Venerdì, 19 Aprile 2024


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Stop alle violenze sulle donne

Fatima S., una donna segregata in casa per mesi dal marito marocchino e dalla suocera è stata liberata dai carabinieri di Calvisano (BS), dopo che hanno ricevuto la segnalazione dall’associazione "Mai più sola" gestito da Acmid - Donna Onlus, fondata e presieduta da Souad Sbai, parlamentare del Pdl.

Fatima, non aveva rapporti con nessuno, non poteva parlare con i vicini, né vedere un medico. Il marito non le passava nemmeno il cibo: mamma e figlio dovevano dividersi le magre razioni che l’uomo dava al piccolo. A salvarla sono stati alcuni vicini di casa, pure loro marocchini, che venerdì scorso avevano sentito le urla della donna e hanno deciso di rivolgersi al numero verde di Acmid – Donna (l’associazione della comunità marocchina delle donne in Italia).

Souad Sbai, presidente dell’Acmid, intervistata da RTB News, emittente TV di Brescia dice «Sono tante, purtroppo, le donne immigrate che, come Fatima, subiscono violenze e costrizioni in silenzio. Mogli, figlie e sorelle che vivono in un limbo: chi segregata in casa, come Fatima, vive nel silenzio, priva di una rete familiare e di amici, e chi, come Hina Saleem, paga con la vita il sogno di una vita diversa. Non smetteremo mai di denunciarle: non vogliamo più donne murate vive».

Un’altra storia sconvolgente è quella di un'altra giovane araba che nel giugno scorso a Piacenza ha simulato un sequestro di persona per sfuggire ad un matrimonio combinato dai genitori con un uomo molto più anziano di lei. Fosse avvenuta in una famiglia meridionale, una storia simile, avremmo sentito le femministe pronunciare le frasi di rito sulla fallocrazia imperante e sull’influenza storicamente misogina che la Chiesa romana ha avuto sui nostri costumi. Invece è successo a una famiglia di immigrati legati alle consuetudini islamiche, e quindi nella sinistra vige la consegna del silenzio e così le paladine delle pari opportunità tacciono.

Le femministe hanno già la scusa pronta per la loro omertà: la colpa non è delle diverse religioni o delle diverse culture, ma del maschio in quanto tale. «Crimini sessisti», li chiamano, e sotto questa voce di comodo derubricarono anche l’omicidio di Hina Saleem, la ragazza pachistana uccisa due anni fa a Brescia dagli uomini della sua famiglia perché "traviata" dallo stile di vita occidentale al punto da fidanzarsi con un ragazzo italiano e rifiutarsi - anche lei - di subire il matrimonio che la famiglia voleva imporle.

Di fronte a queste notizie che vedono coinvolte donne che subiscono violenze e maltrattamenti o semplicemente un’ingiustizia, si ricorre ad un relativismo culturale pericolosissimo e sbagliato soprattutto se si parte dall’assunto che i diritti umani valgono allo stesso modo per tutti, a prescindere dalla razza, dalla cultura, dalla religione, dall’orientamento sessuale. Sostenendo la difesa di culture minoritarie - sostiene Sbai - si giustificano vere e proprie atrocità come la violenza fisica e sessuale sulle donne, l’uxoricidio, la clitoridectomia o infibulazione, o fatti comunque gravi e lesivi della libertà umana, come i matrimoni imposti a figlie minorenni e non, la poligamia, alla quale molti uomini ricorrono spesso, anche nei paesi occidentali, contro la volontà della prima moglie.

Casi allucinanti e non isolati, che preoccupano solo quando si arriva all’omicidio, come per la povera Hina Saleem, selvaggiamente sgozzata e sepolta nel giardino di casa dal padre, o di Khawtar, di Samira, di Bouchra, di Kabira, di Darin, di Fatima e di tante altre che per gli stessi motivi sono state uccise da mariti e parenti.

Si deve aspettare il morto per condannare senza attenuanti di nessun genere questo tipo di violenza? Sono moltissimi i casi di violenza sulle donne simili a questo, i cui colpevoli sono rimasti impuniti o si sono visti riconoscere attenuanti e sconti di pena poiché, a detta di una certa magistratura politicizzata,costoro avevano agito sulla base di convincimenti culturali e religiosi particolari.

Alessandro Pagano

Domenico Bonvegna

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