo hanno lasciato solo i suoi amici. Quel gesto di disperazione è un gesto di solitudine, maturato in un ospedale, un grande ospedale romano, dove era ricoverato per problemi di tipo probabilmente clinico, urologico. Forse, non ci si è accorti di quanto era depresso, non ci si è accorti di quanto fosse profondo questo senso di smarrimento esistenziale. Tale evento deve richiamare tutti noi ad un modo diverso di intendere la medicina, di accogliere il malato e ad una capacità di guardarlo non soltanto per quella che è la patologia, ma anche per quella che è la solitudine di uomo. Non si può approfittare della disperazione di un uomo, che - è vero - aveva tra l'altro come stigma della sua vita il suicidio di suo padre, e non si può trattare di questo per fare uno spot che sia pro eutanasia. Per piacere, finiamola! Finiamola! Questi sono uomini disperati, non è un gesto di libertà! È un gesto di solitudine, di smarrimento e che condanna tutti noi.  

Credo che ciò vada detto con grande chiarezza e fermezza, anche rispetto a tutte le vicende che si sono susseguite in questi giorni alla televisione. Basta con il credere che morire sia una forma di libertà, perché qualcuno non ti dà una mano! Credo che noi dobbiamo trovare in questo una diversa sfida alla vita, ad andare incontro a chi soffre, a chi è solo, e ad andare incontro agli anziani

 

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