Intervento dell'On. Alfredo Mantovano al 45° Seminario sulle Emergenze Planetarie.

 

 

Erice 23 Agosto 2012 

Ringrazio di cuore il prof. Antonino Zichichi per l’invito.


Ne sono onorato, anche perché mi permette di seguire direttamente le attività della WFS a Erice e nel mondo. Voi, scienziati della WFS, siete impegnati a portare un contributo concreto per la soluzione dei problemi di cui si parla poco, pur trattandosi delle questioni centrali per la Terra, delle Emergenze a livello planetario. 

Quello che siete riusciti a realizzare ha un profondo significato per la politica e per la cultura del nostro tempo. Cultura, che come da anni sostiene il prof. Zichichi, si autodefinisce moderna, ma in realtà sembra muoversi su binari antecedenti la logica aristotelica. Se gli orientamenti culturali oggi prevalenti fossero al passo con le conquiste della Scienza, anche i non addetti ai lavori avrebbero piena consapevolezza dei problemi da affrontare per lasciare alle generazioni future un pianeta con le proprietà vitali non sconvolte né in pericolo. 

Vorrei ricordare un esempio che mi ha sorpreso quando – anni fa – ne ho sentito parlare dal prof. Zichichi. La Cultura detta moderna ha permesso la demonizzazione dell’effetto serra e dell’anidride carbonica. Senza queste due “cose” non esisterebbe la vita. L’effetto serra e l’anidride carbonica c’erano prima che la vita sorgesse nel satellite del Sole in cui abbiamo il privilegio di essere passeggeri, non padroni assoluti. In questa navicella spaziale poteva non esserci quella minuscola quantità di anidride carbonica, che la Cultura dominante demonizza come veleno, e che è invece cibo per le piante. Studi condotti dalla WFS dimostrano che se si togliesse quella minuscola quantità di anidride carbonica dall’atmosfera terrestre, scomparirebbe la vita vegetale. Il che vuol dire che noi non potremmo essere qui, se è vero che la vita animale presuppone quella vegetale. Non avendo le competenze per addentrarmi in questi affascinanti problemi, desidero però ricordare che proprio in quest’aula tre anni fa si sono riuniti i più illustri studiosi del tema noto come “The problem of minimal life” (Il problema della vita minima) per concludere che la Scienza è lungi dal dire di avere capito come si passa dalla materia inerte alla materia vivente. Per dirla con le parole semplici di Zichichi: come si passa dalla pietra alla rondine. 

Come persona impegnata in politica, mi stanno a cuore i problemi legati a che cosa c’è di vero in ciò di cui sono pieni i giornali e gli organi di informazione. Una cosa è certa: se non fosse per le attività delle WFS, le Emergenze Planetarie sarebbero assenti dal dibattito culturale del nostro tempo  nella Cultura del nostro tempo. E questo, nonostante la WFS si sia impegnata a realizzare ben 100 progetti-pilota in 50 Paesi del Terzo Mondo, tra cui nei decenni scorsi la Cina, e nonostante i risultati ottenuti dalla WFS abbiano dimostrato che – se c’è volontà politica – è possibile affrontare e risolvere i problemi delle Emergenze Planetarie. Ecco il motivo per cui, come uomo politico, intendo dire con forza che la WFS può contare sul mio impegno affinché “The Project for Man-kind” diventi realtà. 

È una battaglia di avanguardia sulla quale scienza e politica sono chiamate a combattere insieme in prima linea: in essa ci sono la tutela e la promozione della vita, che ha uno strumento concreto nella realizzazione del vostro Progetto di lotta alle Emergenze Planetarie. Con realismo va ricordato senza incertezze che l’essenza del totalitarismo coincide con la trasformazione della menzogna in verità grazie all’arbitrio che un uomo esercita su un altro uomo al punto da modificare, o addirittura da togliergli la vita. Se il confine fra la verità e la mistificazione non è netto e invalicabile, se non viene individuato quale dato oggettivo da riconoscere e da rispettare, ma rappresenta qualcosa di variabile a seconda delle opinioni soggettive o delle scelte di una maggioranza, non è possibile evitare che si ripetano i drammi del XX secolo. 

Dopo gli orrori del XX secolo, per troppo tempo rimasti poco conosciuti per qualità e per quantità, il nuovo secolo non sembra aprirsi come dovrebbe. Si continua infatti a porre la scienza e la tecnica al servizio della morte con strumenti di distruzione di massa, ma anche – al tempo stesso – in sale asettiche, lontane dalle telecamere e da testimoni scomodi. Ed è un tempo paradossale: la scienza e le invenzioni tecnologiche conseguenti ci hanno portato vantaggi e comodità. Basta pensare a quanto si è allungata la vita media (80 anni per gli uomini, 85 per le donne). Un risultato incredibile, mai raggiunto prima, cui però si affianca, il pericolo di olocausto nucleare – di cui non si parla più – e il rischio di olocausto ambientale. Possiamo fidarci della scienza? Qui, a Erice, avete organizzato qualcosa di meraviglioso in anni trascorsi; nel pieno della tensione Est-Ovest, qui dialogavano e studiavano assieme scienziati sovietici e scienziati americani; scienziati del cosiddetto mondo libero e scienziati d’oltrecortina: uniti dall’amore per l’uomo, tesi a scongiurarne l’autodistruzione. Vi ha unito la scienza vera, mentre la politica divideva. Ideologie di morte, che travestivano le bugie di verità, hanno indotto i governi a una folle corsa verso gli armamenti. Certo, forse era necessario per noi occidentali non rimanere indietro, ma il prezzo pagato è stato ed è alto: enormi risorse sprecate per imbottire il mondo di ordigni nucleari e per preparare disastri ecologici, sfociati in vere e proprie emergenze planetarie, dall’acqua ai suoli, dall’aria all’energia. 

Ma il salto di qualità, sul piano della scienza come su quello della politica, si ottiene soltanto se si fa chiarezza sul rapporto fra mezzi e scopi. Se, cioè, decidiamo consapevolmente di mandare in pensione un signore di nome Nicolò Machiavelli. Permettetemi una citazione. Quel grande genetista, scomparso da pochi anni, che è stato Jerome Lejeune era solito ricordare un dato storico concreto, che rende il discorso meglio di qualsiasi disquisizione teorica: 60 anni fa il dottor Thiersch, esecutore di aborti negli U.S.A., ebbe l’idea di applicare alla sua pratica l’effetto tossico dell’aminopterina, un elemento chimico che inibisce il metabolismo dell’acido folico. In questo modo bloccava la divisione delle cellule: poiché le cellule dell’embrione si dividono attivamente, l’uso di quella sostanza doveva secondo Thiersch uccidere infallibilmente il bambino nel ventre della madre. L’infallibilità non fu così completa, perché se l’effetto letale dell’applicazione fu immediato per alcuni feti, per altri la morte arrivò dopo qualche tempo, a seguito di gravi anomalie al sistema nervoso, dalla spina bifida all’anencefalia. 

Trent’anni dopo due medici di differente impostazione, Smithells e Lawrence, scoprirono che l’acido folico somministrato alla madre, in dosi particolari e controllate, all’inizio della gravidanza protegge i bambini proprio contro quelle stesse malformazioni del sistema nervoso centrale derivate da un uso distorto della sostanza. Perché richiamavo il rapporto fra mezzo e fine? Perché se il fine perseguito da Thiersch fosse stato la lotta contro una malattia e non l’aggressione in utero dei nascituri, probabilmente la profilassi della spina bifida o dell’idrocefalia sarebbe arrivata con tre decenni di anticipo, e decine di migliaia di bambini in tutto il mondo ne avrebbero tratto giovamento. Se muta quella prospettiva culturale che oggi appare quasi univocamente e dogmaticamente orientata verso la morte (del nascituro, dell’anziano, del malato grave, del nemico), ricaveremo solo una spinta verso nuove scoperte scientifiche rispettose dell’uomo, delle comunità cui appartiene, della comunità internazionale. Daremo cioè ragione nei fatti alla straordinaria intuizione del prof. Zichichi, che ringrazio ancora per l’occasione che mi ha offerto, e che permette da decenni di vivere straordinarie esperienze come quella di questi giorni. 

       Tutti abbiamo ben chiaro lo svolgimento del processo più ingiusto mai celebrato: quello, 2.000 anni fa, all’Uomo proveniente da Nazareth. L’anomalia più grossa di questo processo sta nel fatto che il giudice, il governatore della Palestina Ponzio Pilato, riconosce il dato obiettivo che ha di fronte; addirittura enuncia la motivazione di una possibile sentenza assolutoria, se è vero che per tre volte ripete “per me quest’Uomo non ha nessuna colpa”. Riconosce, cioè, con evidenza la verità sostanziale e processuale; ma il dispositivo della sentenza non segue quella motivazione. Perché? Che cosa accade? Dov’è il corto circuito? 

       Se leggiamo per intero le “carte processuali”, Pilato prima aveva proceduto all’interrogatorio dell’accusato. E nell’interrogatorio Pilato aveva rivolto a quell’imputato la domanda cruciale: “tu chi sei?”. E aveva ricevuto una risposta: “sono venuto per testimoniare al mondo la verità”; una risposta che poteva essere l’avvio di un lungo dialogo, come quell’Uomo era abituato a fare con chi gli parlava seriamente. Ma Pilato aveva interrotto bruscamente il discorso, con una frase – quid est veritas? – che rappresenta la sintesi di ogni posizione scettica e relativistica di fronte al reale. Quid est veritas? la verità non esiste, è un’opinione, è ciò che resta dopo un talk show, è l’esito di un rapporto di forza, è una risvolto della convenienza…

 È l’opportunità del momento, cui può essere data una parvenza di scelta democratica, a prescindere dalla verità: quando mette ai voti la scelta se liberare Cristo o Barabba, Pilato fa valere su qualsiasi altra considerazione la legge dei numeri che cede alla suggestione della folla. Pilato aderisce a una prospettiva di relativismo assoluto. 

Sant’Agostino, oltre a essere un grande filosofo, si divertiva a fare gli anagrammi. Dopo aver letto le parole pronunciate da Pilato quid est veritas?, ne fa l’anagramma: est Vir qui adest! E questo gli permette di rivolgersi a Pilato e di dirgli: la verità è davanti a te, se solo decidi di non chiudere gli occhi di fronte alla realtà! Caro uomo del XXI secolo, puoi ancora farcela se cogli la verità non in una convenienza virtuale, ma nella realtà che è percepita dai tuoi sensi ed è ordinata dalla tua ragione. Caro scienziato, questo vale soprattutto per te e per la missione che hai di mettere la tua ricerca al servizio della conoscenza della verità sull’uomo. Erice dà da decenni un contributo decisivo in questa direzione! 

Ecco perché ritengo dovere di ogni uomo politico – certamente è mio dovere! – sostenere il progetto “Science, Technology and Culture in the Third Millennium: A Project for Mankind”, e portarlo avanti per le azioni di mia competenza politico-culturale. È il Progetto necessario per affrontare e risolvere problemi di cui la nostra Cultura parla poco, nonostante la loro enorme importanza.

 In uno dei passaggi più toccanti de Il Signore degli Anelli di John Ronald Reuel Tolkien – un libro che continua a riempire il cuore di chi vi cerca senso dell’onore e amore per la terra, coraggio e disprezzo per le difficoltà, esaltazione dell’amicizia e gerarchia di valori – il vecchio Gandalf si rivolge ai compagni di avventura, alla vigilia della battaglia decisiva contro le armate del male, con queste parole: “non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo; il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare”.

Sono onorato di aver partecipato oggi a un consesso di scienziati che dà sostanza, qualità e prospettiva a un così sano realismo.