Sentenza della Consulta sui rapporti fiscali Stato-Regione. La proposta choc dell’esperto: "Incentiviamo le imprese a spostare la sede legale in Sicilia"

 

 

di Alessandro Dagnino

Condividi (Maria Gabriella Ricotta) Con la recente sentenza n. 116 del 2010 la Corte costituzionale è tornata ad occuparsi della problematica della ripartizione del gettito dei tributi tra Stato e Regione. Abbiamo chiesto all’avvocato Dagnino, docente di diritto tributario, un approfondimento sul tema per capirne di più.  


“Il problema nasce dal fatto” – spiega l’avvocato – “che, ai sensi delle norme di attuazione dello Statuto speciale in materia finanziaria, spettano alla regione, salve alcune specifiche eccezioni:  

a) "tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio" (c.d. principio della territorialità della riscossione);  

b) "le entrate relative a fattispecie maturate nell'ambito regionale" anche "se affluiscono, per esigenze amministrative, ad uffici finanziari situati fuori dalla Regione" (c.d. principio della territorialità  dell'imposta).  

Nel tempo ha trovato, di fatto, attuazione, solo il primo principio, mentre il secondo è  rimasto lettera morta. Con due pronunce del 1999 e del 2004, però, la Corte costituzionale aveva "aperto" all'applicazione del principio della territorialità dell'imposta, accogliendo, ad esempio, le richieste della Regione di vedersi attribuito il gettito dell'imposta sulle assicurazioni per R.C.A.   

Con la nuova sentenza la Consulta si è "discostata" dall'orientamento formulato nelle pronunce del 2004 e del 1999, ritornando all'impostazione dalla stessa elaborata negli anni Settanta, impostazione certamente più sfavorevole per la Regione siciliana.  

Segnatamente, la Corte – con una complessa motivazione – ha fornito un'interpretazione sostanzialmente abrogatrice del principio della territorialità dell'imposta previsto dalle norme di attuazione, affermando che il criterio generale di ripartizione del gettito delle imposte erariali tra Stato e Regione, è solo quello del luogo di riscossione dei tributi.  

Per effetto della sentenza, dunque, se una società che gestisce una catena di negozi ha domicilio fiscale a Milano, pagherà allo Stato tutti i suoi tributi, anche per i redditi prodotti dai negozi situati nel territorio siciliano. Se invece avesse domicilio fiscale a Palermo, tutti i tributi dalla stessa versati confluirebbero nelle casse della Regione siciliana”.  

Questo lo stato attuale. Ma esiste una alternativa a tutto questo?  

“Anziché – seguendo un'abitudine tipicamente siciliana – lagnarsi inutilmente della decisione della Corte e chiedere l'intervento della politica statale, come è stato fatto da più parti, potrebbe essere più proficuo far valere i propri diritti.  

Da parte mia formulo una proposta che, se opportunamente messa in atto, potrebbe forse portare la situazione a vantaggio dei siciliani.

  Si potrebbe istituire, con legge regionale, un contributo straordinario temporaneo per le imprese – o per talune categorie di imprese – che entro una certa data spostino  il loro domicilio fiscale (normalmente coincidente, per le società, con la sede legale) nel territorio della Regione.  

Queste le conseguenze di una tale previsione:  

1. Nel momento in cui le imprese trasferiscono la sede legale in Sicilia, la Regione, per effetto della disciplina oggi vigente, diventerebbe titolare del gettito della totalità delle imposte erariali versate dalle stesse;  

2. Il contributo - che potrebbe essere pari al cinquanta per cento delle imposte effettivamente versate – non comporterebbe oneri a carico del bilancio regionale, perché costituirebbe una quota delle maggiori imposte incassate dalla Regione. Anzi la Regione, in questo modo, incamererebbe nuove entrate e il contributo stesso sarebbe tassato, ai fini delle imposte sul reddito;  

3. Il contributo non presenterebbe problemi di compatibilità con la normativa comunitaria, se contenuto nei limiti quantitativi del c.d. de minimis (200.000 Euro in tre anni, per ciascuna impresa), importo entro il quale non occorre chiedere autorizzazione a Bruxelles. Ne' il beneficio sarebbe per ciò stesso irrisorio: 200.000 Euro di minori imposte ogni tre anni non mi sembra poco;  

4. Le imprese dovrebbero essere invogliate a trasferire la sede legale in Sicilia. Infatti, per una società articolata sull'intero territorio dello Stato è  abbastanza indifferente avere la sede legale a Milano o a Palermo. Inoltre, anche una società che non possiede uffici in Sicilia potrebbe fissare la sede legale presso uno studio professionale o presso un business center, i quali potranno provvedere ad inoltrare la corrispondenza presso la sede operativa, offrendo eventualmente altri servizi collegati.  

Ovviamente si tratta, per il momento, solo di un'idea – eventualmente da affinare e da condividere nel modo più ampio possibile - sulla quale però, forse, varrebbe la pena di riflettere”.

Prof. Alessandro Dagnino - Università di Palermo