Ritornare all'essenza dell'Università




Alcune riflessioni in margine alla prossima Riforma Universitaria

Almalaurea, un consorzio gestito da varie università italiane che si occupa di mettere in relazione i giovani fuoriusciti dal mondo accademico con il mercato del lavoro, ha di recente pubblicato i dati sulla situazione occupazionale dei nostri neo-laureati.



Il quadro che se ne trae forse rasenta la desolazione; indipendentemente dal corso di studi e dall’Università frequentata i nostri neo-laureati lavorano meno e hanno periodi di disoccupazione più lunghi rispetto al passato.

Dai dati emerge una media di disoccupazione tra il 21 e il 22%. La crisi economica ha dunque abbassato le loro possibilità occupazionali, ma anche i guadagni di chi ha la fortuna di aver trovato lavoro; il valore medio degli stipendi mensili infatti oscilla attorno ai 1.050 euro. Rispetto al mercato del lavoro americano, in cui su 100 nuovi assunti 31 sono laureati, in Italia lo sono solo 12.

 Volendo studiare il fenomeno da un altro punto di vista, si sappia che l’Italia destina solo una piccola percentuale del suo PIL allo sviluppo del sistema di istruzione superiore (0,80%), seguita in Europa solo dalla Bulgaria. Nessuna meraviglia, dunque, quando sentiamo parlare di “fuga dei cervelli” e di “Paese in declino”.

La questione quindi è davvero seria: il destino e la fortuna di un Paese dipendono essenzialmente dalla qualità delle nuove leve che esso riesce a produrre. La vera speranza di una nazione sono i suoi giovani, ossia la sua potenziale classe dirigente. Se la classe dirigente non nasce, oppure emigra come fa in Italia e in particolare nel Mezzogiorno, la società va a picco ! Ecco perché è importante credere ed investire su di loro. Ma investire sulla Ricerca non basta; bisogna ritrovare il senso più autentico dell’Università a cominciare dal senso di responsabilità. In questo, docenti e discenti sono egualmente coinvolti.

Chi ha il compito di educare deve capire che il proprio ruolo è quasi paragonabile ad una missione e che sta rendendo un servizio all’intera comunità, perciò basta con i professori autoreferenziali. Basta anche con professori e università che hanno perso il contatto con la verità e la realtà; università in cui si studia tanto per studiare, senza affrontare e cercare di risolvere questioni cruciali.

In Italia oggi ci ritroviamo atenei che sono stati risucchiati da uno spirito ideologizzato o in cui ha prevalso il relativismo etico. Il risultato è che le Università, in nome del “politicamente corretto” e dell’indipendenza dalla morale, hanno rinunciato alla formazione e non affrontano più il Reale, magari perché è scomodo, o perché rappresenta tesi minoritarie nel mondo scientifico.

Per esempio perché nessun economista (ad eccezione del Prof. Giulio Tremonti) ci ha detto che la crisi che stiamo vivendo era prevedibilissima, visto che il sistema economico si è a lungo basato su fondamenti assurdi, quali il consumismo, l’indebitamento, le cartolarizzazioni di crediti inesigibili, l’eccesso di mercatismo, lo strapotere delle banche di affari e così via dicendo? O perché nel 2009 si è celebrato il 150° anniversario delle cosiddette teorie evoluzionistiche di Darwin? Sono passati 150 anni, e nessuno straccio di prova c’era allora e nessuno straccio di prova c’è oggi. La cosa strana è che le Università hanno ricordato l’evento non con scoperte scientifiche  ma celebrandolo come un dogma.

Quando l’università rinuncia alla ricerca del Reale vuol dire che sta cedendo il passo alla dittatura impalpabile della tecnocrazia. Come ci spiega benissimo Benedetto XVI nella sua Enciclica Caritas in Veritate, la tecnocrazia è la dottrina, e insieme la pratica culturale e politica, per cui la Tecnica è divenuta essa stessa un potere ideologico. Una forma di assolutismo che afferma che la società deve essere guidata da una èlite che non parla a nome di un partito, o di una classe sociale o di un mandato elettorale, ma che pretende di dirigere i processi sociali in nome di un sapere tecnico, svincolato da qualsiasi limite e non ancorato alla Verità.

Infine, l’Università deve ritrovare la giusta severità per responsabilizzare famiglie e società. L’Università è infatti un lusso enorme. La Famiglia e la Società sostengono costi altissimi per fare studiare i discendi, tuttavia chi la frequenta sempre più spesso non lo comprende, anzi spessissimo i nostri studenti vedono l’Università come un prolungamento della loro vita giovanile, o peggio come un parcheggio in attesa di un lavoro qualsiasi.

Quale migliore sede di questa per affermare la nostra decisa contrarietà ai “bamboccioni” come li ha definiti qualcuno e per ribadire il valore della Responsabilità, della Fatica, del Rigore, dello Spirito di Sacrificio (quello che fa fare agli studenti impegnati le levatacce alle 5 del mattino pur di raggiungere il proprio obiettivo).

Solo su queste basi antropologiche può rinascere la nuova Università italiana.
Alessandro Pagano