Il terrorista rosso Battisti e la lobby mondiale radical chic

 

 

E' così finalmente Luis Inacio da Silva detto Lula, già presidente del Brasile e tutt'oggi vero padrone del grande Paese sud americano l'ha avuta vinta.


Assieme al suo braccio destro, l'attuale presidente Dilma Rousseff (che in gioventù insegnava marxismo e aveva aderito a gruppi guerriglieri comunisti), ha deciso di non estradare in Italia Cesare Battisti, anzi addirittura lo ha fatto liberare.

Cesare Battisti è un criminale autentico, "uomo dal grilletto facile che sotto spoglie politiche e pseudo intellettuali si è mostrato quello che è veramente, un assassino", dice Mario Giordani, e adesso questo signore anzichè essere estradato in Italia per scontare il suo ergastolo con sentenza definitiva, passeggia serafico per le strade e le spiagge brasiliane, mentre i familiari delle numerose sue vittime si interrogano se esiste la giustizia.

Ma è solo colpa del Brasile o c'è qualcosa di peggio in questa terribile vicenda?

Battisti ha sempre contato su una lobby trasversale di reduci del terrorismo; politici e intellettuali dei salotti bene di mezzo mondo che lo hanno sempre aiutato a voler dimostrare che le sue lotte armate erano giuste e da condividere.

Sin dal 1981 quando evase dal carcere di Frosinone, lui militante dei Proletari armati per il comunismo, trovò rifugio in Francia alla corte di François Mitterand che lo protesse per anni concedendo asilo politico a lui e a tanti terroristi nostrani.

Interessante individuare i personaggi che si sono battuti per non farlo estradare in Italia. Intellettuali del calibro di Bernard Henry Levy, Daniel Pennac, e in Italia almeno 1500 firmatari che pubblicamente qualche anno fa hanno sottoscritto un documento a sua solidarietà.

Tutti nomi che gravitano nella galassia dei giornali e delle case editrici della sinistra radical chic italiana e che per questo motivo hanno un potere mediatico e culturale impressionante.

Il rifiuto di estradare Battisti, è un gesto che viene da lontano. Dice Mario Cervi, su Il Giornale del 10-06-2011: "appartiene a una malsana concezione secondo cui anche l’assassinio più abbietto merita particolare indulgenza se viene rivestito di motivazioni ideali, sociali, rivoluzionarie. Prima della condiscendenza brasiliana infatti c’era stata quella francese, e s’era preteso che quello di Battisti fosse un caso politico e magari letterario prima che un caso criminale. Siamo indignati, e la mia domanda è molto semplice: siamo proprio sicuri di poter buttare la croce solo addosso al Brasile senza riconoscere, con un serio esame di coscienza, che alla commedia ipocrita dei benintenzionati cultori della P38, dei compagni che sbagliano, anche noi italiani abbiamo partecipato con slancio?

A ricordarcelo ha provveduto Sergio Segio, condannato qualche anno fa all’ergastolo per l’uccisione di due magistrati e di un agente di custodia. Naturalmente ora egli è libero e ha trovato occupazione nella Cgil, dietro una scrivania (mai che questi apostoli del proletariato scelgano un lavoro manuale). Proprio nei giorni scorsi Segio ha presentato alla stampa il rapporto Cgil sui Diritti Globali 2011".

Queste sono le considerazioni che fa la gente comune e il fatto che i mass media quasi non ne parlino, deve far riflettere anche su chi detiene la leadership informativa e culturale nel nostro Paese.

 

Alessandro Pagano 

Domenico Bonvegna