Venerdì, 29 Marzo 2024


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Intervento dell'On.le Alessandro Pagano al Convegno sul Federalismo Fiscale

 Convegno sul "Federalismo Fiscale"

Intervento dell’On.le Alessandro Pagano

Gentili Signori e Signore, Onorevoli Colleghi, Autorita’,

poco fa il caro amico e collega Renato Farina ci ha spiegato che il popolo lombardo ha sempre mal digerito lo stato centrale e unitario così come ci è stato consegnato dalla Modernità.

Mai parole furono così sagge al punto che, da siciliano sottoscrivo quelle ragioni e introduco la prima parte del mio intervento, quello di natura storica, improntandolo sulle medesime motivazioni, a dimostrazione che il problema del federalismo non nasce e non è sostenuto solo a certe latitudini, ma è una esigenza reale e concreta anche della Sicilia e quindi di tutto il Paese.

Il Regno delle Due Sicilie, prima dell’Unità d’Italia, era uno stato florido: ebbe la prima linea ferroviaria di tutta la penisola, il primo ponte sospeso e una flotta mercantile tra le più importanti del periodo. Fra tutti i regni annessi al nuovo Stato, il Regno delle Due Sicilie portò in dote nel matrimonio impostogli, milioni in oro pari al doppio di tutti gli altri. Il processo che portò all’Unità d’Italia non fu altro che una guerra di conquista del Sud, infatti lo Stato Unitario depredò il patrimonio, non solo economico ma anche culturale, della Sicilia e del Meridione, con l’introduzione di numerosi provvedimenti:

  • venne introdotta per la prima volta la leva obbligatoria che teneva i giovani lontani, per ben sette anni, dalle loro famiglie e dalle loro terre da cui essi traevano ogni sostentamento;
  • si procedette all’esproprio dei beni ecclesiastici e alla soppressione di molti ordini religiosi, dimenticando che, a vivere di quei beni, non erano solo i sacerdoti, ma decine di migliaia di famiglie che sopravvivevano grazie alla carità elargita dagli stessi;
  • vennero create nuove imposte e inasprite quelle esistenti; alle imposte statali si sovrapposero quelle provinciali e comunali. Si introdusse la tassa di successione, sconosciuta sino ad allora e le imposte sulle registrazioni, sulle ipoteche, sulle concessioni.

Lo Stato unitario imposto con la forza nel 1861 ha determinato, prima ancora della spoliazione economica, la dispersione di una parte rilevante delle inestimabili ricchezze culturali del regno, creando dal quel momento la cosiddetta "Questione Meridionale" che non esisteva prima del 1861. Ne è prova l’emigrazione siciliana, e più in generale meridionale, che iniziò proprio dopo l’Unità d’Italia. Per sfuggire alle persecuzioni e alla fame molti contadini emigrarono nel settentrione d’Italia ed in molti stati esteri. Per il Nord Italia questo fu una risorsa continua di forza lavoro a basso costo.

Dopo gli anni ’50 lo Stato cercò di rimediare e risarcire il Sud affrontando la "Questione Meridionale" con una politica di ingenti aiuti economici "a pioggia", destinati prevalentemente a fini non produttivi, contribuendo così a determinare la scarsa specializzazione delle attività del Mezzogiorno e la diffusione dell’assistenzialismo e del clientelismo. Fu un patto scellerato fra il Nord, ricco e bisognoso di forza lavoro, e il sud, dominato da una "borghesia compradora" attenta soltanto alle proprie istanze personali ma non certo a quelle dei cittadini. Erano gli anni in cui Pasquale Saraceno, il più importante economista degli anni ’50, ispiratore di tutte le politiche economiche di quel trentennio, sosteneva che "gli interventi dell’economia privata potevano essere solo complementari rispetto all’economia pubblica in un contesto sottosviluppato come quello del Mezzogiorno". Non si aveva alcun interesse a far decollare il Sud perché le braccia e i cervelli dei giovani meridionali dovevano servire a sostenere il miracolo economico del Nord. Questa è la mentalità che si aveva allora e questo è il motivo per cui i divari economici e culturali fra le varie aree del Paese assolutamente in vantaggio del meridione prima del 1860, da quel momento in poi si sono invertite al punto di diventare macroscopiche. Da qui la necessità di un federalismo capace di valorizzare i territori.

La seconda parte del mio intervento sarà invece di natura tecnica.

Se infatti tutti siamo convinti dell’ineluttabilità del Federalismo, la domanda carica di attualità è: che tipo di federalismo fiscale dobbiamo immaginare? Questo è un problema che dobbiamo affrontare da subito.

In atto noi abbiamo un sistema di prelievo che vede imposte erariali di competenza dello Stato, fatte salve le quote di partecipazione riconosciute alle Regioni.

Domani avremmo invece imposte erariali il cui gettito sarà di competenza delle Regioni fatte salve le quote di compartecipazione riconosciute allo Stato.

Quindi una filosofia e una prassi organizzativa completamente differente, dove contemporaneamente dovranno coesistere, almeno così si esprime la Bozza Calderoli, almeno quattro sistemi di prelievo fiscale:

  • Imposte erariali a favore dello Stato (con compartecipazioni a favore di Regioni ed EE.LL);
  • Più imposte regionali che possono essere istituite a livello centrale;
  • Imposte regionali direttamente gestite dalle Regioni;
  • Imposte locali gestite dagli EE. LL. (le cosiddette "tasse di scopo" utilissime per alzare il livello di responsabilità di cittadini e amministratori).

Orbene con questo tipo di organizzazione forse avremo uno Stato federalista, ma certamente avremo anche un livello di complessità gestionale, da parte dei vari enti pubblici molto elevato.

Probabilmente il livello di confusione del contribuente sarà altrettanto elevato.

Inoltre, lascio immaginare quanto costerà tutta questa nuova "torre di Babele fiscale".

Quello che invece la logica ci suggerisce è che la rivoluzione fiscale in senso federale non si fa moltiplicando i centri di prelievo fiscale e impositivi bensì invertendo i flussi di cassa.

Ritengo che tutto dovrebbe rimanere nelle prerogative esclusive dello Stato centrale che ha già organizzazioni, metodo ed esperienze.

Il contribuente non si dovrà nemmeno accorgere della nuova rivoluzione fiscale perché tutto dovrebbe realizzarsi in termini di flussi finanziari fra lo Stato Centrale e le Regioni.

Le differenziazioni di aliquote rispetto alle aliquote standard, le esenzioni, le compensazioni, e così via, diverrebbero oggetto di una gestione interna della nuova Agenzia delle Entrate. Direi, con termine moderno, una gestione in back – office.

Vedremo nei prossimi mesi se questa proposta avrà gambe per camminare.

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