Alunni copioni e docenti che non pretendono: verso una generazione di somari ?

 

 

E così anche quest’anno, come ogni anno, migliaia di ragazzi hanno sostenuto l’esame di maturità. Sfidando il giudizio di un certo moralismo a buon mercato, il Ministro Maria Stella Gelmini ha rivolto un accorato appello ai maturandi e cioè, in estrema sintesi, “non copiate perché in futuro i risultati delle vostre carriere saranno disastrosi”.

 Le previsioni del Ministro sono più che fondate come dimostra Giovanni Floris nel suo libro di denuncia verso la scuola. Prendere sotto gamba la scuola oggi equivale a far aumentare drasticamente il già basso livello culturale dei futuri manager, avvocati, insegnanti, ingegneri, medici e compagnia cantando, che usciranno dalle nostre scuole. Lo stesso Floris nel suo “La fabbrica degli ignoranti. La disfatta della scuola italiana” conferma la tesi del Ministro, citando il manager strapagato che sprona i propri colleghi a vincere come fece Napoleone a Waterloo, o l’avvocato che scrive “l’addove” con l’apostrofo, e così via. Questa situazione quasi omogeneizzata verso il basso non fa ben sperare per il futuro poiché, se questo è il livello, tra qualche anno potremmo trovare la società italiana “infestata” da perfetti ignoranti, anche se è bene chiarire che, come in tutti gli ambiti, ci sono le eccezioni.

Ma perché la scuola contemporanea “sforna asini” ?  Come afferma Floris, “l’ignoranza ha un prezzo molto alto per un Paese che si ostina a immaginarsi ancora moderno, competitivo e vincente”.

Tante le possibili chiavi di lettura: la scuola italiana è diventata per i docenti una specie di “ufficio collocamento” visto che tranne qualche eccezione da anni non seleziona più per concorso; vi è una quantità enorme e superflua di docenti che complessivamente costano tanto, ma che singolarmente percepiscono stipendi poco dignitosi, al punto che si disinnamorano della loro missione; emerge anche una inadeguatezza delle strutture scolastiche.

Certo, tutti questi fattori influiscono ma siamo sicuri che non vi sia altro? Proverò ad aggiungere un nuovo elemento alla riflessione.

50 anni fa i giovanissimi sognavano un futuro migliore di quello dei propri genitori e l’unico modo per realizzarlo era lo studio; i giovani contemporanei, invece, sempre più sognano un futuro da calciatore o velina, e la scuola non è vista più come il mezzo per arrivare ad una carriera brillante ma come un passaggio noioso per raggiungere il “pezzo di carta”  (in Italia circa l’85% dei giovani è diplomato).

E il motivo principale risiede nel fatto che si pretende poco da loro. Le scuole medie inferiori e superiori non sono all’altezza e comunque sono sin troppo facili. Lo afferma Giovanna De Minico, docente di Diritto Pubblico all’Università Federico II di Napoli “abbiamo la metà di candidati che commettono errori grammaticali che fanno sbigottire. Un errore può capitare a tutti, anche per una banale distrazione, ma quando questo è ripetuto più volte vuol dire che si ignora la propria lingua.”

In effetti perché gli studenti dovrebbero studiare e impegnarsi se alla fine nessuno li costringe ad un duro e faticoso lavoro? L’appello della Gelmini a non copiare quindi non è una banalità purché diventi un fenomeno generalizzato, uno stile di vita scolastico che professori e genitori devono chiedere agli allievi, anzi, che devono pretendere dagli allievi.

Qualche mese fa il mio figlio sedicenne Roberto, che ha studiato un intero anno negli Stati Uniti in Exchange Student, fu scoperto mentre copiava durante un test. I docenti lo giustificarono perché, così dissero, era appena arrivato in Usa e non conosceva bene la lingua e le consuetudini di quel Paese, ma per tutto l’anno scolastico furono con lui molto severi e lo controllarono a vista. Io stesso, da genitore, ricevevo i report periodici, anche sul suo comportamento nei compiti scritti.

Parole di Roberto: “ho faticato per riconquistare la stima dei docenti e (udite udite) dei compagni, ma adesso dico che quella severità è stata per me salvifica ”. A fronte di questo stile di vita scolastico americano i docenti italiani invece hanno quasi mollato la presa. Addirittura si rendono complici degli studenti, come è successo a Bronte, dove un’insegnante di latino, commissario d’esami in una scuola pubblica, è stata scoperta mentre inviava per sms la traduzione del compito assegnato agli esami di stato al proprio figlio, che da studente era impegnato a sostenere lo stesso esame in un liceo di un paese vicino.

In Italia siamo al paradosso che non solo non si istruisce più, ma addirittura si giustificano gli alunni furbastri e in molti casi si risolvono i loro problemi in maniera talvolta non legale.

Un fenomeno tutto italiano che tende a deresponsabilizzare gli studenti. Laddove dovrebbe essere il merito individuale l’unico elemento da prendere in considerazione, subentrano altri fattori, determinati da insicurezza diffusa. Con l’aggravante – se la vicenda di Bronte venisse confermata – di aver rinunciato a quei principi etici e pedagogici che dovrebbero costituire il bagaglio di base di ciascun docente”. (R. CR., La Sicilia, 7 luglio 2011, pag. 44) 

Alessandro Pagano