L'Italia del Sud è come la vecchia Germania dell'Est: per cambiarla ci vogliono gli stessi metodi.




Ha ragione Angelo Panebianco quando sulle pagine del Corriere della Sera il 26 Ottobre u.s., scriveva: “C’è in alcune classi dirigenti del Sud (politici, intellettuali, imprenditori, professionisti) una sorta di complesso di inferiorità psicologica e culturale verso gli omologhi del Nord del Paese, solo così si spiegano frasi del tipo «lo Stato ha abbandonato il Sud » “.
Gli do ragione perché questi stessi “campioni del piagnisteo” che si lamentano sempre, nulla fanno per cambiare le cose, continuando nel loro esercizio quotidiano di disfattismo e pessimismo.


Ha ragione ancora una volta Angelo Panebianco, quando nello stesso articolo afferma che “i 60 anni di democrazia non hanno portato doni al Mezzogiorno “. Ma ha ragione perché le politiche economiche del Mezzogiorno volevano solo un Sud assistito. Al Sud non doveva esserci sviluppo autentico per tutti, ma solo per il ceto medio e per i cortigiani delle corporazioni, degli apparati e della politica, che si dovevano ingrassare e che non si dovevano lamentare. Anzi!
Il resto della popolazione invece doveva emigrare per diventare forza lavoro necessaria a sostenere il boom economico di quegli anni nel nord-ovest del Paese. Orbene, non si può pensare che 60 anni di assistenzialismo non abbiano inciso negli usi, nelle abitudini e negli stili di vita della gente del Sud.
L’ assistenzialismo è un cancro culturale che uccide i neuroni e sviluppa una capacità mostruosa nell’evitare le fatiche e i sacrifici e nel ricercare il facile guadagno.
Quando la Germania festeggiò il decennale della sua unificazione il 3 Ottobre dell’ anno 2000, la felicità non sprizzava nei tedeschi. Dopo due lustri di investimenti i panzer teutonici infatti si sentivano quasi frustrati per i pessimi risultati che avevano fin lì raggiunto.
Ma non si arresero! Sapevano che dovevano cambiare una mentalità che, per caratteristiche antropologiche, si modifica solo dopo tempo.
E così continuarono gli investimenti in infrastrutture sotto la stretta regia dello Stato Centrale; investimenti che ad oggi ammontano a 1300 miliardi di Euro, mentre da noi si sta ancora a discutere della fondamentale Catania-Ragusa o del Ponte sullo Stretto.
Oggi, dopo 20 anni di cura da cavallo, la ex Repubblica Democratica Tedesca ha festeggiato il ventennale della sua unificazione con risultati da capogiro. Per esempio, ha visto crescere il PIL del 163% rispetto al 49% dei Lander dell’Ovest. 
Altra statistica: nel 1990 nelle Regioni orientali servivano 78 ore di lavoro per realizzare l’ equivalente di 1000 Euro di produzione; oggi ne servono 28,6 contro le 22,3 delle Regioni dell’ Ovest.
Sulle infrastrutture abbiamo già detto.
Come si vede il divario si è quasi annullato, ma con una formula tanto semplice quanto efficace: i soldi dovevano andare in infrastrutture e non in assistenza.
Nulla è mai casuale: “le Nazioni non nascono ricche, diventano ricche “.
Ecco perché servono nuove e durature politiche di sviluppo per il Sud. In questo non possiamo accettare le parole di Panebianco quando sempre nel suo articolo fa trasparire la separazione in due Stati, fra Nord e Sud.
Ed ecco perché Tremonti dichiara: “la ricreazione è finita“ (cioè basta soldi a gogò); e […] ”l’ Italia è Paese, che per quanto abbia un’economia duale, non vogliamo che venga divisa “.
Proprio in questo senso dobbiamo lavorare! Non possiamo arrenderci al rischio che l’Italia perda la propria unità, come invece qualche politico volpone, sia del nord che del sud,  dichiara al fine di fare facile propaganda o per curare i propri interessi.
Qui in Sicilia, noi dobbiamo semplicemente imitare quanto hanno già fatto i tedeschi. 

Alessandro Pagano