Non abbiamo bisogno delle Olimpiadi, abbiamo bisogno di Diritti Umani

Yang Chunlin, detenuto da luglio per "istigazione alla sovversione contro lo Stato", perché ha scritto che "noi non abbiamo bisogno delle Olimpiadi, abbiamo bisogno di diritti umani". Il giovane disoccupato aveva aiutato alcuni amici contadini a scrivere una petizione contro l'esproprio illegale di terre, ha raccolto 10 mila firme e per questo è in carcere da 8 mesi. La notizia l’ha pubblicata Asianews del mese di marzo. In Cina chi protesta è incarcerato.

Quando Pechino si era candidata per le Olimpiadi 2008, il ministro cinese degli Esteri si è impegnato a migliorare la situazione dei diritti umani, a ridurre le emissioni inquinanti delle fabbriche, a rivedere la situazione del Tibet. Ad oggi questi obiettivi sono stati ignorati. Anzi secondo Asianews è prevedibile che la morsa si stringa ancora di più: chiunque osa criticare il governo per la situazione attuale della Cina rischia la galera.

In questi giorni esce un libro-notizia che s’intitola Cina. Traffici di morte. Il commercio degli organi dei condannati a morte, edito da Guerini e Associati (pp. 206), un dossier curato da Maria Vittoria Cattania e da Toni Brandi, si apre con una prefazione del professore Harry Wu (19 anni di campo d’internamento), è il frutto del gran lavoro profuso dalla Laogai Research Foundation, di Washington, presieduta dallo stesso Wu. Quelli della Fondazione americana passano la vita ad informare con precisione sui laogai, i famosi e famigerati campi di concentramento del comunismo cinese in cui sono costretti ai lavori forzati diversi in cui sono costretti ai lavori forzati diversi milioni di cittadini che il regime di Pechino sfrutta godendo di manodopera gratis, e noi giù a comperare le merci manufatte così, che Pechino ci vende a buon mercato e a organizzargli la festicciola delle Olimpiadi.

Un libro come questo dovrebbe essere presentato in tutte le trasmissioni televisive, dovrebbe essere una grande notizia e ci dà scandalo che nessuno lo agiti a mò di bandiera, che nessuno lo affigga come un manifesto sopra i muri, che nessuno lo gridi da sopra i tetti.

Ogni anno in Cina sono condannate a morte tra le 8 e le 10 mila persone, e nessuno fa casino per le strade, ci fa sopra un film, si agita per le piazze. Si tratta di una mattanza incredibile; ogni anno ci sono migliaia di ribellioni. E’ la Cina comunista dove i carcerati sono schiavi dello Stato-Moloch e i condannati a morte magazzini di pezzi di ricambio.

Nel libro di Cattania e Brandi in pratica si denuncia che il comunismo cinese condanna a morte i prigionieri politici per poi poter espiantare i loro reni, fegati, cornee, tutti pezzi utili che poi sono venduti al mercato sia interno che esterno. Nel dicembre 2006 anche Pechino ha riconosciuto che la totalità degli organi venduti dalla Cina viene espiantata dai corpi dei prigionieri uccisi.

In Cina oltre a questi orrori quotidiani, mentre scriviamo, continua la repressione della rivolta dei tibetani guidati dai monaci. Di fronte a questo massacro, alle umiliazioni, alle persecuzioni di monaci e cittadini inermi non possiamo rimanere indifferenti. E mi chiedo dove siano finite le bandiere arcobaleno, a marcire in cantina? E dove sono finiti i «marciatori per la pace», la tolleranza, la solidarietà? Si chiede Aldo Forbice su Liberal: "E i radicali, sempre così solerti a fare scioperi della fame per ottenere qualche posto in parlamento in più, come mai rimangono fermi, inebetiti, imbarazzati?"

Ecco questo è il Paese dove si dovrebbero svolgere quei giochi che da sempre rappresentano pace, libertà, gioia e serenità. C’è da domandarsi, com’è che un Paese così, può da decenni continuare, da Tiennamen in qua, a fare quel che vuole, a prenderci per il naso, a dirci mentendo che cambia per poi continuare invece a farla franca, e noi che, cornuti e mazziati, lo mettiamo fra i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Alessandro Pagano

Domenico Bonvegna