Proposta di Legge N.1888 in materia in aiuto al suicidio assistito

 

 

 

 

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1888

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

ALESSANDRO PAGANO, TURRI, PANIZZUT, BISA, BOLDI, BONIARDI, DE MARTINI, CANTALAMESSA, FOSCOLO, DI MURO, LAZZARINI, MARCHETTI, LOCATELLI, PAOLINI, TIRAMANI, POTENTI, ZIELLO, TATEO

Modifiche all'articolo 580 del codice penale, in materia di aiuto al suicidio, e alla legge 22 dicembre 2017, n. 219, riguardanti le disposizioni anticipate di trattamento e la prestazione delle cure palliative


Presentata il 5 giugno 2019

Onorevoli Colleghi! — Il 23 ottobre 2018 la Corte costituzionale ha esaminato la questione di legittimità dell'articolo 580 del codice penale, nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione. La questione era stata sollevata con ordinanza del 14 febbraio 2018 dalla I corte d'assise di Milano nel procedimento penale a carico di Marco Cappato, imputato per aver agevolato il suicidio di Fabiano Antoniani – conosciuto come dj Fabo –, aiutandolo a recarsi in Svizzera alla clinica Dignitas, dove è poi avvenuto il decesso.

Con l'ordinanza n. 207 del 24 ottobre 2018 la Consulta ha rinviato la decisione all'udienza del 24 settembre 2019. Il provvedimento che ha disposto il rinvio, invece che poche righe – quelle che di regola in sede giurisdizionale servono a motivare lo slittamento e a indicare la nuova data –, ha destinato non poche pagine per sostenere che la norma penale impugnata ha qualche ragione di permanenza nell'ordinamento – tutelare le persone più deboli e in difficoltà, per le quali il suicidio è una tentazione da non assecondare – ma che, tuttavia, deve essere rivista.

La presente proposta di legge intende dare un seguito alle indicazioni della Consulta, evitando comunque la loro trasposizione in norme eutanasiche, tenendo conto dei princìpi costituzionali richiamati nell'ordinanza n. 207 del 2018.

L'articolo 1 fornisce una prima risposta alla sollecitazione della Corte costituzionale di «considerare specificamente situazioni come quella oggetto del giudizio a quo: situazioni inimmaginabili all'epoca in cui la norma incriminatrice fu introdotta, ma portate sotto la sua sfera applicativa dagli sviluppi della scienza medica e della tecnologia, spesso capaci di strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali».

L'articolo 1 distingue, pertanto, la posizione di chi non ha alcun legame con il paziente e di coloro che, invece, da più tempo soffrono con il paziente a causa della costante vicinanza allo stesso. Questo spiega il riferimento alla convivenza: essa rappresenta un parametro obiettivo che agisce effettivamente sulle ragioni di attenuazione e non un dato meramente formale come la parentela o il coniugio, che presumibilmente provocherebbero ulteriori interventi costituzionali per il caso di parentela non estesa a conviventi affettivamente legati al malato.

La posizione del convivente, familiare in senso formale o no, è evidentemente diversa da quella di altri e tollera un trattamento distinto e una sanzione meno grave, pur mantenendosi il giudizio negativo dell'ordinamento. È la stessa Consulta che nell'ordinanza citata ricorda come «L'incriminazione dell'istigazione e dell'aiuto al suicidio – rinvenibile anche in numerosi altri ordinamenti contemporanei – è, in effetti, funzionale alla tutela del diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili, che l'ordinamento penale intende proteggere da una scelta estrema e irreparabile, come quella del suicidio. Essa assolve allo scopo, di perdurante attualità, di tutelare le persone che attraversano difficoltà e sofferenze, anche per scongiurare il pericolo che coloro che decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano interferenze di ogni genere». La Corte ha aggiunto che «La circostanza, del tutto comprensibile e rispondente ad una opzione da tempo universalmente radicata, che l'ordinamento non sanzioni chi abbia tentato di porre fine alla propria vita non rende affatto incoerente la scelta di punire chi cooperi materialmente alla dissoluzione della vita altrui, coadiuvando il suicida nell'attuazione del suo proposito. Condotta, questa, che – diversamente dalla prima – fuoriesce dalla sfera personale di chi la compie, innescando una relatio ad alteros di fronte alla quale viene in rilievo, nella sua pienezza, l'esigenza di rispetto del bene della vita». E ancora: «Il divieto in parola conserva una propria evidente ragion d'essere anche, se non soprattutto, nei confronti delle persone malate, depresse, psicologicamente fragili, ovvero anziane e in solitudine, le quali potrebbero essere facilmente indotte a congedarsi prematuramente dalla vita, qualora l'ordinamento consentisse a chiunque di cooperare anche soltanto all'esecuzione di una loro scelta suicida, magari per ragioni di personale tornaconto. Al legislatore penale non può ritenersi inibito, dunque, vietare condotte che spianino la strada a scelte suicide, in nome di una concezione astratta dell'autonomia individuale che ignora le condizioni concrete di disagio o di abbandono nelle quali, spesso, simili decisioni vengono concepite. Anzi, è compito della Repubblica porre in essere politiche pubbliche volte a sostenere chi versa in simili situazioni di fragilità, rimovendo, in tal modo, gli ostacoli che impediscano il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, secondo comma, Cost.)».

Alla stregua di tali princìpi, l'articolo 1, come osservato, introduce una forma attenuata di reato, individuando quale soggetto attivo chi conviva stabilmente con il malato, precisando due tipologie di condizioni che rendono meno grave l'illecito: la prima attinente all'autore del fatto, la cui condotta è condizionata dal grave turbamento determinato dalla sofferenza altrui, la seconda riguardante l'ammalato, tenuto in vita con strumenti di sostegno vitale, interessato da una patologia irreversibile fonte di intollerabile sofferenza.

Gli articoli da 2 a 8 danno seguito alla parte dell'ordinanza n. 207 del 2018 con la quale la Corte costituzionale richiama, per un verso, «le previsioni della L. 15 marzo 2010, n. 38 (Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore) – che tutela e garantisce l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del paziente, inserendole nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza –» e ricorda che «la L. n. 219 del 2017 prevede che la richiesta di sospensione dei trattamenti sanitari possa essere associata alla richiesta di terapie palliative, allo scopo di alleviare le sofferenze del paziente» e, per un altro verso, precisa che per il medico coinvolto nei trattamenti di «fine vita» deve essere prevista la facoltà dell'obiezione di coscienza.

L'articolo 2, riprendendo l'ampia letteratura scientifica che non considera trattamenti sanitari la nutrizione e l'idratazione, anche artificiali, modifica il comma 5 dell'articolo 1 della legge n. 219 del 2017, che invece ha effettuato tale impropria parificazione, sempre che il paziente sia in grado di assimilare quanto gli viene somministrato.

L'articolo 3, in coerenza con le indicazioni della Consulta, introduce la disciplina dell'obiezione di coscienza per il medico e per il personale sanitario e la colloca al comma 6 dell'articolo 1 della legge n. 219 del 2017, seguendo la medesima articolazione stabilita per gli altri casi di obiezione disciplinati dall'ordinamento e, in particolare, quella dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978.

L'articolo 4, in linea con il rispetto dovuto alle strutture sanitarie che hanno già manifestato serie difficoltà nell'attuazione della legge n. 219 del 2017 a causa della loro ispirazione religiosa, esclude la cogenza di tali disposizioni per le strutture sanitarie private.

L'articolo 5, comma 1, punta a rendere effettivo il ricorso alle cure palliative, come già previsto dall'articolo 2 della legge n. 219 del 2017 e come è richiesto dalla Consulta, con la presa in carico del paziente da parte del Servizio sanitario nazionale al fine di praticare un'appropriata terapia del dolore. Il comma 2 integra logicamente l'articolo 5, indicando i requisiti specifici della sedazione profonda, che deve necessariamente seguire, in presenza di sintomi refrattari ai trattamenti sanitari, le cure palliative, allo scopo di non trasformarsi in un trattamento eutanasico.

L'articolo 6 interviene in materia di informazioni ai minori sulle scelte relative alla loro salute, prevedendo che tali informazioni siano adeguate all'età degli stessi minori.

L'articolo 7 fa prevalere le ragioni della vita, sulla base della scienza e della coscienza del medico, qualora sia sorta la necessità di fare ricorso al giudice, per evitare che l'attesa del provvedimento dello stesso abbia esiti irreversibili.

L'articolo 8 mira a fare sì che in situazioni di emergenza la revoca delle dichiarazioni anticipate di trattamento sia liberata da inutili formalità, essendo sufficiente la raccolta della dichiarazione di revoca da parte del medico.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

(Modifica all'articolo 580 del codice penale)

1. All'articolo 580 del codice penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Se il fatto è commesso nei confronti di una persona tenuta in vita solo mediante strumenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile fonte di intollerabile sofferenza, si applica la reclusione da sei mesi a due anni quando l'autore convive stabilmente con il malato e agisce in stato di grave turbamento determinato dalla sofferenza dello stesso. Non si applicano le disposizioni del secondo comma».

Art. 2.

(Idratazione e alimentazione)

1. Il terzo periodo del comma 5 dell'articolo 1 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, è sostituito dai seguenti: «Ai fini della presente legge, l'idratazione e l'alimentazione, anche se garantite attraverso ausili tecnici, non sono considerati trattamenti sanitari. La somministrazione di sostanze nutritive, in qualsiasi modalità, deve comunque seguire i criteri dell'appropriatezza medica».

Art. 3.

(Obiezione di coscienza)

1. Alla legge 22 dicembre 2017, n. 219, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il secondo periodo del comma 6 dell'articolo 1 è sostituito dai seguenti: «Il medico e gli altri esercenti le professioni sanitarie hanno facoltà di presentare dichiarazione di obiezione di coscienza in relazione all'attuazione della presente legge qualora la sottoposizione o la rinuncia ai trattamenti sanitari ovvero il rispetto delle disposizioni anticipate di trattamento di cui all'articolo 4 contrastino con la deontologia professionale e con le buone pratiche socio-assistenziali. La dichiarazione è presentata in forma scritta al dirigente della struttura sanitaria nella quale il medico e gli altri esercenti le professioni sanitarie prestano servizio, entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ovvero dall'immissione in servizio del dichiarante, ha efficacia dal giorno stesso della presentazione e non può in alcun modo pregiudicare l'esercizio della professione. La dichiarazione può essere revocata con le medesime modalità previste dal presente comma e la revoca ha efficacia decorsi trenta giorni dalla data di presentazione»;

b) al comma 5 dell'articolo 4, dopo le parole: «in tutto o in parte, dal medico stesso» sono inserite le seguenti: «se questi non ha già presentato la dichiarazione di obiezione di coscienza ai sensi dell'articolo 1, comma 6».

 

Art. 4.

(Ambito di applicazione della legge 22 dicembre 2017, n. 219)

1. Al comma 9 dell'articolo 1 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, le parole: «o privata» sono soppresse.

Art. 5. (Terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignità nella fase finale della vita)

1. All'articolo 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il secondo periodo del comma 1 è sostituito dal seguente: «A tal fine, è sempre garantita la presa in carico del paziente da parte del Servizio sanitario nazionale per la prescrizione di un'appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l'erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38»;

b) il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza della morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sintomi refrattari ai trattamenti sanitari, accertati e monitorati dagli esperti in cure palliative che hanno preso in carico il paziente, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente».

 

Art. 6.

(Minori)

 

1. Al comma 1 dell'articolo 3 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, dopo le parole: «in modo consono» sono inserite le seguenti: «alla sua età e».

Art. 7.

(Situazioni di emergenza)

1. All'articolo 3 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«5-bis. Nelle situazioni di emergenza o di urgenza, che impediscono di attendere la pronuncia del giudice tutelare di cui al comma 5, il medico e i componenti dell’équipe sanitaria garantiscono i trattamenti e le cure necessari».

Art. 8.

(Revoca delle dichiarazioni anticipate di trattamento)

1. Al comma 6 dell'articolo 4 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, le parole: «, con l'assistenza di due testimoni» sono soppresse.