Documento conclusivo approvato dalla Commissione il 18 ottobre 2011 sulla tutela dei minori nei mezzi di comunicazione

 

 

1. I filoni dell’indagine conoscitiva della Commissione infanzia e adolescenza e il lavoro svolto.

La Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza ha deliberato il 23 ottobre 2008 un’indagine conoscitiva volta ad approfondire la tematica della tutela dei minori nei mezzi di comunicazione.


 

L’indagine nasceva dall’intento di svolgere una ricognizione ad ampio raggio di una problematica che si sta imponendo all’attenzione collettiva e che consiste nella crescente diffusione di nuovi strumenti comunicativi, rispetto ai quali le fasce di età dell’infanzia e dell’adolescenza risultano particolarmente sensibili.

L’obiettivo era quello di verificare il vasto ambito degli strumenti di contrasto allo sfruttamento sessuale dei minori e alla pedofilia, nonché a tutte quelle violazioni o anche semplici lesioni dei diritti dei minori che si realizzano per via mediatica. Contestualmente si intendeva esplorare e studiare le possibilità di informazione e responsabilizzazione dei genitori e degli adulti incaricati di vigilare e assistere i minori, in ordine a tutti rischi derivanti dai contenuti di alcuni prodotti del mercato televisivo, informatico, musicale a disposizione dei minori.

L’impianto dell’indagine conoscitiva si è sostanzialmente impostato su due linee di indirizzo:

a. la tutela del minore nei media, sotto un profilo soggettivo, implica un’azione positiva per favorire una corretta crescita psicologica del bambino, attraverso un’adeguata programmazione televisiva; una selezione dei prodotti mediatici destinati al minore in ragione della loro specifica utilità, valutata esclusivamente in funzione del minore; la valorizzazione del bambino come soggetto sui generis volta a contrastare la considerazione del minore in termini di consumatore attuale e/o futuro; b. la tutela del minore nei media, sotto un profilo oggettivo, implica un’azione di tutela, intesa con riferimento alla difesa della sua intrinseca dignità di persona debole, bisognosa di maggiore tutela, rispetto all’adulto, e si attua esercitando un’azione di protezione dell’immagine del bambino nei contenuti dei programmi circolanti nel vasto circuito dei media che scoraggi pratiche abusive e che salvaguardi la sua dignità come soggetto di diritti autonomi (diritto alla riservatezza, tutela dell’incolumità fisica e psichica rispetto a giochi violenti, messaggi mediatici devianti, ecc.);

Con riferimento a tutte queste problematiche, la Commissione ha audito: il Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; il Sottosegretario di Stato allo sviluppo economico e comunicazioni; la Società italiana di pediatria; il Presidente della Mentoring USA/Italia Onlus; il Dipartimento della sicurezza nei sistemi informatici dell’Università di Tor Vergata; il Presidente del Consiglio nazionale degli utenti; il Direttore scientifico del Centro studi minori e media; il Presidente della Terza Commissione per la censura cinematografica; il Segretario generale dell’Associazione editori software videoludico italiana (AESVI); il Direttore dei Rapporti istituzionali di Microsoft Italia; la Coordinatrice del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e pornografia minorile; il Presidente del Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione media e minori; il Presidente dell’Associazione Telefono Arcobaleno; il Presidente del Centro studi e intervento infanzia violata; il Direttore del Servizio di Polizia postale; il responsabile del settore politiche culturali del Censis; il direttore del Progetto SOS ragazzi; l’exvicepresidente del Consiglio Nazionale degli Utenti e del Comitato TV e Minori; il presidente  dell’Associazione Italiana Psicologi Cattolici.

2. Il quadro giuridico generale.

2.1. La Convenzione di New York.

Ai sensi della legge 23 dicembre 1997, n. 451, istitutiva della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, la Commissione formula osservazioni e proposte sugli effetti, sui limiti e sull’eventuale necessità di adeguamento della legislazione vigente in materia di infanzia e di adolescenza in particolare per assicurarne la rispondenza alla normativa dell’Unione europea ed in riferimento ai diritti previsti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata con legge 27 maggio 1991, n.176.

Premesso che un sano, equilibrato e completo sviluppo mentale, fisico e morale è un diritto del minore riconosciuto dal complesso dell’ordinamento giuridico nazionale e internazionale, la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo rappresenta senz’altro lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia di promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Essa ha costituito, anche nello svolgimento dell’indagine conoscitiva in questa delicata e importante sfera di tutela dei minori, la stella polare dei lavori della Commissione.

La Convenzione detta alcuni importanti principi in materia di tutela dei minori nei mezzi di comunicazione. In particolare, dopo aver definito all’articolo 1 « bambini » gli individui di età inferiore ai 18 anni, essa formula espressamente il principio che il fanciullo, in considerazione della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale, necessita di una protezione di cure particolari. Afferma altresì che la unità fondamentale della società, è l’ambiente naturale per la crescita e il benessere del fanciullo, riconoscendo che il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità, deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, amore e comprensione;

In particolare, con riferimento al tema specifico che è oggetto dell’indagine conoscitiva della Commissione, la Convenzione di New York sottolinea che:

a) nessun fanciullo può essere oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione

(articolo 16);

b) l’educazione del fanciullo deve avere come finalità quella di: favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità; sviluppare nel fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite; sviluppare nel fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali (articolo 29);

c) gli Stati parti riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass media e vigilano affinché il fanciullo possa accedere a una informazione e a materiali provenienti da fonti nazionali e internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale; a tal fine, fra l’altro, incoraggiano i mass media a divulgare informazioni e materiali che abbiano una utilità sociale e culturale per il fanciullo e corrispondano allo spirito dell’educazione cui il fanciullo ha diritto, ai sensi del citato articolo 29; incoraggiano altresì la cooperazione internazionale in vista di produrre, di scambiare e di divulgare informazioni e materiali di questo tipo (articolo 17);

d) gli Stati parti favoriscono l’elaborazione di principi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere, sia pure in considerazione del diritto del fanciullo di ricercare, di ricevere e di divulgare informazioni e idee di ogni specie o con ogni mezzo

(articolo 17);

e) gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica, incoraggiando l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali

(articolo 31);

f) gli Stati parti adottano ogni adeguata misura, comprese misure legislative, amministrative, sociali ed educative per proteggere i fanciulli contro l’uso illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope (articolo 33);

g) gli Stati parti si impegnano a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale, adottando in particolare ogni adeguata misura a livello nazionale, bilaterale e multilaterale per impedire che dei fanciulli siano incitati o costretti a dedicarsi a una attività sessuale illegale;

che dei fanciulli siano sfruttati a fini di prostituzione o di altre pratiche sessuali illegali; che dei fanciulli siano sfruttati ai fini della produzione di spettacoli o di materiale a carattere pornografico (articolo 34).

2.2. La normativa europea.

L’Unione europea riconosce nella protezione dei minori da contenuti nocivi per il loro sviluppo psichico e morale un interesse pubblico fondamentale, nel cui rispetto deve esplicarsi il diritto alla libertà di espressione; tale obiettivo deve essere perseguito dagli Stati membri con l’adozione di adeguate misure, come stabilito dalla direttiva « Televisione senza frontiere » (89/522/CEE) e come confermato dalla direttiva « Servizi Media e Audiovisivi » (2007/65/CEE).

Nel campo specifico della tutela dei minori nei media la Commissione ha adottato il 10 marzo 2010 la direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi). Si tratta di un atto normativo di grande rilievo, in quanto estende le norme di protezione dei minori, precedentemente riservate ai programmi televisivi, ai servizi di media audiovisivi a richiesta in rapida espansione, in particolare su Internet (1).

In particolare, in base all’articolo 9 della direttiva (CAPO III – Disposizioni applicabili a tutti i servizi di media audiovisivi) gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che le comunicazioni commerciali audiovisive non arrechino pregiudizio fisico o morale ai minori, e pertanto non esortino direttamente i minori ad acquistare o prendere in locazione un prodotto o un servizio sfruttando la loro inesperienza o credulità, né li incoraggino direttamente a persuadere i loro genitori o altri ad acquistare i beni o i servizi pubblicizzati, né sfruttino la particolare fiducia che i minori ripongono nei genitori, negli insegnanti o in altre persone, né mostrino senza motivo minori che si trovano in situazioni pericolose. Inoltre, Gli Stati membri e la Commissione sono tenuti ad incoraggiare i fornitori di servizi di media a elaborare codici di condotta concernenti le comunicazioni audiovisive commerciali non appropriate che accompagnano i programmi per bambini o vi sono incluse, relative a prodotti alimentari o bevande che contengono sostanze nutritive e sostanze con un effetto nutrizionale o fisiologico, in particolare quelle come i grassi, gli acidi grassi trans, gli zuccheri, il sodio o il sale, la cui assunzione eccessiva nella dieta generale non è raccomandata.

Il capo VIII della direttiva 2010/13/UE prevede che gli Stati membri adottino le misure atte a garantire che le trasmissioni televisive delle emittenti  soggette alla loro giurisdizione non contengano alcun programma che possa nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori, in particolare programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita. Tali misure si applicano anche agli altri programmi che possono nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori, a meno che la scelta dell’ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minori che si trovano  nell’area di diffusione vedano o ascoltino normalmente tali programmi. Inoltre quando tali programmi siano trasmessi in chiaro, gli Stati membri assicurano che essi siano preceduti da un’avvertenza acustica ovvero siano identificati mediante la presenza di un simbolo visivo durante tutto il corso della trasmissione. Tale simbolo esiste nelle emittenti che hanno sottoscritto il Codice di autoregolamentazione, ma  l’esperienza di lungo periodo dimostra che è del tutto inefficace se non controproducente.

(1) In particolare la direttiva ha provveduto alla codificazione della normativa comunitaria precedentemente vigente in materia, ossia della direttiva 89/552/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 ottobre 1989, modificata da ultimo dalla direttiva 2007/65/CE.

Occorre poi fare riferimento al Programma « Safer Internet 2009-2013 », stabilito con la decisione n. 1351/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, volto a promuovere un uso più sicuro di Internet e di altre tecnologie di comunicazione, in particolare a favore dei bambini, e a lottare contro i contenuti illeciti e i comportamenti dannosi in linea. Si tratta di un documento di rilievo,  ripetutamente citato nel corso delle audizioni svolte dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza.

Tra gli ultimi atti rilevanti adottati dalla Commissione europea spicca la comunicazione recante il Programma dell’Unione europea in materia di diritti dei minori (COM(2011)60), presentata il 15 febbraio 2011, che propone una speciale azione di supporto agli Stati membri, volta a potenziare la prevenzione, a rendere i minori più responsabili e partecipi per poter beneficiare al massimo delle tecnologie on line, e a contrastare il cyberbullismo, l’esposizione a contenuti dannosi e altri rischi connessi alla navigazione in rete, specie tramite il programma « Safer Internet ».

La Commissione europea dedica un’attenzione particolare al comparto dell’industria delle tecnologia dell’informazione e delle comunicazioni, proponendosi di controllare attentamente il processo di recepimento negli ordinamenti nazionali degli Stati membri della direttiva sui servizi di media audiovisivi e promuovendo la cooperazione con l’industria incentrata sulle iniziative di autoregolamentazione

(2009-2014). Tali iniziative hanno infatti lo scopo precipuo di assicurare maggiore protezione ai giovani utenti di telefonia mobile e di social network, anche nell’ambito del sistema di classificazione in base all’età PEGI (Pan-European Game Information) di videogiochi e di giochi on line.

Sul fronte della lotta alla pedopornografia via Internet è di rilievo l’iniziativa della Commissione europea che ha dato vita alla coalizione finanziaria europea contro la pedopornografia in Internet, finanziata dallo stanziamento di 427.000 euro deciso il 3 marzo 2009 La coalizione intende contribuire ad individuare e proteggere le vittime, a localizzare e arrestare i criminali – pedofili e quanti traggono profitto dalla vendita delle immagini – e, soprattutto, a confiscare i proventi di tali attività criminose. Sarà così impedito  l’acquisto di materiale pedopornografico con carte di credito.

Posta sotto la guida del Child Exploitation and Online Protection Centre (CEOP, l’organo di polizia britannico per la tutela contro lo sfruttamento sessuale dei minori) e finanziata dalla Commissione europea, la coalizione è un gruppo informale composto da attori pubblici e privati (autorità di polizia, operatori finanziari, fornitori di servizi Internet, ONG e altri partner) che collaborano alla lotta contro la pedopornografia. MasterCard, Microsoft, PayPal, VISA Europe e l’ONG Missing Children Europe sono alcuni dei membri fondatori della nuova coalizione. Per quanto riguarda l’attività di contrasto, figurano tra i membri fondatori della coalizione Europol e la Polizia postale e delle comunicazioni italiana.

Appare poi utile citare alcune delle conclusioni adottate dal Consiglio giustizia e affari interni del 23 ottobre 2009 nel campo della lotta alla pedopornografia, in quanto esse coincidono ampiamente con alcune delle conclusioni che la Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza ha potuto trarre dalla parte dell’indagine conoscitiva dedicata alla tutela dei minori dai fenomeni di pedopornografia.

Anche il Consiglio ha infatti sottolineato, fra le altre, alcune priorità: assicurarsi che siano sviluppati e definiti i processi d’identificazione delle vittime; attuare un sistema di monitoraggio con il sostegno delle parti coinvolte nei sistemi di pagamento su Internet e ostacolare l’aspetto commerciale di tali attività in espansione; aiutare i fornitori di servizi finanziari (più in particolare le società di carte di credito, le banche ed altri fornitori di servizi di pagamento) e i fornitori di servizi Internet o di posta elettronica a combattere l’utilizzazione illecita dei loro sistemi al fine di acquistare immagini pedopornografiche, promuovendo procedure di governance e modificando opportunamente i termini e le condizioni applicabili; coinvolgere i fornitori di servizi finanziari, le banche e i fornitori di servizi Internet nell’elaborazione di strategie  coordinate, permettendo infine alle autorità preposte all’applicazione della legge di rintracciare ed arrestare i criminali che approfittano della diffusione.

Occorre infine accennare ai contenuti della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale del 25 ottobre 2007 (Convenzione di Lanzarote): entrata in vigore il 1o luglio 2010, è il primo strumento internazionale con il quale si prevede che gli abusi sessuali contro i bambini siano considerati reati. Oltre alle fattispecie di reato più diffuse in questo campo (abuso sessuale, prostituzione infantile, pedopornografia, partecipazione coatta di bambini a spettacoli pornografici) la Convenzione di Lanzarote disciplina anche i casi di grooming (adescamento di minori attraverso Internet) e di turismo sessuale.

2.3. La normativa italiana vigente.

Oltre ai contenuti della Convenzione di New York, che vincola il nostro Paese al rispetto del catalogo dei diritti a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza in essa contenuto, il riferimento costituzionale per il nostro ordinamento è rappresentato dall’articolo 31 della Costituzione, che impegna la comunità nazionale, in tutte le sue articolazioni, a proteggere l’infanzia e la gioventù.

Dell’ampia ricognizione che la Commissione ha potuto svolgere del quadro normativo a tutela dei minori vigente nel nostro ordinamento spiccano punti di forza ed elementi di debolezza.

Tra i primi vengono anzitutto in rilievo le disposizioni di tutela dei minori in relazione all’utilizzo di Internet che sono state introdotte dalla legge 6 febbraio 2006, n. 38, (Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet), che ha a tal fine novellato la legge 3 agosto 1998, n. 269 (Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù). Nel complesso, le norme anzidette hanno avuto il pregio di dotare il nostro Paese di una legislazione all’avanguardia in materia di repressione di fenomeni collegati all’abuso sessuale di minori a mezzo Internet, costituendo ancora oggi una significativa pietra miliare nel quadro giuridico dei Paesi industrializzati avanzati.

In primo luogo, la legge in questione ha istituito (articolo 14-bis) il Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete Internet con il compito di raccogliere tutte le segnalazioni, provenienti anche dagli organi di polizia stranieri e da soggetti pubblici e privati impegnati nella lotta alla pornografia minorile, riguardanti siti che diffondono materiale concernente l’utilizzo sessuale dei minori avvalendosi della rete Internet, nonché i gestori e gli eventuali beneficiari dei relativi pagamenti. È previsto quindi (articolo 14-ter) l’obbligo per i fornitori dei servizi resi attraverso reti di comunicazione elettronica di segnalare al Centro, qualora ne vengano a conoscenza, le imprese o i soggetti che, a qualunque titolo, diffondono,  istribuiscono o fanno commercio, anche in via telematica, di materiale pedopornografico. I fornitori di connettività alla rete Internet, poi, al fine di impedire l’accesso ai siti segnalati dal Centro, sono obbligati (articolo 14-quater) ad utilizzare gli strumenti di filtraggio e le relative soluzioni tecnologiche conformi ai requisiti individuati con decreto del Ministro delle comunicazioni. È in attuazione di queste norme, che è stato successivamente emanato il decreto del ministero delle comunicazioni 8 gennaio 2007, recante Requisiti tecnici degli strumenti di filtraggio, requisiti che i fornitori di connettività alla rete Internet devono utilizzare, al fine di impedire l’accesso ai siti segnalati dal Centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia.  La Commissione ha potuto audire in due occasioni rappresentanti del Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete Internet, costituito presso la Polizia postale, acquisendo un ampio quadro informativo sull’attività svolta da questo settore della Polizia di Stato e ricavando una valutazione ampiamente positiva dell’operato di questa parte delle Forze dell’ordine impegnata a contrastare il fenomeno della pedopornografia via Internet. Con le stesse finalità informative, la Commissione ha anche visitato nel dicembre 2009 la sede del Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete Internet, verificando direttamente la professionalità e l’impegno della Polizia postale nello svolgimento delle funzioni assegnatele per la repressione e la prevenzione di questo tipo di reati. La stessa legge n. 38/2006 ha inoltre istituito (articolo 20) presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità – l’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, cui la legge assegna il compito di acquisire e monitorare i dati e le informazioni relativi alle attività, svolte da tutte le pubbliche amministrazioni, per la prevenzione e la repressione della pedofilia. La disciplina del sistema radiotelevisivo prevede specifiche norme a tutela dei minori. Se la prima legge di sistema (legge 6 agosto 1990, n. 223) poneva limitati e generici divieti alla trasmissione di programmi nocivi (articolo 15, commi 10,11,12 e 13), è stato necessario attendere il D.lgs 31 luglio 2005, n. 177, recante il Testo unico della radiotelevisione, che con gli artt. 3, 4, 34 e 35 ha dato alla tutela dei minori nelle trasmissioni  radiotelevisive un impianto normativo più strutturato.

In particolare l’articolo 34 ha sancito sul piano normativo l’obbligo per le emittenti televisive ed i fornitori di contenuti di osservare le disposizioni a tutela dei minori previste dal Codice di autoregolamentazione Tv e minori. Il Codice, approvato il 29 novembre 2002 (e nel 2007 ridenominato Codice di autoregolamentazione media e minori), nasce da un impegno delle imprese televisive per migliorare la qualità delle trasmissioni dedicate ai minori, per aiutare le famiglie ed il pubblico più giovane ad un uso corretto della televisione e per sensibilizzare chi produce i programmi al rispetto delle esigenze dei minori. Per l’applicazione del Codice è stato istituito un Comitato, formato da 15 membri, nominati con decreto dal Ministro delle Comunicazioni d’intesa con l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in rappresentanza, in parti uguali, rispettivamente delle emittenti televisive firmatarie del Codice – su  indicazione delle stesse e delle associazioni di categoria – delle istituzioni e degli utenti.

Il D.lgs 15 marzo 2010, n. 44, ha innovato il D.lgs 31 luglio 2005, n. 177, ora Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, modificando anche i citati artt. 34 e 35 (Tutela dei minori nella programmazione audiovisiva). Ai sensi della normativa così risultante, sono vietate le trasmissioni che, anche in relazione all’orario di diffusione, possono nuocere gravemente allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori o che presentano scene di violenza gratuita o insistita o efferata ovvero pornografiche, salvo le norme speciali per le trasmissioni ad accesso condizionato che comunque impongano l’adozione di un sistema specifico e selettivo e che vengono consentite tra le ore 23.00 e le ore 7.00. Inoltre le trasmissioni televisive non contengono programmi che possono nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni a meno che la scelta dell’orario di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minori che si trovano nell’area di diffusione assistano normalmente a tali programmi. I film vietati ai minori di anni quattordici non possono essere trasmessi sia in chiaro che a pagamento, né forniti a richiesta, sia integralmente che parzialmente prima delle ore 22.30 e dopo le ore 7.00. Le emittenti televisive, diffuse su qualsiasi piattaforma, sono tenute ad osservare le disposizioni a tutela dei minori previste dal Codice di autoregolamentazione media e minori e ad assicurare misure specifiche a tutela dei minori tra le ore 16.00 e le ore 19.00. L’impiego di minori di anni 14 in programmi televisivi è disciplinato con regolamento del Ministero dello sviluppo economico che, insieme al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, dispone anche campagne scolastiche per un uso consapevole del mezzo televisivo. Alla verifica dell’ osservanza di queste disposizioni provvede la Commissione per i servizi ed i prodotti dell’Autorità, in collaborazione con il Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione media e minori, che può deliberare l’irrogazione di sanzioni amministrative da 25.000 euro a 350.000 euro. L’Autorità presenta al Parlamento una relazione annuale sulla tutela dei diritti dei minori, sui provvedimenti adottati e sulle sanzioni irrogate.

3. Gli esiti dell’indagine aggregati per singoli media. La Commissione ha audito un ampio numero di soggetti pubblici e privati in grado di fornire elementi utili all’indagine: da rappresentanti di organismi privati attivi nel settore della tutela all’infanzia e all’adolescenza, a rappresentanti istituzionali, esperti di nuove tecnologie, professori universitari in materie attinenti alla comunicazione e alle sue problematiche, medici e pediatri. Dall’ampia messe di documentazione acquisita e dagli interventi svolti in sede di audizione sono emerse alcune macro-problematiche:

alcune di carattere per così dire inter-mediale, cioè riferibili a contenuti veicolati da diversi mezzi di comunicazione, contemporaneamente o distintamente (ad es. i messaggi pubblicitari) , altre invece più specificamente riferibili solo ad una tipologia di media e alle sue caratteristiche proprie (ad es. la pedopornografia on line).

Gli esiti che la Commissione ha potuto desumere da questo complesso lavoro di indagine sono pertanto di due tipi: un primo ordine di conclusioni è anzitutto riferibile alle specificità dei contenuti veicolati dai singoli media e in quanto tali sollevano problematiche che necessitano di azioni correttive mirate, spesso anche di carattere microsettoriale; un secondo ordine di conclusioni, comunque derivante dagli esiti predetti, è invece di carattere generale, si fonda prevalentemente sui contributi psicopedagogici resi alla Commissione da esperti del settore e richiama spesso interventi di matrice più prettamente educativa e/o culturale, che possano avvalersi degli apporti più differenziati di tutti i soggetti operanti  nel vasto campo della tutela,  dell’assistenza e dell’istruzione fornite all’infanzia e all’adolescenza (cosiddetta alleanza educativa, v. infra). Il primo aspetto che viene in rilievo nella disamina svolta dalla Commissione investe anzitutto il grado di diffusività dei nuovi media e del mezzo televisivo: il primo dato evidente che coinvolge i media nella loro generalità è infatti rappresentato dall’enorme ampliamento delle possibilità di circolazione di contenuti mediatici (programmi televisivi, immagini, audio, audiovideo, chat, giochi on line) dovuto alla diffusione delle nuove tecnologie di trasmissione e allo sviluppo della convergenza dei media (televisione, Internet, terminali mobili di videofonia). Questo comporta un’enorme facilità per ragazzi e adolescenti di accedere anche a contenuti nocivi per il loro sviluppo psicofisico e morale e un alto grado di invasività (in particolare del mezzo televisivo) nella vita individuale e familiare del bambino e dell’adolescente.

3.1. La televisione.

Partendo dalla televisione, il mezzo di comunicazione più tradizionale (ormai anche il più desueto nella quotidianità e nella vita sociale dei minori, in particolare degli adolescenti), la Commissione ha potuto acquisire una serie di contributi, dai quali sono sistematicamente emersi alcuni nodi critici ricorrenti.

Questi nodi critici riguardano essenzialmente: la scarsa o quasi assente protezione della fascia di programmazione riservata ai minori; il livello qualitativo molto basso dei contenuti della programmazione televisiva, in particolare quella della TV generalista; la necessità di definire efficacemente la funzione del servizio pubblico radiotelevisivo attraverso una rigorosa riedizione e applicazione del Contratto di Servizio; una rivisitazione complessiva del ruolo della televisione in genere affinché diventi da (attuale) veicolo di contenuti spesso dannosi per i minori a portatrice di modelli educativi.

3.1.1. La TV baby-sitter e il ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo.

Il rilievo che assume l’uso della televisione da parte dei minori dipende anzitutto dalla universale diffusione del mezzo televisivo nella popolazione italiana, dalla sua generalizzata accessibilità, soprattutto da parte dei bambini, dalla diffusività e pervasività della sua fruizione nell’ambito della vita familiare e sociale del bambino.

È infatti innegabile che la televisione ha assunto in molte famiglie italiane un ruolo sostitutivo della  comunicazione interpersonale e familiare in genere, divenendo un dannoso accompagnamento dei sempre più rari momenti di aggregazione della comunità familiare. La funzione di supplenza del mezzo televisivo si accentua particolarmente nel caso delle famiglie con bambini piccoli (è risaputo infatti che gli adolescenti ricorrono maggiormente all’uso di Internet), al punto che si parla correntemente di TV baby-sitter. In tutti questi casi la televisione, oltre ai rischi propri derivanti dalla trasmissione di contenuti inadeguati, favorisce l’isolamento fra i membri della famiglia, diventando una  sorta di organizzatore dei tempi e dei  comportamenti del nucleo familiare: in sostanza, anziché costituire un sostegno culturale e uno stimolo allo sviluppo psico-fisico del minore, la TV si trasforma spesso in un ostacolo allo sviluppo emotivo e relazionale del bambino, accentuato dall’alto grado di passività che caratterizza la fruizione della TV generalista.  Una eccessiva esposizione alla televisione da parte del bambino presenta due ordini di rischi: in primo luogo la televisione supplisce (inadeguatamente) alla funzione pedagogica del genitore, che per parte sua abdica ad esercitare un adeguato controllo sull’insufficiente qualità culturale e sui discutibili modelli di  comportamento che la televisione offre ai bambini. In secondo luogo, importanti rischi allo sviluppo psicofisico del bambino derivano dall’esposizione a contenuti televisivi inadeguati, perché violenti o implicitamente sessualizzati (v. infra); dall’assuefazione ad un uso eccessivo del mezzo televisivo; da stimoli emulativi nei confronti di modelli comportamentali spesso narcisistici o fondati su valori effimeri, in ogni caso non scelti consapevolmente dal genitore; infine dalla diffusione di modelli culturali stereotipati che favoriscono l’insorgere di attitudini conformistiche. Gli esperti auditi dalla Commissione hanno evidenziato come il tempo trascorso dai bambini davanti allo schermo televisivo sia di gran lunga eccessivo (si parla anche di 40 ore settimanali). Il primo problema derivante da questa esposizione riguarda il fatto che il bambino, non avendo la capacità di discernere la finzione dalla realtà, interiorizza e assolutizza situazioni fittizie, che possono nuocergli, soprattutto se si tratta di contenuti violenti o inadeguati (v. infra). Oltre a ciò la esclusiva concentrazione sulla facoltà visiva deprime e rallenta il progresso delle altre facoltà cognitive del bambino, senza contare che la semplice quantità di ore trascorse davanti alla televisione sottrae tempo ed energie ad attività culturalmente più stimolanti e sicuramente meno passive, incluse le attività fisiche e relazionali. Appare pertanto imprescindibile un mutamento di orientamento della stessa comunità familiare, una sorta di riconversione alla pluralità degli stimoli che parta dagli stessi genitori, troppo spesso inclini ad abbandonare i piccoli davanti al televisore per mancanza di risorse materiali o culturali.

Quello che pertanto la Commissione ha potuto rilevare è che la questione della tutela dei minori nel mezzo televisivo non può essere affrontata solo sul piano normativo, ma richiede opportuni processi di educazione e sensibilizzazione ad un utilizzo costruttivo dei mezzi di comunicazione in genere (non solo della televisione), in grado di coinvolgere in maniera sinergica famiglia, scuola e gli stessi soggetti in età evolutiva: sarebbe perciò necessario, a giudizio della Commissione, implementare programmi educativo-didattici già nella scuola dell’obbligo, al fine di formare i minori e le loro famiglie ad un uso corretto e consapevole del mezzo televisivo e informatico. Sotto tale aspetto, il principale partner di questa operazione culturale deve essere individuato in una rinnovata concezione del servizio pubblico radiotelevisivo: il ruolo attualmente occupato nel nostro Paese dalla TV pubblica merita certamente in questa sede un approfondimento particolare che comporta una radicale lettura critica e un serio processo di ridefinizione, culturale e normativo, della funzione di servizio pubblico radiotelevisivo.  La televisione italiana, che in passato ha tanto contribuito alla crescita della società civile, alfabetizzando e unificando culturalmente l’Italia, oggi purtroppo presenta livelli di banalità e di volgarità che la collocano al di sotto di altre televisioni europee (2): il divario con queste televisioni in termini di approfondimento e di informazione qualificata si fa sempre più crescente ed è purtroppo un fatto che il nostro servizio pubblico televisivo, anziché stimolare e assecondare una nascente domanda di cultura dei giovani, tende ad ignorarla, indulgendo al ripetitivo e ad una programmazione piuttosto orientata ad un pubblico di età media avanzata, oltre che alle esigenze del mercato pubblicitario. In questo senso la recente esperienza rappresentata dal progetto di monitoraggio della qualità televisiva e di raggiungimento degli obiettivi di qualità della programmazione del servizio pubblico che va sotto il nome di Qualitel ha costituito un primo significativo passo nella giusta direzione, ad oggi tuttavia ancora insufficiente. Nei dibattiti susseguenti alle audizioni svolte sono frequentemente emerse le problematiche connesse alla necessità di una seria e profonda riqualificazione della televisione pubblica, affinché essa sia intesa come effettivo servizio pubblico, rispondente cioè all’interesse della collettività e non ad esigenze di mercato. In ragione di ciò, nel corso dell’indagine conoscitiva la Commissione ha più volte espresso l’intenzione di impegnare il Governo, con gli strumenti di indirizzo a sua disposizione, affinché nella stesura delle linee guida del prossimo contratto servizio della RAI si tengano in debito conto le indicazioni contenute nel presente documento. 3.1.2. Una fascia (poco) protetta: contenuti inadeguati e pubblicità. A giudizio dei maggiori esperti di psicopedagogia infantile auditi dalla Commissione, il primo e più grave pericolo cui sono esposti i minori nella fruizione dei programmi televisivi è costituito dalla rappresentazione gratuita della violenza, che si riscontra non solo nei contenuti dei film e della cosiddetta fiction televisiva, ma anche nella cronaca nera e giudiziaria. Dai contributi psicopedagici acquisiti dalla Commissione risulta che un’assidua visione di spettacoli violenti nella mente ancora in fase di formazione come quella del bambino può causare alcuni danni: la difficoltà insita nel bambino a distinguere fra realtà e finzione accentua ed ingigantisce il senso di pericolo e di insicurezza, specie quando non è presente un adulto a spiegare e mediare la scena violenta; il bambino rischia poi di diventare insensibile alla sofferenza altrui, assuefacendosi alla violenza esercitata sugli altri, o può – all’inverso – essere indotto a reificare l’oggetto della violenza che vede, pur essendo questo una persona. In sostanza, i contenuti violenti della programmazione televisiva (ma anche cinematografica evidentemente) possono indurre aggressività nel bambino, disumanizzarlo o trasmettergli un grave senso di insicurezza. Altri pericoli sensibili, veicolati dal crescente degrado culturale in cui versa molta programmazione televisiva, sono chiaramente individuabili nell’uso del turpiloquio, nell’eccesso di erotismo, nel giustizialismo superficiale ed emotivo di certi programmi giornalistici, nelle modalità di presentazione delle stesse notizie di cronaca nei telegiornali, anche nel servizio pubblico radiotelevisivo.

La Commissione ha inteso soffermarsi con attenzione sulla problematica delle modalità di presentazione delle notizie di cronaca da parte dei telegiornali dello stesso servizio pubblico, in particolare nell’ambito della stessa fascia di programmazione protetta per i minori. Gli esperti di psicologia infantile e scienza delle comunicazioni convocati in Commissione hanno concordemente indicato nelle prevalenti modalità di presentazione dei fatti di cronaca nera da parte dei telegiornali un grave elemento di impatto sulla psiche infantile, nella quale favorirebbero l’insorgere di una percezione ansiogena della realtà, nonché – come si è detto – un fenomeno di assuefazione alla violenza e in generale di desensibilizzazione del bambino rispetto alle sofferenze dei soggetti esterni a sé. Soprattutto la descrizione degli abusi e dei pericoli all’incolumità del bambino che si consumano all’interno della cerchia familiare (quando i congiunti del bambino abusato sono spesso gli autori del misfatto) facilitano la crescita di un senso di diffusa insicurezza nella psiche infantile e di diffidenza nei confronti del mondo esterno, che potrebbe avere importanti ripercussioni nell’età adolescenziale e adulta. Un altro specifico problema è determinato dall’eccesso di erotismo contenuto nelle immagini e nei contenuti veicolati dai media, in particolare nella programmazione televisiva e nella pubblicità, responsabili di una sorta di « precocizzazione della sessualità » del minore: l’esposizione a scene sessuali fa interiorizzare nel bambino schemi che potrebbero rimodellare la sua identità e la sua vita di relazione (3). Studi recenti in materia di influsso dei contenuti mediatici sulla psiche infantile, come riportati dagli esperti invitati in audizione dalla Commissione, evidenziano una serie di importanti risultati. In primo luogo, gli esperti asseriscono che la definizione dell’identità dei bambini nel processo di crescita è fortemente influenzata dai contenuti ipersessualizzati dei media, inclusa la televisione, veicolo principale dei messaggi pubblicitari. Il problema riguarda soprattutto la fascia di età infantile che va dai 6 ai 10 anni, la cui tutela risulta a tutt’oggi ancora quasi integralmente scoperta (è di poco tempo fa la notizia che la Gran Bretagna, su sollecitazione di numerose associazioni di genitori, sta valutando l’approvazione di una specifica normativa per proteggere la fascia di bambini fra i 6 e i 10 anni dalla ipersessualizzazione dei contenuti dei media).

In secondo luogo, si rileva che un numero elevato di video musicali, che sono estremamente diffusi, alla portata di chiunque e che sono particolarmente attrattivi per gli adolescenti, hanno frequentemente espliciti contenuti sessuali, mentre è comprovato statisticamente che i fruitori adolescenti di video musicali possono essere influenzati negativamente dagli stessi. Secondo recenti studi di matrice anglosassone, una bambina nella fascia di età compresa fra 6 e 10 anni vede 10.000 immagini all’anno a contenuto più o meno esplicitamente sessuale o comunque incidenti sulla formazione della sua identità corporea (autostima) e sessuale. Infine, un ulteriore gruppo di problematiche nasce dai modelli alimentari che la televisione propone direttamente (attraverso la moda, il cinema, le trasmissioni di intrattenimento) o indirettamente (nel caso dei messaggi pubblicitari, frequentissimi anche nella fascia oraria protetta per i minori). Audizioni di esperti dell’informazione e comunicazione hanno infatti evidenziato che il consumo eccessivo di televisione – negli ultimi 10 anni – ha favorito nei minori un peggioramento delle abitudini alimentari, una forte radicalizzazione degli atteggiamenti negativi; modifiche nella percezione e soddisfazione del proprio corpo; una crescente abitudine alla violenza, alla competizione, all’uso della forza; un incipiente uso di bevande propedeutiche all’alcool; l’insorgere di problematiche legate all’obesità e a disturbi del  comportamento; la dipendenza da tabacco, droghe, farmaci. In particolare, in un’ottica di prevenzione delle patologie derivanti da regimi alimentari inadeguati, è intervenuta in ambito europeo la direttiva del Consiglio  « Servizi Media e Audiovisivi » (2007/65/CEE), che impegna gli Stati membri a stimolare la redazione, da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi, di codici di condotta concernenti la  pubblicità che accompagna i programmi per bambini relativi a prodotti alimentari e bevande. Lo strumento più adeguato a prevenire le problematiche connesse ai disturbi minorili dell’alimentazione, favoriti dai contenuti televisivi e dei messaggi pubblicitari, è costituito ancora una volta dall’arma della prevenzione. Prevenzione che dovrebbe prendere corpo in un compiuto progetto di educazione alimentare da realizzarsi, a giudizio della Commissione, per lo stesso tramite del mezzo televisivo (il Servizio pubblico), attraverso la predisposizione e la diffusione di adeguate campagne televisive e pubblicitarie, e/o di programmi ad hoc, finalizzati ad insegnare a bambini e adolescenti l’importanza di riconoscere i messaggi alimentari dannosi per la salute (aspetto negativo) e nello stesso tempo a diffondere uno stile alimentare sano e adeguato alle esigenze dell’età evolutiva (azione positiva). In Italia, la normativa che regola la trasmissione di messaggi pubblicitari nella fascia oraria destinata ai minori appare ancora molto carente: essa si affida infatti  largamente agli strumenti dell’autoregolamentazione che però ad oggi non si è mostrata un sufficiente presidio per la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza in questo campo. La legge 3 maggio 2004, n. 112 (legge Gasparri), ha attribuito forza di legge al codice di autoregolamentazione TV e minori (attualmente denominato « Codice media e minori »), nella direzione di un rafforzamento dei poteri di controllo e sanzione previsti in capo all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che sulla materia vigila insieme al Comitato di applicazione del codice di autoregolamentazione. In tal senso, se il ricorso all’autoregolamentazione o alla co-regolamentazione condivisa tra istituzioni e operatori si è rivelato uno strumento efficace per disciplinare alcuni aspetti della disciplina, non altrettanto si può dire per quanto riguarda la tutela dei minori e soprattutto la regolamentazione della trasmissione dei messaggi pubblicitari. Valga a questo riguardo un’indagine dell’Osservatorio di Pavia (in collaborazione con l’Università di Roma Tre), secondo la quale ogni cinque minuti i bambini italiani subiscono uno spot alimentare, sebbene in Italia (a differenza di altri Paesi, come Germania, Francia, Olanda) sia vietata la trasmissione di spot all’interno di programmi specificamente rivolti ai bambini. La riflessione sul tema della tutela dei minori rispetto alla pubblicità, presuppone la consapevolezza dell’evidente sproporzione tra l’influenza che vecchi e nuovi media hanno sull’educazione, sulla veicolazione di comportamenti e stili di vita verso le giovani generazioni, ed una struttura di promozione e tutela che è ad oggi disarticolata, priva di una reale efficacia e della necessaria organicità. Il mezzo televisivo – quindi anche la pubblicità – può costituire una fonte di pericolo per i minori nella misura in cui rende loro difficile discernere la finzione televisiva dalla realtà, così come lo spot dal resto della programmazione. Da tali considerazioni non deriva un acritico rifiuto della pubblicità in quanto tale, ma la necessità di prevedere un sistema di regole volto a garantirne un uso corretto. Dal punto di vista giuridico ciò si traduce nell’esigenza di prevedere una serie di norme più omogenee, efficaci e vincolanti di quelle attualmente in vigore. Se un’abolizione totale degli spot pubblicitari nei programmi destinati ai minori e/o nella fascia oraria protetta appare ad oggi un obiettivo proibitivo in Italia, sarebbe tuttavia realistico pensare di riportare alla media delle televisioni europee la quantità di messaggi  pubblicitari diretti ai minori e presenti nella televisione italiana, che secondo alcuni studi depositati in Commissione eccede ampiamente tale media. Così come, su analogo versante, sarebbe altresì importante che fosse fissato per legge o per regolamentazione interna alle emittenti televisive generaliste un tetto minimo di programmi dedicati ai minori, troppo spesso considerati consumatori attuali o futuri piuttosto che telespettatori con la stessa dignità degli adulti. 3.1.3. Una televisione « buona maestra » è ancora possibile ? La televisione si conferma ancora una volta – nei contenuti, nella modalità della loro trasmissione e nella concezione della sua programmazione – un mezzo di comunicazione sostanzialmente inadatto a fornire un corretto sostegno allo sviluppo psicofisico del minore, ancor meno un supporto di crescita culturale o un’offerta di stimoli intellettualmente ed eticamente positivi. In altre parole, per usare la ben nota citazione di Popper, la televisione continua ad essere una « cattiva maestra » per i nostri figli. Beneficata dalla platea potenzialmente infinita di un Kindergarten globale, essa infatti non ha le competenze e la capacità richieste nemmeno ad una mediocre maestra d’asilo: al contrario, condisce il vuoto di contenuti o la dannosità (per i minori) di certi contenuti con richiami allettanti per i bambini e in genere per tutti i soggetti che non hanno sviluppato un adeguato spirito critico nella fruizione di messaggi mediatici. Una delle aporie dei sistemi democratici risiede proprio nell’impossibilità di contenere il potere televisivo (e a questo punto mediatico) entro limiti e con strumenti democraticamente accettabili, poste le note esigenze di rispetto della libertà di manifestazione del pensiero e posta una spesso impropria mistificazione che impone la trasparenza ad ogni costo (4). Nell’era dell’homo videns occorre infatti rendersi conto che il maggior danno causato da questa interpretazione del mezzo televisivo è recato ai bambini e agli adolescenti, cioè ai soggetti che nella nostra società maggiormente avrebbero bisogno di essere destinatari di messaggi educativi positivi.

(4) Essa produce ed alimenta il mercato del reality televisivo, che deprime le già deboli capacità dell’adolescente a costruirsi un’identità distinta da quella dei propri coetanei, azzerando le ormai desuete qualità della riservatezza dei sentimenti e del pudore del proprio corpo. Questo azzeramento è altresì all’origine, secondo alcuni esperti auditi dalla Commissione, di altri fenomeni deteriori connessi ad un dannoso utilizzo di altri mezzi di comunicazione da parte dei minori (come il cosiddetto sexting nella navigazione su Internet o nell’uso del telefono cellulare – v. infra).

Il primo problema cui la Commissione ha rivolto la propria attenzione è stato quello della garanzia di un accettabile livello qualitativo della programmazione televisiva che possa convertire la funzione della televisione da strumento di raccolta pubblicitaria a mezzo di promozione intellettuale ed emotiva del bambino.

Come ha avuto modo di rilevare il Garante per le comunicazioni, esiste in Italia un grave problema di qualità dei contenuti veicolati dalla televisione e dai nuovi media, che negli ultimi anni è alla base dell’enorme divario qualitativo tra le nostre televisioni e le migliori europee; in questo senso, la proposta di istituire, nel contratto di servizio con la RAI, una Commissione preposta ad uno specifico controllo di qualità dei  programmi e la creazione del misuratore di qualità della Rai Qualitel (operativo da aprile 2008) rappresentano un segnale positivo, ma del tutto insufficiente.

La causa di questo scadimento qualitativo è da individuare nella ricerca del massimo livello di audience dei programmi televisivi – fonte primaria dei ricavi pubblicitari: tale livello appare tanto più alto quanto più bassa è la qualità dei programmi, innescando una spirale perversa che impone un sempre maggiore degrado culturale dei contenuti, al solo scopo di garantire sempre maggiori introiti pubblicitari.

In generale, è stato da più parti affermato che la grande massa di messaggi fortemente diseducativi che trapelano continuamente dalla programmazione televisiva (dal genere del reality show alla  programmazione di intrattenimento, mista alla cronaca nera in orario di fascia protetta, dall’invasività del turpiloquio ai contenuti dannosi di certa pubblicità deviante) sarebbe all’origine di un conclamato « disastro antropologico » nell’educazione dei minori, dietro il quale si nasconde spesso una famiglia che non ha le risorse materiali e intellettuali per arginare questa massa di segnali negativi per la psiche infantile, proveniente dalle fonti più disparate (quindi non solo mediatiche). Il vuoto umano e valoriale in cui spesso si trovano soli bambini e adolescenti viene perciò sempre più facilmente colmato dal contenuto volutamente trasgressivo di molti programmi televisivi, che inducono falsi valori e modelli comportamentali fortemente consumistici. In aggiunta a quanto esposto si consideri che il mezzo televisivo, in virtù del ruolo di primo piano attualmente svolto nel placare o nell’esacerbare gli scontri tra gruppi culturali, etnici e religiosi differenti, è in grado di condizionare pesantemente le attitudini relazionali del minore e in particolar modo la percezione della diversità e la sua accettazione rispettosa. Tali tematiche sono peraltro state oggetto di discussione da parte dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) nel meeting di Praga del 23-24 marzo 2011 e in quello più recente di Roma del 12 settembre 2011, nel corso dei quali gli Stati membri sono stati invitati: a rafforzare attraverso l’educazione, i media e lo sport la promozione della tolleranza e della non discriminazione; a contrastare le teorie che promuovono l’odio e la discriminazione razziale, nonché l’influenza negativa di talune ideologie soprattutto sui giovani. Con la stessa logica si potrebbe affermare che le espressioni e le immagini veicolate dal mezzo televisivo che offendono il sentimento religioso sia delle minoranze sia delle maggioranze non possono considerarsi idonee a favorire il migliore sviluppo psico-sociale del minore.

3.2. Internet e la rete globale.

Nell’epoca del « villaggio globale » non è più solo la televisione ad incidere sul processo di formazione e di educazione dei bambini e degli adolescenti, ma anche l’uso di una quantità di altri mezzi di comunicazione, fra cui spicca – la presenza assolutamente pervasiva di Internet. È infatti all’uso – o per meglio dire all’abuso – della rete globale che si riconducono alcune problematiche attinenti alla tutela della salute fisica e psichica dei minori, problematiche che hanno recentemente sollevato la preoccupazione di molti soggetti attivi nel settore della psicologia infantile e della prevenzione degli abusi sui minori, nonché tra le associazioni di genitori.

I presunti pericoli o elementi di nocività che sono stati evidenziati nel corso dell’indagine sarebbero anzitutto da individuare nell’uso improprio da parte di bambini (e adolescenti) dell’informazione fornita in rete; nel forte e indiscriminato impatto sui minori della pubblicità presente in Internet; nella nota questione dell’incontrollato livello qualitativo dei contenuti della rete; ma soprattutto nella quotidiana consumazione in rete di crimini a danno dei minori che si realizza attraverso il mercato della pedopornografia via Internet.

Non è un mistero infatti che navigando su Internet i minori possono imbattersi in contenuti falsi o mistificanti, essere influenzati da modelli di comportamento o valori inadeguati o dannosi, essere adescati da potenziali pedofili o essere vittima di fenomeni di cosiddetto cyberbullismo. Ma è altresì un dato di fatto che Internet fornisce agli adolescenti la possibilità di ampliare all’infinito la propria rete di relazioni, costituendo esso stesso uno spazio di aggregazione nuovo ed essenziale per la vita degli adolescenti (e soprattutto dei preadolescenti, la cui autonomia di costruirsi spazi di incontro con i coetanei fuori di casa è molto limitata), soggetti che hanno particolare bisogno di costruirsi una propria identità separata e diversa da quella della famiglia. Rinnegare questa funzione essenziale della rete ed assumere un atteggiamento di chiusura da parte di genitori ed educatori (oltre che eventualmente da parte del legislatore) sarebbe inutile ed improprio: è invece fondamentale anche in questo caso un atteggiamento tollerante e positivo e una disponibilità ad esplorare insieme a bambini e ragazzi il vasto mondo della rete, con tutti i suoi pericoli e i suoi difetti.

Occorre anche fare riferimento ad uno dei pericoli insiti in un uso eccessivo di Internet, su cui si sono soffermati alcuni auditi e che riguarda al rischio (già menzionato a proposito della televisione) che un esposizione troppo prolungata ad Internet allontani il minore dai genitori e dalla vita reale, accentuando una preesistente carenza di comunicazione e approfondendo le incomprensioni dovute all’uso di linguaggi diversi fra genitori e figli.

Come non si abbandona un figlio piccolo in un bosco senza sentieri – è stato detto –, così non lo si lascia solo nell’esplorazione del vasto (e pericoloso, secondo i più) mondo di Internet: l’adulto non deve limitarsi a difendere il minore dei pericoli reali o supposti presenti nell’uso delle nuove tecnologie, ma deve propriamente accompagnarlo in questo potenziale luogo di crescita intellettuale e culturale, allontanando il silenzio e l’individualismo che esso può generare.

3.2.1. La pedofilia on line: l’identità negata del minore e il crimine senza frontiere.

Nello svolgimento dell’indagine la Commissione ha dedicato un’ampia e approfondita attenzione al problema della pedopornografia on line, procedendo a due audizioni di rappresentanti delle forze dell’ordine impegnate nella lotta a questo fenomeno e svolgendo un’apposita missione di studio presso la sede della Polizia postale.

La pedopornografia on line è un fenomeno criminale contraddistinto da una marcata connotazione internazionale, che deriva dalla natura stessa del suo vettore: Internet. Proprio la caratterizzazione aterritoriale di Internet, dovuta all’assenza di confini geografici e alla presenza di una pluralità eterogenea di operatori, disseminati nelle varie parti del mondo, rende molto difficile il tentativo di regolamentare a livello nazionale fenomeni quali l’adescamento a fini sessuali, le immissioni incontrollate di contenuti pornografici o di contenuti che istigano alla violenza (compreso il bombardamento di pericolose finestre pubblicitarie non richieste e la trasmissione di altri contenuti impropri, ecc.): tutti fenomeni che si verificano quotidianamente in rete e che possono riguardare anche gli utenti più esperti, ossia coloro che in teoria dovrebbero sapere come tutelarsi da questo genere di messaggi e che purtuttavia ne vengono spesso in contatto.

In nessun altro ambito come nella guerra alla pedofilia on line, infatti, appare nella sua enormità l’insufficienza della norma nazionale come strumento di contrasto ad un fenomeno assolutamente sopranazionale, che si alimenta proprio della dimensione di assenza di confini spaziali attraverso l’uso della rete, cui corrisponde una evidente inadeguatezza della norma nazionale a valicare i confini (incredibilmente ristretti) del territorio nazionale. In questo senso la Commissione infanzia e adolescenza ha constatato l’assoluta necessità di incentivare tutti gli strumenti della cooperazione internazionale fra gli Stati, volti a rendere più incisiva ed efficace la politica di governance della Rete.

A proposito del rafforzamento della sicurezza e delle libertà fondamentali su Internet, occorre segnalare la Raccomandazione del 26 marzo 2009 del Parlamento europeo al Consiglio, che esorta gli Stati membri dell’Unione europea « ad aggiornare la legislazione a tutela dei minori che utilizzano Internet, in particolare introducendo il reato di grooming; a promuovere programmi volti a proteggere i bambini e ad educare i genitori in relazione ai nuovi pericoli legati a Internet, in particolare dei giochi on line; a spronare tutti i fabbricanti di computer dell’Unione europea a preinstallare software per la protezione dei bambini facili da attivare ». Per promuovere un’utilizzazione più sicura di Internet da parte dei minori, a livello di Unione europea sono state avanzate molte proposte: l’istituzione di un numero verde europeo per indicare le fonti di informazione disponibili e i sistemi di filtraggio; il raggruppamento in rete degli organismi di autoregolamentazione per valutare l’efficacia dei codici di condotta; l’introduzione di sistemi di filtraggio con simboli di riconoscimento comuni o messaggi di avvertimento riguardanti la fascia d’età, tali da  orientare gli utenti a valutare ilcontenuto dei servizi in linea; una maggior sensibilizzazione dei genitori, degli insegnanti e dei formatori nell’apprendere e nell’insegnare l’uso delle nuove tecnologie. Nel quadro di analisi del fenomeno dell’abuso in rete a danno dei bambini, i soggetti auditi dalla Commissione – in particolar modo i rappresentanti della Polizia postale – hanno unanimemente individuato come priorità nella lotta alla pedofilia on line la necessità di identificare con urgenza assoluta i bambini abusati, per sottrarli al perdurante abuso virtuale che subiscono con la pubblicazione via Internet delle loro immagini, oltre che alla continuazione degli abusi fisici sottostanti. Successivamente si impone il non facile obiettivo del loro reinserimento sociale e del loro recupero psicofisico. Sul fronte della strategia di lotta alla criminalità pedopornografica on line, la Polizia postale poi ha ripetutamente sottolineato la necessità di disarticolare le organizzazioni criminali che sfruttano i bambini per produrre materiale pedopornografico, partendo da un’azione capillare volta a rintracciare gli enormi flussi finanziari legati a questo turpe commercio che transitano da e per l’Italia, uno dei Paesi maggiori consumatori al mondo di pedopornografia. Particolarmente preoccupanti sono i dati degli ultimi cinque o sei anni sulla crescita delle forme di abuso sui minori legate ad Internet, come la pedofilia, la pornografia infantile e il turismo sessuale (strettamente legato alla pedofilia on line): colpisce soprattutto il costante aumento dei clienti e consumatori italiani di pedofilia on line, »consumo » che si attua quotidianamente e diffusamente attraverso lo scambio di immagini e video pedopornografici nei programmi cosiddetti peer to peer, ovvero quelli che connettono i computer degli utenti direttamente fra loro senza intermediari. La tracciabilità finanziaria dei pagamenti in rete diventa un essenziale strumento di contrasto nelle mani della Polizia postale e di tutte le forze di polizia nazionale impegnate nella lotta alla pedopornografia. Al legislatore nazionale spetta perciò il compito di individuare con tempestività ogni meccanismo idoneo a ricostruire il percorso informatico che conduce dal consumatore di materiale pedopornografico al produttore dello stesso, passando attraverso i provider che ne consentono il flusso, normalmente collocati nello spazio nazionale di Paesi che hanno una normativa permissiva sul punto (come la Russia e la Cina), tenendo conto della necessità di adattare costantemente la strategia di contrasto alla realtà in continua evoluzione di decine di siti pedopornografici che rapidamente si spostano da un Paese all’altro in conseguenza di relativi oscuramenti o a causa dell’introduzione di normative variamente repressive. Infine, è necessario che anche il legislatore si ponga alcuni quesiti a livello più profondo, quesiti che riguardano l’analisi del sostrato culturale e psicologico sottostante all’esplodere e al diffondersi degli abusi sessuali sui minori on line e alle possibili misure di prevenzione del fenomeno. Tale sostrato sembra infatti contenere una serie di elementi concorrenti, che vanno dalla più recente evoluzione – anche sociale – dei rapporti fra sessi, alla emersione in rete di quelli che in passato erano forse solo impulsi inconfessabili (e non condivisibili con alcuna community virtuale) e che ora invece, grazie alle enormi potenzialità di trasmissione di Internet, hanno trovato un terreno di coltura fertile, risultando amplificati ed esaltati (per non dire moralmente sdoganati) dall’effetto della trasmissione senza frontiere, che tutto giustifica in nome della comunicazione e della trasparenza ad ogni costo di qualsivoglia contenuto. Nelle numerose audizioni svolte dalla Commissione sono frequentemente state poste in luce le premesse culturali psicologiche che creano la domanda di materiale pedopornografico, in particolare la predisposizione di alcuni soggetti maschi adulti a disporre fisicamente di un partner sessuale psicologicamente subalterno, data la personale difficoltà a gestire una relazione paritaria con l’altro sesso, anche in conseguenza della crisi del rapporto di coppia tradizionale.

L’aspetto più inquietante del fenomeno consiste nella reificazione del corpo del minore, privato della sua identità (in rete tutti i bambini sono uguali e la loro crescita negli anni ne impedisce l’identificazione), che prescinde dalla sua mercificazione per fini di lucro e sembra piuttosto il frutto della necessità dell’abusante (autore stesso dell’immagine che viene poi diffusa in rete) di trovare una comunità con cui condividere – e quindi giustificare e rafforzare – le proprie inclinazioni. L’esercizio di una forma di potere umiliante su un essere più debole testimonia comunque un evidente disagio psicologico, le cui cause non è evidentemente questa la sede per esplorare e prevenire, ma che in ogni caso pongono alcuni seri interrogativi sul futuro di una società globale, presuntivamente ritenuta migliore solo perché più trasparente.

3.2.2. I social network: la perdita di identità reale a favore di una realtà virtuale.

È ormai innegabile nella realtà odierna che Internet sia una parte costitutiva essenziale dell’identità sociale e personale degli adolescenti, i quali attraverso l’uso della rete e il contatto reciproco per mezzo dei social network costruiscono la propria comunità di amicizie e di interessi intorno ad un punto di incontro, analogamente a quanto avveniva ai loro genitori al tempo in cui incontravano i loro coetanei nelle piazze o nei bar del quartiere. In questo senso il tentativo di arginare la diffusione di Internet e dei social network in nome dei possibili rischi derivanti ai ragazzi da un eccessiva esposizione alla rete appare impraticabile, oltre che poco ragionevole.

Non esistono ancora studi statistici sufficientemente estesi nel tempo e nello spazio che possano confermare o smentire adeguatamente i timori connessi ad un uso non controllato della rete da parte dei minori. Tuttavia è possibile svolgere alcune considerazioni, estrapolandole dai contenuti delle audizioni svolte dalla Commissione e dalle opinioni espresse dagli esperti di psicologia. Non è un caso che proprio la funzione medica e sociale degli specialisti del settore stia tentando di adeguarsi ad una platea di minori che sta cambiando in relazione ad una società in profonda trasformazione: troppi minori soffrono di profondi disagi, è l’epoca – è stato detto – delle « passioni tristi », di adolescenti che hanno perso (o non hanno mai effettivamente acquisito) la capacità di comunicare, a cominciare dall’interno della famiglia stessa, che dovrebbe invece rappresentare per eccellenza lo spazio primario di espressione del ragazzo. Per questo motivo, oltre che per la naturale tendenza dei ragazzi a « fare gruppo », i social network rappresentano spesso una valvola di sfogo ad una carente comunicazione familiare, senza tuttavia riuscire a colmare questo vuoto comunicativo, che viene piuttosto sostituito da una falsa comunicazione di contenuti inconsistenti o addirittura virtuali (i profili creati dai minori per i social network sono spesso la proiezione delle loro aspirazioni sociali ed estetiche, piuttosto che lo specchio della loro identità reale e psicologica).

In questo senso, si parla del pericolo di una cosiddetta nicchia mediatica: alcuni ragazzi si rifugiano su internet – e in particolare nei social network – per recuperare una dimensione affettiva e un senso di appartenenza di cui evidentemente avvertono la mancanza nella realtà familiare o scolastica. In questi casi, l’unica prevenzione possibile del disagio psicologico che è all’origine (e non la conseguenza) di una eccessiva esposizione a Internet consiste nello sviluppo di una maggiore capacità di comunicazione fra genitori e figli, dovendo i genitori spogliarsi di ogni forma di pregiudizio e diffidenza verso la rete e i social network, per domandarsi invece preventiva mente se l’utilizzo di Internet sia semplicemente integrativo o piuttosto sostitutivo di relazioni affettive reali o di attività ulteriori da parte del ragazzo (come lo studio o l’esercizio fisico). Come sempre, perciò, l’antidoto ad eventuali pericoli per i figli è costituito da un’attenta osservazione da parte dei genitori delle abitudini di vita del ragazzo, dalla valutazione di un adeguato soddisfacimento delle sue esigenze affettive e relazionali, in breve da una migliore comunicazione fra genitori e figli, cui non sia estranea anche un’adeguata educazione ad uno stile di vita sano ed equilibrato.

Il Progetto Timshel (frutto di un protocollo di intesa fra Ministro della Salute e Ministro della Gioventù) promuove su un sito apposito via Internet iniziative di informazione e di sensibilizzazione della popolazione in particolare giovanile su uno stile di vita attiva quale efficace strumento per la prevenzione dei rischi alla salute. Iniziative analoghe o altrimenti volte a favorire ed incentivare la pratica sportiva e l’esercizio fisico, anche nell’ambito della scuola dell’obbligo, sarebbero senza dubbio una risposta efficace ad alcuni dei problemi e dei rischi derivanti da Internet citati in questo paragrafo. È necessario infatti che la scuola – soprattutto statale – diventi uno spazio di aggregazione reale non solo per la pratica dello studio, ma anche per l’esercizio di attività ulteriori, finalizzate alla tutela della salute fisica e psichica del bambino e dell’adolescente. La scuola, nei suoi spazi fisici di aggregazione, potrebbe così assumere le funzioni di una agenzia educativa di concreto supporto alla famiglia, agendo come una comunità di intenti che non esaurisca il suo ruolo nella verifica del mero rendimento scolastico, ma che rafforzi il senso di appartenenza del minore ad una comunità di coetanei, la sua identità fisica e psichica, il suo senso dei autodisciplina. Nel mondo di oggi infatti appare evidente che tale funzione non può più essere svolta unicamente dalla famiglia nucleare, spesso frammentata e a volte inadeguata (anche economicamente, oltre che  culturalmente) a svolgere il complesso compito di educazione del bambino alla vita sociale e relazionale. 3.2.3. Contenuti sessualmente inadeguati, formazione dell’immagine corporea e distruzione del pudore. L’uso di Internet da parte di una platea di utenti minori di età presenta alcuni rischi che sono più specificamente connessi alla formazione dell’identità corporea del bambino e dell’adolescente, di cui è necessario che genitori ed educatori siano consapevoli, ma riguardo ai quali è molto difficile intervenire efficacemente sul piano legislativo. Rispetto infatti ai contenuti potenzialmente dannosi veicolati  dalla rete, vale quanto già detto a proposito della ipersessualizzazione di certi messaggi televisivi (v. supra), con l’unica differenza che riguardo a questa problematica Internet presenta lo svantaggio ulteriore di fornire un’offerta di immagini e contenuti pressoché illimitata e sostanzialmente incontrollata, non consentendo peraltro ai genitori di bambini e adolescenti l’applicazione di molti efficaci sistemi di filtraggio in grado di bloccare contenuti inadeguati alla maturità psicofisica del bambino.

Viene qui in rilievo il grave pericolo rappresentato dalla diffusione dei siti e dei blog « pro-ana » (di istigazione all’anoressia), nonché tutti quei contenuti e messaggi della rete che interferiscono sull’identità corporea del minore diffondendo modelli di alimentazione e/o di vita che incidono negativamente sulla salute fisica del minore. In alcuni casi (come in quello di alcuni blog « pro-ana »), alla trasmissione di un messaggio deviante in termini di salute psico-fisica e di crescita e formazione dell’autostima adolescenziale, si aggiungono ulteriori contenuti di natura implicitamente sessuale, che indicano un determinato modello fisicoestetico come sessualmente attraente, attraverso la proposizione di immagini non direttamente pornografiche ma decisamente ammiccanti alla sessualità.

Il bombardamento di immagini e contenuti inadeguati alla maturità psicofisica del bambino e perciò spesso dannosi alla formazione della sua identità fisica presenta anche altri rischi, di carattere culturale e psicologico. Si è già accennato al fenomeno cosiddetto del sexting, che consiste nel disvelamento dell’intimità fisica e sessuale del minore per mezzo del telefono cellulare – spesso praticato fra gruppi di coetanei adolescenti con motivazioni di vario tipo, anche per gioco – o della trasmissione di tali immagini su Internet. La violazione della sfera dell’intimità fisica con intenti spesso sessualizzati e l’annacquamento dell’immagine corporea che ne derivano contribuiscono ad attutire nell’adolescente il senso della riservatezza del proprio corpo (quello che in passato poteva essere il pudore) e a svalutare il primo contatto con la sessualità, di cui si sperimenta un approccio estremamente riduttivo, assimilabile a quello offerto dalla pornografia.

Per questa inflazione della sfera dell’intimità fisica si stanno coniando in altre lingue neologismi, come il francese « extimité », che rende meglio di ogni altro l’idea di una esposizione e condivisione verso l’esterno di una sfera che in passato era considerata rigorosamente privata. Questa condivisione ed esteriorizzazione della proprio intimità peraltro non riguarda più soltanto il corpo, ma si estende alla sfera emotiva ed affettiva dell’adolescente, che, sostituendo al concetto di interiorità quello di intimità, si illude di colmare un bisogno interiore di parlare o condividere con sentimenti o pulsioni altrimenti inesprimibili. Ancora una volta, il mezzo di comunicazione (come il reality show televisivo) surroga a livello superficiale una carenza di comunicazione profonda, sostituendo illusoriamente all’assenza di comunicazione una comunicazione di non-contenuti o di falsi contenuti.

Queste considerazioni hanno stimolato in seno alla Commissione infanzia e adolescenza ulteriori osservazioni, che, anche prescindendo da valutazioni di ordine individuale espresse in quella sede, hanno ampiamente condiviso la necessità di un approccio alla tutela dell’infanzia e dell’adolescenza nel vasto mondo dei media che sappia affrontare anche temi culturalmente desueti, come la sacralità della sfera intima fisica, la dignità e la riservatezza dell’immagine corporea, il rispetto per il corpo e l’immagine della donna, che appaiono particolarmente danneggiati dai fenomeni descritti. Secondo alcuni studi va sottolineato che l’uso inflazionato di contenuti esplicitamente sessuali (da cui il minore è quotidianamente bombardato nell’uso dei mezzi di comunicazione) può danneggiare il bambino anziché educarlo ad un corretto uso della propria sessualità, al valore della relazione interpersonale e al senso di responsabilità verso l’altro. In questo senso, una corretta educazione alla sessualità del bambino e dell’adolescente non può prescindere da una buona educazione all’affettività, all’espressione e alla gestione del sentimento nei rapporti con gli altri e con se stesso. In questo ambito concettuale, occorre fare un breve riferimento al nuovo modello comunicativo di preadolescenti e adolescenti rappresentato dalle chat. L’uso delle chat da parte di adolescenti e soprattutto di preadolescenti rileva in particolare sotto il profilo della formazione dell’identità sessuale e relazionale del minore. È dimostrato che, in casi non del tutto infrequenti, le chat, oltre a costituire una rischiosa occasione di esposizione dei minori all’azione di pedofili o adescatori in rete, consentono ai minori (a partire da un’età di 9-10 anni) di avere un contatto estremamente prematuro con la sessualità, contatto che tende ad invertire il normale percorso delle loro capacità relazionali. Quando questo avviene infatti, il preadolescente o adolescente percepisce che il suo primo contatto di relazione si realizza non per il tramite della sua persona ma mediante un contenuto sessuale veicolato dalla rete o dalla televisione: ciò rischia di determinare in generale una lesione del valore della completezza della persona, intesa nella sua unicità e insostituibilità. Laddove invece la chat rappresentasse il primo contatto eccessivamente prematuro con una sessualità esplicita mediata da un adulto sconosciuto, il danno per la psiche infantile sarebbe da ricondurre all’impossibilità o all’estrema difficoltà di gestire contenuti e comportamenti a cui il bambino è ancora assolutamente impreparato. In questo senso, siamo nuovamente di fronte ad un problema di inadeguatezza dei contenuti proposti in rete rispetto alle capacità di elaborazione della psiche infantile e preadolescenziale.

3.2.4. L’influsso della rete sulle capacità cognitive del bambino. Usi positivi di Internet.

Recenti ricerche dimostrano che, se ben utilizzate, le nuove tecnologie sono in grado di potenziare le capacità del bambino (linguistiche, cognitive e relazionali), laddove un uso eccessivo e incontrollato e l’esposizione a contenuti inadeguati (violenza, razzismo, sesso) possono favorire percorsi di crescita disadattivi, caratterizzati da aggressività, insuccesso scolastico e isolamento sociale. Il problema delle nuove tecnologie, dunque, non si esaurisce nell’inappropriatezza o violenza del loro contenuto: sono infatti le modalità di utilizzo, eventuali vulnerabilità presenti nel bambino e il contesto relazionale a determinarne la nocività (5).

Non mancano studi in cui si evidenzia che la simultaneità e la complessità dell’informazione offerta da Internet (nonché il cosiddetto rumore che accompagna ogni ricerca) indeboliscono la facoltà di apprendimento del bambino, aumentano le difficoltà di concentrazione, depotenziano la memoria, rispetto alla parola scritta e veicolata dai media tradizionali. In sostanza, alcuni disturbi dell’attenzione, secondo alcuni esperti, sarebbero attribuibili ad un uso eccessivo di Internet.

È altresì vero che la nocività di un uso non corretto di Internet nasce dal fatto che il flusso sconfinato e caotico di informazioni che proviene dalla rete richiede di essere codificato e selezionato secondo capacità di elaborazione ed organizzazione dei dati di cui normalmente i minori non dispongono; in tal senso, l’eccesso confuso di informazioni – ove non debitamente fruite – può portare ad una nuova forma d’ignoranza e di passività mentale, che sottrae al minore il bene dell’esperienza, sostituendolo con la semplice parvenza di una realtà esclusivamente virtuale.

Il nuovo ambiente costituito dai media è il nuovo agente che si introduce nella comunità educativa più larga e diffusa, a tal punto che oggi si parla di multitasking generation, ovvero di quella generazione (5) V. Sicurezza: protezione in rete per i minori per i minori e per le famiglie, in « Quaderni per l’innovazione », a cura di Microsoft (documentazione depositata in occasione dell’audizione di Pierluigi Dal Pino del 26 maggio 2009). V. anche W. Nanni (a cura di), Educazione e nuovi media: guida per i genitori, 2009 (documentazione depositata in occasione dell’audizione di rappresentanti di Save the Children – Italia del 14 luglio 2010) nata e vissuta nell’ambiente mediatico che raggruppa vecchi e nuovi mezzi di comunicazione di massa. Ma è anche una generazione sola...: le tecnologie, i nuovi saperi, rappresentano straordinarie opportunità di conoscenza e si rivelano importanti veicoli della comunicazione tra persone, eppure, esse possono presentare una serie di rischi, il più importante dei quali è che possono rivelarsi tecnologie della solitudine.

I giovani possono avvertire – in tutto questo rumore comunicativo – un silenzio e una solitudine di fondo. È nostro dovere di adulti e di istituzioni democratiche tenere conto delle opportunità e dei rischi, e valutarne tutti gli sviluppi. È necessario evitare ogni forma preconcetta di demonizzazione del nuovo ambiente mediatico, e tuttavia operare per alzare le soglie di controllo e di tutela che evitino i tanti rischi connessi con il suo uso.

Una corretta educazione all’uso delle fonti informative tecnologiche dovrebbe privilegiare un utilizzo consapevole della rete, lo sviluppo di un consumo critico e la lotta al conformismo culturale, favorendo un apprendimento quanto meno passivo possibile e la formazione di uno spirito critico e selettivo. Come realizzare questi obiettivi ambiziosi non è dato definirlo a priori, ma è evidente che la soluzione del problema può essere solo affidata ad una « alleanza » educativa fra scuola e famiglia, che indirizzi il minore a forme di apprendimento responsabili e critiche nell’utilizzo delle nuove tecnologie

(6).

Nonostante quanto detto sinora, non si può tuttavia escludere un uso positivo di Internet finalizzato alla risoluzione di problemi che riguardano il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza: programmi per comunicare a distanza e social network possono offrire supporto allo sviluppo di relazioni « digitali » fra minori accolti in istituto o in stato di abbandono, rafforzare programmi di adozione a distanza, agevolare i procedimenti adottivi e programmi di post-adozione.

3.3. La telefonia mobile e i videogiochi.

Sembra anzitutto che l’evoluzione nella composizione e nella struttura della famiglia tradizionale e nei ruoli dei genitori abbia contribuito a sottrarre ai minori punti di riferimento stabili e chiaramente riconoscibili, modificando i tempi della comunicazione interna alla famiglia e inducendo i minori a cercare nuove aree di comunicazione e di svago, in campi che i genitori spesso non sono in grado di dominare (Internet,  videogiochi, terminali di videofonia e messaggistica) e che però sono potenzialmente in grado di turbare la salute psichica e il benessere generale del minore.

(6)

 A questo proposito, è bene accennare alla categoria di recente creazione sociologica del cosiddetto « nativo digitale », espressione riferita alla persona cresciuta con le tecnologia digitali (computer, Internet, telefoni cellulari, MP3): con questo termine è agevole anche comprendere il minore che si accosta all’alfabetizzazione per la prima volta per il tramite del computer e delle nuove tecnologie, anziché per il canale tradizionale della parola scritta, letta e parlata. Anche se la categoria del nativo digitale non è condivisa come tale da tutto il mondo della ricerca sulla materia, resta il fatto che la nascita e la crescita di una generazione di persone cui risultano più familiari le nuove tecnologie rispetto ai tradizionali mezzi di trasmissione dell’istruzione impone una riflessione anche sui metodi di insegnamento e sulle modalità di una specifica educazione all’uso dei mezzi di comunicazione.

Pertanto, un approccio organico alla tutela del minore nel suo rapporto con i mass media, anche per quanto riguarda l’uso del cellulare e dei videogiochi, implica, ancora una volta, che non solo i bambini, ma anche i loro genitori, insegnanti e formatori, imparino a conoscere e ad utilizzare al meglio le tecnologie di comunicazione nelle loro forme evolutive, considerando che una buona conoscenza degli eventuali rischi ad esse connesse rappresenta sempre il miglior antidoto contro paure immotivate da parte dei genitori ed usi impropri o eccessivi da parte dei figli.

È pertanto necessario che si apprestino nuove forme di tutela giuridica commisurate alle tipologie di videogiochi e alla difficoltà di negarne o limitarne l’accesso ai minori in presenza di una sostanziale inesperienza o scarsa competenza dei genitori sulla materia.

Per quanto riguarda il campo dei videogiochi, in particolare, le cosiddette piattaforme « di ultima generazione » (che offrono non più soltanto giochi ma intrattenimento multimediale) hanno sviluppato un’offerta di contenuti per giocatori di ampie fasce di età che rende necessario apprestare idonee forme di tutela, affinché gli utenti minorenni non entrino in contatto con messaggi potenzialmente nocivi per un loro equilibrato ed armonico sviluppo. Per tali motivi, l’Unione europea già dal 2003 ha adottato un sistema di classificazione dei videogiochi, denominato Pan European Game Information (PEGI), che utilizza cinque categorie di classificazione in base all’età, tenendo conto dei seguenti aspetti: linguaggio scurrile, discriminazione, droghe, paura, gioco d’azzardo, sesso, violenza.

Anche in questo campo esistono videogiochi che incitano alla violenza e all’aggressività, oppure alla mistificazione del proprio corpo, inducendo ad una scarsa autostima della propria identità corporea, che per i preadolescenti e gli adolescenti è tanto più dannosa in quanto si unisce ad un vero e proprio bombardamento di immagini e modelli (soprattutto femminili) fortemente sessualizzati.

Valgono anche per queste problematiche osservazioni analoghe a quelle svolte per i contenuti dei programmi televisivi e di Internet: si sottolinea pertanto ancora una volta la necessità di adottare una strategia educativa concertata fra più soggetti e condivisa con il ragazzo, sulla base di regole semplici di utilizzo e di una particolare attenzione alla comunicazione fra genitori e figli.

Esiste un ampio dibattito sul rapporto fra l’esposizione a contenuti violenti di un videogioco e l’aumento di comportamenti aggressivi nella vita reale dei giovani: l’aggressività infantile e adolescenziale, che non può essere negata né eliminata, ha effettivamente bisogno di trovare forme di espressione socialmente accettabili, che tuttavia dovrebbero trovare rispondenza in attività adatte ai minori, cosa che non sempre si può dire per molti videogiochi in commercio.

Senza considerare che anche in questo caso, come nel caso di Internet, l’utilizzo eccessivo del videogioco, oltre a indurre fenomeni di isolamento o di alienazione dalla vita reale, può distogliere il ragazzo da attività certamente più utili alla sua formazione. I giochi on line presentano inoltre il rischio aggiuntivo di mettere in contatto i minori con presenze estranee in rete o di esporli a seri pericoli di dipendenza (ad esempio dal gioco d’azzardo).

Recenti indagini hanno evidenziato che un uso massiccio e continuo dei cellulari da parte dei minori induce disturbi nella loro vita relazionale, distrae l’attenzione a scuola e riduce il livello di concentrazione nelle applicazioni scolastiche più complesse. Inoltre, poiché i minori che utilizzano il telefonino sono anche esposti alle pratiche scorrette degli operatori che pubblicizzano gli abbonamenti a loghi e suonerie, nonché a bombardamenti di pubblicità indebite e/o dannose, gli operatori di telefonia mobile sono ora tenuti ad adottare sistemi di protezione con dei codici a controllo parentale, analoghi a quelli previsti per la televisione ad accesso condizionato.

4. Conclusioni e interventi per una migliore tutela dei bambini e dei ragazzi.

Il punto di partenza per le conclusioni cui è pervenuta la Commissione al termine dell’indagine conoscitiva sulla tutela dei minori nei mezzi di comunicazione è che la condizione di solitudine dei giovani appare spesso aggravata – non confortata – dall’uso delle nuove tecnologie di comunicazione, le quali consentono solo di sviluppare relazioni molto mediate: per questo motivo la Commissione sottolinea preliminarmente l’obiettivo che i media diventino strumento di effettiva crescita culturale e relazionale e non di riduzione delle capacità comunicative dei minori.

Sulla base di questa considerazione generale, la Commissione ha elaborato i seguenti spunti di riflessione.

4.1. Un rinnovato ruolo pubblico nel settore dei media.

La prima conclusione che la Commissione ha potuto trarre dall’ampia messe di audizioni e materiali raccolti nel corso dell’indagine è che non è più procrastinabile un approfondito intervento legislativo, volto a disciplinare in maniera completa la produzione e la diffusione mass-mediatica con riferimento alla tutela degli interessi dei minori. Tale intervento deve avere le seguenti finalità:

a. evitare che i media rechino danno in alcun modo allo sviluppo psicofisico dei bambini e degli adolescenti;

b. far sì che essi diventino strumento di crescita culturale e relazionale del minore;

c. impedire che l’azione dei media si sostituisca al ruolo educativo nei confronti dei minori, ruolo che in una società ordinata deve essere svolto dai corpi intermedi (famiglia, scuola, lavoro, istanze della società civile in genere).

Poiché i risultati del lavoro svolto dalla Commissione hanno evidenziato che il sistema dei codici di autoregolamentazione si è rivelato da solo inefficace, la Commissione chiede con forza che lo Stato riprenda il proprio ruolo tradizionale, tornando a esercitare, anche nel campo della comunicazione, la propria triplice funzione:

a. legislativa, chiarendo ciò che è legale e ciò che non lo è;

b. esecutiva, facendo applicare le leggi esistenti, esercitando un efficace controllo sui contenuti massmediatici e sulle agenzie educative, combattendo permissivismo e illegalità;

c. giudiziaria, condannando e punendo severamente i trasgressori della legge.

Nell’esercizio di questa funzione tuttavia la Commissione aggiunge che l’intervento pubblico deve in ogni caso presupporre il coinvolgimento e la corresponsabilizzazione degli operatori attraverso gli strumenti dei codici di autoregolamentazione e coregolamentazione.

La Commissione ha poi rilevato che il problema di correggere o impedire la trasmissione di contenuti nocivi per i minori nei media non riguarda l’opportunità della sanzione, ma piuttosto la tipologia della stessa e le modalità della sua irrogazione. È perciò indispensabile:

a. inasprire le sanzioni attualmente previste a carico dei fornitori di servizi media audiovisivi che violano i divieti di pubblicità per minori o le regole che disciplinano la cosiddetta fascia protetta per i minori nella programmazione televisiva;

b. prevedere espressamente in questi casi la sanzione dell’oscuramento o – in alternativa – una sanzione pecuniaria molto elevata che produca un sicuro effetto deterrente;

c. dare adeguata pubblicità all’applicazione della sanzione nei confronti dei fornitori di servizi di media audiovisivi, in modo che sia chiamata a darne notizia nella fascia oraria di massimo ascolto;

d. far sì che il telespettatore possa denunciare eventuali violazioni dei codici di autoregolamentazione ad un numero dedicato presso il Comitato media e minori.

4.2. Una tutela organica dei minori.

È quanto mai necessaria e urgente una riforma del sistema delle comunicazioni di massa che renda efficace e tempestivo il rispetto delle leggi in materia, innanzitutto concentrando in unico organo le funzioni di controllo finalizzate ad una effettiva tutela dell’integrità dei minori, in grado di fronteggiare il mondo delle nuove tecnologie con i suoi rischi e le sue opportunità.

Poiché è stato di recente istituito il Garante nazionale per l’Infanzia, con legge 12 luglio 2011, n 112, la Commissione ritiene indispensabile accentrare in questo organo le funzioni e i poteri in materia di tutela dei minori nei media, attualmente frammentate fra molti organismi (Ministero dello sviluppo economico, Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Autorità garante nelle comunicazioni, Ministero della Giustizia, Ministero dell’Interno, Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri). Resta naturalmente esclusa da questa considerazione la funzione di repressione e prevenzione dei reati contro i minori, che deve rimanere in capo agli organi attualmente competenti.

La Commissione intende poi promuovere una concezione ampia e onnicomprensiva della tutela giuridica dei minori, attraverso una efficace razionalizzazione delle norme attualmente previste a tutela dei minori nei mezzi di comunicazione, che consenta di configurare un vero e proprio codice di tutela dei minori.

Tale codice, oltre ad includere tutta la normativa esistente in materia di tutela dei minori nei mezzi di comunicazione, dovrebbe anche introdurre:

a. norme che regolamentino la partecipazione dei minori ai programmi radiotelevisivi, particolarmente quelli contenenti cronaca giudiziaria e giornalistica, o riguardanti procedimenti giudiziari in corso;

b. disposizioni che proteggano tassativamente il diritto alla riservatezza dei minori, per evitare che siano coinvolti strumentalmente in forme di pubblicità indiretta (spesso create a proprio vantaggio dagli stessi genitori), fermo restando che resta responsabilità della famiglia la tutela complessiva del bambino e del suo interesse primario.

4.3. Spunti critici di intervento.

La Commissione ha constatato con rammarico che in aperto contrasto con le direttive europee si sta realizzando in Italia un allarmante progressivo smantellamento del sistema della protezione dei minori nelle trasmissioni televisive. Su questo punto in particolare la Commissione ha rilevato i seguenti tre punti di criticità.

a. Alcune norme introdotte dal D.lgs. 15 marzo 2010, n. 44, consentono la trasmissione televisiva di programmi gravemente nocivi per i minori (pornografia e violenza gratuita, insistita o efferata; film ai quali sia stato negato il nulla osta per la proiezione o la rappresentazione in pubblico o che siano stati vietati ai minori di anni diciotto, nonché programmi classificabili a visione per soli adulti). Tali programmi possono essere trasmessi solo in orario notturno (23.00 – 7.00), ad accesso condizionato (a pagamento) con  l’adozione di un sistema di controllo specifico e selettivo che vincoli all’introduzione di un sistema di protezione tutti i contenuti (Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici , D.lgs. 31 luglio 2005, n. 177, come modificato dal D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 44, Artt. 34, commi 1,3,5). La Commissione sottolinea che queste disposizioni della legge italiana contrastano con il divieto assoluto per questi programmi previsto dalla Direttiva europea sui Servizi di Media Audiovisivi (Direttiva 2010/ 13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 marzo 2010). La Direttiva infatti a tutela dei minori nelle trasmissioni televisive stabilisce che: « Gli stati membri adottano le misure atte a garantire che le trasmissioni televisive delle e mittenti soggette alla loro giurisdizione non contengano alcun programma che possa nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori, in particolare programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita » (articolo 27, comma 1). Se con il D.lgs. 15 marzo 2010, n. 44, la legge italiana ha derogato al divieto assoluto alla trasmissione di programmi gravemente nocivi imposto dalla Direttiva europea, preoccupa anche l’applicazione dello stesso decreto da parte dell’ Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che ha ulteriormente allargato l’accesso televisivo alle trasmissioni gravemente nocive per i minori, disattendendo i requisiti richiesti dalla stessa norma.

Pertanto, la Commissione, prendendo atto che la tutela dei minori nella trasmissione televisiva di programmi gravemente nocivi è disattesa dalla deroga introdotta dal D.lgs. 15 marzo 2010, n. 44, alla Direttiva europea, richiama il Governo ad attuare integralmente quanto disposto dalla citata Direttiva europea.

b. Una recente delibera dell’Autorità garante per le comunicazioni legittima la trasmissione di film vietati ai minori di 14 anni in orario di televisione per tutti (7.00 – 22.30), non consentita dallo stesso D.lgs. 15 marzo 2010, n. 44 (di modifica al Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, D.Lgs 31 luglio 2005, n. 177, con il quale invece si stabilisce: « I film vietati ai minori di anni quattordici non possono essere  trasmessi, sia in chiaro che a pagamento, né forniti a richiesta, sia integralmente che parzialmente, prima delle ore 22.30 e dopo le ore 7.00 » – Art. 34, comma 4). Con una forzata interpretazione della norma citata, Agcom ha parificato indiscriminatamente i film vietati ai minori di 14 anni a quelli semplicemente nocivi, consentendone la trasmissione nelle fasce orarie di trasmissione per tutti purché con l’utilizzo del parental control (Comunicazione del 22/07/2011).

Di fronte a ciò la Commissione come organo parlamentare riconferma il dettato normativo di cui all’articolo 34, comma 4, del Testo unico Servizi media audiovisivi, richiamando l’Autorità garante per le comunicazioni ad una corretta applicazione della norma citata.

c. Il processo di indebolimento della tutela dei minori nei media interessa anche i programmi televisivi non specificamente destinati ai minori del Servizio pubblico radiotelevisivo, che deve pertanto essere richiamato all’esercizio della sua funzione di pubblico interesse. Sullo specifico versante della pubblicità televisiva, lo stesso Servizio pubblico radiotelevisivo dovrebbe adottare una linea di maggiore contenimento degli spot nei programmi destinati ai minori (adottando ad esempio una proposta avanzata in passato dal Sindacato dei giornalisti RAI che prevedeva di eliminare integralmente gli spot pubblicitari da questa fascia di programmi).

La Commissione ritiene in particolare che sia necessario intervenire in sede di rinnovo del Contratto di servizio pubblico radiotelevisivo perché siano opportunamente regolamentate le trasmissioni di cronaca nera e giudiziaria e i programmi di genere reality in modo da non recare danno allo sviluppo psicofisico e al benessere dei minori.

4.4. Cinema telefonia e videogiochi.

Per quanto concerne il cinema, la Commissione sottolinea l’opportunità che il Governo promuova una normativa ad hoc sulla tutela dei minori, nell’ambito della quale occorrerebbe mantenere ed anzi rafforzare la censura statale preventiva sulla distribuzione cinematografica.

Nel campo della telefonia mobile, la Commissione rileva le seguenti necessità:

a. occorre tutelare i minori dall’accesso a messaggi telefonici nocivi anche tramite più efficaci sanzioni pecuniarie;

b. è necessario inserire nella normativa di tutela dei minori l’obbligo per i gestori di telefonia mobile di eliminare dal menù di accesso del telefono cellulare i servizi a contenuto sensibile, o in alternativa di criptarli;

c. occorre obbligare per legge i gestori di telefonia mobile ad indicare nei contratti rivolti ai consumatori quali fra i servizi offerti sono adatti solo ad un’utenza adulta.

Quanto al settore dei videogiochi, la Commissione ritiene che esso necessiti di una disciplina giuridica completa e coerente, che valuti e classifichi i prodotti secondo chiari livelli di tutela dei minori e individui un organo cui deferire le funzioni di controllo in materia, nonché gli opportuni poteri di sanzione e dissuasione, affinché questa classificazione venga rispettata da produttori e diffusori.

4.5. Reati contro i minori.

Sul versante della lotta alla pedopornografia e agli abusi sui minori via Internet, la Commissione ha anzitutto apprezzato l’operato della Polizia postale, rilevando la modernità e l’efficacia dell’attuale normativa italiana di contrasto a questo grave crimine. Stigmatizzando l’assenza di una analoga regolamentazione in altri ordinamenti stranieri, la Commissione auspica una opportuna azione del nostro Governo in sede europea, affinché l’Unione europea affronti al più presto questo problema. È perciò necessario promuovere, attraverso le idonee sedi internazionali ed europee (ONU, UE, Consiglio d’Europa) l’introduzione, anche in ordinamenti stranieri, dei reati di grooming (come avverrà nella nostra legislazione una volta ultimato l’iter di ratifica della Convenzione di Lanzarote), di turismo sessuale e di pedofilia culturale, cui appare strettamente legato il consumo di pedopornografia In particolare, le azioni da intraprendere a livello europeo e internazionale nella lotta alla pedopornografia sono le seguenti:

a. investire risorse umane e tecnologiche dirette a identificare prioritariamente i minori sfruttati per la produzione di materiale pedopornografico;

b. favorire la creazione di una banca dati internazionale – o di una forma di archivio condiviso – contenente i volti dei bambini abusati che compaiono quotidianamente su Internet;

c. creare a tal fine appositi coordinamenti interforze fra polizie del maggior numero possibile di Paesi;

d. sostenere in sede di Unione europea tutte le iniziative e le azioni comunitarie volte a promuovere la sicurezza dei minori in rete e nei nuovi mezzi di comunicazione, sul modello del piano « Safer Internet Plus Programme ».

4.6. L’educazione all’uso dei media.

Dal riconoscimento dell’esistenza di una reale emergenza educativa, dovuta all’influenza sempre più crescente dei mass media sui minori, la Commissione sottolinea la necessità di una vera e propria educazione all’uso dei mezzi di comunicazione, per preparare i giovani a fruire di questi straordinari strumenti con senso di responsabilità e ad « educarsi » con essi. Questo ruolo di educazione ai media compete alla società nel suo complesso e a tutte le sue articolazioni: alle famiglie, alle associazioni, alle comunità, alle forze culturali, politiche, economiche e sociali; alla stampa, ai centri universitari e di ricerca. Ma soprattutto questo compito compete alle istituzioni ed in particolare alla scuola.

È opportuno perciò intervenire sulla normativa vigente, introducendo nei programmi delle scuole di ogni ordine e grado dei corsi di educazione ai media, da configurare come un’attività educativa e didattica volta a sviluppare nei giovani una informazione e una comprensione critica della natura e delle categorie dei media, delle tecniche impiegate per costruire messaggi e produrre senso, dei generi e dei linguaggi specifici.

La stessa attività di media education dovrebbe altresì insegnare ai minori a « leggere » anche gli spot pubblicitari e il product placement, cioè la pubblicità « nascosta » nei programmi. Al raggiungimento di questo obiettivo, a giudizio della Commissione, deve partecipare a pieno titolo anche il servizio pubblico radiotelevisivo, organizzando e promuovendo progetti d’azione itineranti per le scuole, per insegnare a bambini e ragazzi a « smontare e « rimontare » programmi televisivi e contenuti Internet.

All’attività descritta è poi necessario affiancare una specifica attività di formazione e aggiornamento rivolta ai docenti e ai genitori, sui rischi che possono derivare ai minori in questo campo, sugli strumenti atti a preservarli e sulle risorse che i media possono offrire, per consentire al l’Italia di recuperare il gravissimo ritardo accumulato in questo campo rispetto a molti Paesi europei.