Intervento per dichiarazione di voto dell’On. Pagano sul disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 120 del 2013 “Misure urgenti di riequilibrio della finanza pubblica nonché in materia di immigrazione”. 21 Novembre 2013

 

 

 

 

ALESSANDRO PAGANO. Signor Presidente, il decreto-legge oggi all'esame dell'Aula individua le risorse,


quantificate in circa 1,6 miliardi di euro, per consentire nel 2013 il rientro entro il limite del 3 per cento, definito in sede europea, del rapporto tra indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni e prodotto interno lordo, correggendo in tal modo lo scostamento dello 0,1 per cento dovuto al calo delle entrate in seguito alla congiuntura economica negativa.

L'importo di 1,6 miliardi di euro viene reperito in primo luogo tramite la riduzione delle spese dei Ministeri per 590 milioni di euro, con un programma di dismissioni per circa 525 milioni di euro e tramite l'inasprimento del Patto di stabilità interno per gli enti locali per 450 milioni di euro.

Ho voluto ricordare queste cifre per rimarcare il fatto che il Governo interviene senza introdurre nuove tasse, bensì con tagli di spesa statale e, in misura minore, agli enti locali con l'inasprimento del Patto di stabilità. È ovvio che il rispetto del limite del 3 per cento ci consentirà di sfruttare quegli spazi di manovra concessi dalla normativa comunitaria ai Paesi che rispettano tali impegni e così le risorse liberate saranno impegnate per gli investimenti necessari al rilancio della crescita di questo Paese.

È cosa buona pure avere previsto ulteriori interventi in materia di finanza locale e di pagamento dei debiti pregressi delle amministrazioni territoriali, nonché norme volte a fronteggiare le esigenze indotte dal fenomeno dell'immigrazione.

Un altro   aspetto positivo è dato dalla possibilità alle regioni sottoposte al piano di rientro del disavanzo sanitario, in caso di riduzione del disavanzo, di evitare l'incremento delle imposte fino al massimo dell'aliquota dell'IRAP e dell'addizionale regionale dell'IRPEF. In questo modo le regioni virtuose potranno disporre della riduzione delle aliquote delle imposte oppure della destinazione ad altre specifiche finalità extrasanitarie.

Nel corso dell'esame in Commissione, è stato precisato che le finalità extrasanitarie possono concernere esclusivamente lo svolgimento di servizi pubblici essenziali o il pagamento di debiti pregressi. In alternativa, si dovrà provvedere alla riduzione della pressione fiscale.

Tutto quello che ho detto e descritto appartiene senz'altro alla sfera di un giudizio positivo, ma ciò non ci deve far dimenticare quanto, invece, poteva essere meglio realizzato e che è giusto che in quest'Aula venga evidenziato. La prima cosa che salta agli occhi è, infatti, una continua modifica della normativa della finanza locale, che non permette certo agli enti locali di svolgere una adeguata programmazione di bilancio. Questo decreto-legge rappresenta l'esempio lampante del modo frettoloso di legiferare a cui ci ha costretto l'Unione europea. Le decisioni di finanza pubblica, troppo spesso, in questi ultimi anni sono state prese sotto scacco dell'emergenza e senza una sintesi di ragionamento ordinato e razionale. Ritengo che questo aspetto abbia, per forza di cose, un altissimo grado di imputazione di responsabilità in capo all'Unione europea.

In un solo decreto-legge, infatti, troviamo, tutte assieme, norme che modificano altre norme recentemente emanate, in primis quella sul Fondo di solidarietà comunale istituito a seguito della ridefinizione della disciplina dell'IMU, operata con la legge di stabilità 2013 e, quindi, già modificata. Nemmeno il Patto di stabilità ha avuto tregua: il comma 5 dell'articolo 2, con alcune modifiche alla legge di stabilità 2012 e relative alla disciplina del Patto di stabilità interno degli enti locali, inasprisce per l'anno 2013 i vincoli del Patto di stabilità interno, aumentando il contributo finanziario richiesto a ciascun ente e sospendendo l'applicazione del sistema di virtuosità ai fini della ripartizione degli obiettivi finanziari del Patto con gli enti medesimi.

Certamente – ed è giusto riconoscerlo – gli enti locali sono tra i maggiori responsabili della spesa pubblica – e questa denuncia va fatta – e quindi automaticamente anche della pressione fiscale che hanno generato, tuttavia siamo tutti d'accordo – penso – che bisogna punire i comuni spendaccioni e aiutare quelli virtuosi.

Orbene, dobbiamo convenire che, invece, con questa norma vengono puniti entrambi e siamo tutti d'accordo che gli amministratori hanno ragione quando dicono che le sanzioni devono riguardare la violazione di norme stabili e non continuamente cambiate.

La disposizione   è controproducente anche perché, se l'inasprimento del Patto di stabilità è disposto a meno di tre mesi dalla chiusura dell'esercizio finanziario, questo Patto genera difficoltà agli enti locali, signor sottosegretario, che, per forza di cose, devono individuare ulteriori misure di risparmio.

L'osservazione del reale ci dice che, nove volte su dieci, in casistiche del genere, gli amministratori per risolvere i loro problemi rinviano il pagamento dei debiti alle imprese fornitrici all'esercizio successivo. In particolare questo accade, è ovvio, con le spese di investimento.

Quindi si comprenderà che abbiamo fatto la norma con cui la pubblica amministrazione ha pagato i suoi mostruosi debiti ai fornitori – noi sappiamo che il debito della pubblica amministrazione è una delle cause di questa crisi economica – e lo abbiamo fatto con il 35 del 2013, abbiamo incrementato la posta con il decreto-legge decreto-legge n. 69 del 2013, l'abbiamo ulteriormente incrementata oggi. Però, i tecnici del MEF si sono dimenticati di far notare al Governo che l'approvazione della norma odierna contraddice la buona volontà politica. In conclusione, riteniamo che il Governo debba evidenziare e ben comunicare in tutte le sedi che i lievi inasprimenti che, eventualmente, dovessero sorgere a livello di enti locali, a seguito di queste disfunzioni normative a cui ho accennato, hanno un carattere transitorio eccezionale; uno strumento, insomma, di rientro di disavanzo che, certamente, non può essere visto come strumento di natura strutturale.

Poco fa abbiamo fatto cenno all'Unione europea e al fatto che certamente ci tratta da cittadini di serie «B». Questa cosiddetta manovrina ne è la prova concreta, abbiamo sforato dello 0,1 per cento e ci hanno costretti a rientrare; e dire che ci sono almeno altri dieci Paesi dell'Unione europea, alcuni anche prestigiosi, che hanno problemi ben più grossi dei nostri, ma tant’è, lo sappiamo. Allora noi, oggi, dobbiamo ragionare per evitare che casi del genere si abbiano a ripetere e ci costringano a commettere errori, perché gli errori tecnico-politici che abbiamo sottolineato con onestà intellettuale vanno addebitati a questa fretta e a questa costrizione a cui ci ha indotto l'Unione europea; dobbiamo fare tutto questo all'interno di un profilo che, ritengo, debba essere la dimensione futura. Dobbiamo recuperare credibilità, questo lo sappiamo, sul fronte del debito pubblico che certamente è consistente, ma la nostra squadra di Governo ha competenze e riconoscimenti internazionali straordinari per fare passare alcuni principi fondamentali di buonsenso, che invece vengono negati, dall'Unione europea. A mio modesto parere, debbono rappresentare l'agenda prossima futura, per evitare che poi magari con un altro 0,00001 per cento ci costringano, forse anche umiliandoci, a fare delle manovre di rettifica.

Quali sono queste tre macro aree su cui certamente dobbiamo intervenire ? Investimenti: non possono essere imputati gli investimenti a spese correnti, abbiamo soluzioni tecniche del tipo di quelle adottate dalla Spagna nel 2012 quando ha diminuito l'indebitamento in conto capitale perché ha imputato tale voce in competenza e non per cassa. La posta basta inserirla tra le uscite di cassa e sterilizzarla dall'altra parte, ponendo soltanto come elemento di uscita la quota di ammortamento dell'anno in questione. Questa è una soluzione tecnica che non penso debba essere un problema per il futuro, ma senz'altro c’è anche quella politica e cioè che gli investimenti producono ricchezza e PIL e questo l'Unione europea ce lo deve riconoscere, consentendo che la posta debba essere messa fuori dal Patto di stabilità, esattamente come fece la Germania all'inizio degli anni Duemila.

Così come anche altro fattore importante, che pongo all'attenzione di questa autorevole Aula, sono le calamità naturali. Non è possibile che vengano imputate a spese correnti e poi farci pagare l'eventuale sforamento. Ci sono i diritti di un popolo che devono essere assolutamente salvaguardati e salvaguardare il proprio territorio e la propria gente è, non un diritto, è molto di più. Io ritengo che o l'Unione europea compartecipa alle spese straordinarie oppure deve consentirci di contabilizzare tali spese al di fuori del Patto di stabilità.

Così come anche le spese di immigrazione e accoglienza. Noi siamo il Checkpoint Charlie tra il nord e il sud del mondo, diceva giustamente il Ministro Alfano, e la terra di nessuno non è di poche centinaia di metri come era nella Berlino ante 1989, è la terra di nessuno con l'intero mare Mediterraneo e le nostre coste sono di migliaia e migliaia di chilometri e il confine teorico di approdo va dal Marocco alla Siria compresa. Ciò significa che le grandi ondate migratorie provenienti da Africa, Medio Oriente, ed Estremo Oriente, finiscono per confluire nell'imbuto del canale di Sicilia. Le spese di accoglienza degli immigrati devono vedere la compartecipazione dell'Europa. Questo è poco ma sicuro oppure perlomeno ce le mettano fuori dal Patto di stabilità. D'altronde al Fondo salva-Stati abbiamo partecipato dissanguandoci ed è inaccettabile che queste problematiche l'Europa non le debba affrontare.

  PRESIDENTE. Onorevole Pagano, concluda.

  ALESSANDRO PAGANO. E visto che parliamo di futuro, di futuro prossimo – e mi avvio alla conclusione, Presidente –, non possiamo che mostrarci preoccupati per notizie che giungono dalla stampa su un piano di dismissione che vorrebbe vedere i nostri asset strategici ceduti, asset fra l'altro, che producono utili. ENI, solo per fare un esempio, «stacca» al Tesoro 170 milioni di euro ogni anno e alla Cassa depositi e prestiti 1 miliardo ogni anno. Che senso ha cedere queste partecipazioni, mi chiedo, e a chi. Penso che la riflessione debba essere ampia e profonda, perché è certo che un conto è cedere, per esempio, ai nostri fondi pensioni italiani, che fra l'altro hanno liquidità a iosa, e un conto è cedere a fondi stranieri.

Senza contare che le riserve energetiche di un Paese, le tecnologie militari e le grandi reti sono le uniche cose che non si possono vendere mai anche se in perdita, figurarsi poi se producono utili. Se decidessimo oggi questi asset, è matematico che pagheremmo di più domani ai signori della speculazione.

  PRESIDENTE. Concluda.

  ALESSANDRO PAGANO. Allora – e concludo –, ritengo che questa amplissima discussione debba formare oggetto dell'agenda del Governo nei prossimi anni, e questo aspetto, sommato al passo positivo cui avevamo accennato poc'anzi, ci deve far guardare, tutto sommato, all'interno di questa progettualità e a questo risultato conseguito con positività a questa «manovrina».

  PRESIDENTE. Grazie.

   ALESSANDRO PAGANO. Quindi, a parte questi consigli, mi avvio a concludere per la dichiarazione di voto...

  PRESIDENTE. Concluda.

  ALESSANDRO PAGANO. ... annunciando il voto favorevole del mio gruppo, il Nuovo Centrodestra, alla conversione in legge di questo decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo Nuovo Centrodestra).