Venerdì, 29 Marzo 2024


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Intervento dell'On. Alessandro Pagano alla Camera dei Deputati sul rilancio dello stabilimento FIAT di Termini Imerese




Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, siamo qui oggi a illustrare questa mozione (n. 1-00349) che rappresenta una preoccupazione da parte del nostro partito e che vuole rappresentare un momento di disagio da parte delle nostre popolazioni, in particolare di quella siciliana. Il problema ovviamente non è soltanto lavorativo, per quanto riguardi una consistente popolazione lavorativa. Si tratta di 1.658 lavoratori e 300 dell'indotto che vedono ormai concretizzare la perdita del posto di lavoro.


Si dice che l'industria automobilistica sia «l'industria di tutte le industrie», per la forte componente di tecnologia che la caratterizza. E un territorio (qualunque tipo di territorio possa essere, a maggior ragione quello meridionale) non può perdere questo tipo di industria. Non siamo, infatti, in presenza di un'industria qualsiasi. Con tutto il rispetto parlando, un'industria automobilistica non è paragonabile, per esempio, con quella che produce condizionatori d'aria o infissi. Dentro questo tipo di attività imprenditoriale e dietro questi processi industriali ci sono tecnologie, ricerca, know-how. Perdere questo tipo di competenze è drammatico per un territorio, perché non è più facile riacquisirlo. Quindi, il problema è ampio e vasto, come dicevo è lavorativo ma anche prospettico; è legato alle dinamiche dei lavoratori, ma anche alle possibilità concrete di rilancio che deve avere un territorio. Noi oggi dobbiamo prendere atto di una serie di situazioni che sono assolutamente complicate. La crisi dell'automative a livello mondiale è un fatto conclamato. Soltanto 45 anni fa i marchi presenti nel mondo erano cinquantotto. Sono passati poco meno di 50 anni e i marchi sono ridotti a 22, però in compenso i modelli di produzione sono passati da 72 a 200. C'è stata, in altre parole, a livello mondiale un'evoluzione o forse un'involuzione che deve essere studiata. Se oggi ci sono impianti produttivi nel mondo che producono in misura maggiore rispetto a quello che il mercato potrebbe assorbire, noi oggi dobbiamo prendere atto che c'è stata un'assenza di disegno strategico complessivo di lungo periodo. Anche la FIAT è stata carente nella strategia complessiva.
Questa prestigiosa industria ha «tirato a campare»: nel breve periodo, per raggiungere gli obiettivi di sopravvivenza, la FIAT raccoglie tutto ciò che veniva in termini di incentivi, di benefici e di provvidenze che lo Stato, di volta in volta, erogava. Alla fine, il risultato è stato quello che è sotto gli occhi di tutti.
Le difficoltà della FIAT di Termini Imerese - a giudicare dalle dichiarazioni del suo management - sono legate alla mancanza di produttività di questo stabilimento oggettivamente, un'auto prodotta nell'impianto di Termini Imerese costa mille euro in più rispetto ad un'auto prodotta in altri impianti. Ciò non a causa dei costi diretti, né per colpa della produttività dei lavoratori, bensì a causa della logistica e delle carenze dell'indotto. Così almeno si giustifica l'industria torinese, ma qualcosa in questo discorso non quadra.
Il nuovo approccio aziendale che tanto successo ha prodotto al colosso piemontese, è stato identificato nelle tematiche ambientali e sociali. È stato identificato il corporate social responsibility, cioè la responsabilità dell'azienda verso la propria comunità, uno dei cardini della società. In questa speciale classifica la FIAT è stata giudicata, a livello mondiale, tra le prime del pianeta. Mi chiedo: com'è possibile che il Dow Jones - che realizza ed identifica la qualità sociale e lavorativa e, se vogliamo, anche filantropica di questo tipo di industria nei confronti dei questi territori - abbia contribuito a dare un alto punteggio, uno dei più alti al mondo, anche allo stabilimento di Termini Imerese, che oggi, invece, non rientra più nei piani strategici?
Evidentemente troppe cose non quadrano. Non voglio riprendere argomenti che sono stati già trattati, ma mi sembra di poter dire che vi sono dei fatti assolutamente incontrovertibili. Ad esempio, perché non si utilizza il porto di Termini Imerese, che si trova a due minuti dallo stabilimento e, invece, si continua a spedire il prodotto attraverso altre dinamiche? L'indotto e la logistica, a cui è addebitata grande responsabilità, in verità, non sono stati gestiti bene.
Il sospetto chiaro è che siamo in presenza di una delocalizzazione scientificamente immaginata per portare ulteriori vantaggi all'industria stessa. Per fare ciò, ci si è dimenticati le esigenze complessive.
Le delocalizzazioni cosiddette difensive si hanno - lo dico a me stesso - quando l'obiettivo principale è lo sfruttamento ed il vantaggio di costo in Paesi che, evidentemente, sono più competitivi rispetto a quello in cui vi era l'impianto originario. Il vantaggio di costo è dato da salari, da energie e da servizi migliori: non mi sembra di poter cogliere, nell'esperienza italiana - parlo in modo complessivo - dei successi assoluti. Infatti, oggi, sempre più spesso, si sta tornando indietro. Quindi, se in ambito locale non ci si può permettere la perdita di professionalità, di competenze e di know-how, senza contare che altre industrie, certamente più piccole e meno prestigiose della FIAT, stanno tornando di nuovo in Italia, oggi abbiamo il dovere di ricordare queste cose e di fare pressioni al Governo per fare tutto il possibile, affinché la stessa FIAT non realizzi questo processo vizioso.
Per fortuna, il Governo è stato lungimirante e chiaro. Il Ministro Scajola ha dichiarato senza mezzi termini, non più tardi di qualche mese fa - leggo testualmente - la necessità di aumentare la produzione, perché - così si esprime il Ministro - sei stabilimenti FIAT in Italia sono troppi. Non è possibile che in Spagna si possa produrre il doppio delle auto che si producono in Italia, pur avendo un mercato nettamente inferiore. Se in Italia vi sono produzioni per 700-800 mila automobili e il mercato ne può assorbire più del doppio (quasi il triplo), è evidente che vi è qualcosa che non va. È evidente, che le strategie politiche di questa industria non sono state adeguate rispetto ai contesti complessivi.
Pertanto, giustamente, il Governo italiano ha preso atto di una situazione che non è stata positiva e ha deciso di abbandonare quell'interventismo statale e quella logica degli incentivi che sono serviti soltanto a mantenere un'industria decotta e non adeguata ai tempi. FIAT da tempo, da troppo tempo, è proiettata a continuare le speculazioni sociali, a massimizzare e lucrare i propri profitti e ad abbandonare le perdite allo Stato stesso, cioè a noi cittadini.
Dobbiamo dire basta a tutto questo e, quindi, condividiamo pienamente l'impostazione che è stata data dal Governo. Dobbiamo puntare su ricerca e innovazione: su questo siamo tutti d'accordo, tuttavia i fatti ci dicono che FIAT investe e porta tecnologia in altre aree del pianeta, addirittura in realtà più ricche tecnologicamente, come quella degli Stati Uniti d'America.
FIAT ha dichiarato che il piano industriale dei prossimi cinque anni, da parte propria, sarà di 8 miliardi di euro, 6 dei quali saranno destinati all'Italia. Tuttavia, lo stabilimento di Termini Imerese chiuderà entro il 1o gennaio 2012. Non è possibile che vi sia questa contraddizione in termini. Non è possibile che si continui a speculare, ancora una volta, rispetto ad un bisogno complessivo e ad una massimizzazione dei profitti che, certamente, non può e non deve rientrare nell'ambito delle attenzioni che un qualsiasi Paese civile deve prestare.
FIAT, che riesce ad essere nel novero delle imprese più prestigiose in termini di responsabilità sociale, in verità non si dimostra tale. Pertanto, per forza di cose, abbiamo il dovere di chiedere che gli interventi da parte del Governo siano forti. Sappiamo per certo che questo è già accaduto. Le dichiarazioni del Ministro Scajola vanno esattamente in questa direzione: questo ci conforta e ci consente di essere oggi forti in un dialogo che deve esserci, ma anche in una contrattazione che non può assolutamente mancare.
Dobbiamo chiedere espressamente, e raccontarlo in tutte le sedi quanto è costata la FIAT: sono state più di 200 mila miliardi di vecchie lire, le somme che negli anni, a vario titolo, sono state oserei dire «buttate» (investite, da un altro punto di vista) da parte dello Stato nei confronti della FIAT stessa.
Provo a ricordare dove sono stati indirizzati 220 mila miliardi di vecchie lire (mi riferisco ad un noto studio) aiuti finanziari di qualunque genere, protezioni, agevolazioni fiscali, incentivi, rottamazioni, ammortizzatori. Tutto questo cosa ha prodotto come risultato? Prestate attenzione a questo dato: la FIAT quarant'anni fa, aveva 250 mila dipendenti in Italia, più un indotto che forse era altrettanto, mentre oggi i dipendenti sono 30 mila. In altre parole, avere «buttato» 220 mila miliardi di vecchie lire ha comportato la perdita di 220 mila posti di lavoro. Il dato è drammatico.
La FIAT è riuscita in questi anni ad essere presente sul mercato, e a suo modo competitiva, soltanto perché vi è stato un sostegno, un aiuto vero e concreto da parte dello Stato italiano nei suoi confronti. Ma se lo Stato avesse investito quei soldi a favore della piccola e media impresa, vero asse nodale e vero centro motore della nostra economia, cosa sarebbe accaduto? Potremmo oggi parlare di crisi del contesto italiano. Si sarebbero investiti 220 mila miliardi rispetto a quelle attività produttive che sono tali? Penso proprio di no.
L'Italia, questi regali oggi non può più permetterseli. Fa bene il Governo a dichiararlo ad alta voce. Allo stesso tempo, chiediamo al Governo che gli impegni vengano presi: sentiamo dire che 8 miliardi di euro di investimenti devono essere realizzati nei prossimi anni da parte della FIAT e poi vediamo la chiusura di uno stabilimento, il quale, invece, probabilmente, se adeguatamente e ben gestito, potrebbe dare più risultanze. No, non possiamo che essere consequenziali nel nostro pensiero.
Per questo motivo, come Popolo della Libertà, chiediamo al Governo un impegno ad andare in questa direzione. Chiediamo concretamente quali iniziative esso intenda adottare per far sì che questo stabilimento venga salvato. Vogliamo, altresì, sapere concretamente come la FIAT debba rispondere ai propri impegni sociali. In particolare, chiediamo la realizzazione di iniziative che favoriscano l'innovazione tecnologica legata a questo settore strategico.
Abbiamo già visto i segnali di buona volontà, l'attenzione e la capacità che il Governo stesso ho avuto. Chiediamo ancora di più un impegno e una voce forte nei confronti di questa industria, che tanto ha avuto e che poco ha dato al nostro Paese.

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