Per una scuola che ricominci ad insegnare

Questo nuovo anno scolastico si presenta ancor di più in sofferenza. Oltre ai soliti problemi stavolta ci sono anche 12.000 docenti precari rimasti senza incarico e che hanno contribuito ad aggravare la già difficile situazione del mondo scolastico.

Di fronte a questi fatti tutti, non importa se di destra o sinistra, convengono che lo stato di salute della scuola italiana è pessimo. Il professor Luca Ricolfi in un suo editoriale su La Stampa del 23.07.09 ha sintetizzato bene questo malessere: "la realtà è che la maggior parte dei giovani che escono dalla scuola e dall’università, è sostanzialmente priva delle più elementari conoscenze e capacità che un tempo scuola e università fornivano.

Essi hanno perso solo la capacità di esprimersi correttamente per iscritto, hanno perso anche l’arte della parola, ovvero la capacità di fare un discorso articolato, comprensibile, che accresca le conoscenze di chi ascolta. Hanno perso la capacità di concentrarsi, di soffrire su un problema difficile. Fanno continuamente errori logici e semantici, perché credono che i concetti siano vaghi e intercambiabili. Banalizzano tutto quello che non riescono a capire".

Ai grandi e non facili problemi della scuola, un notevole contributo per cercare di risolverli potrebbe arrivare dalle "provocazioni" dell’ottimo libro di Paola Mastrocola, "La scuola raccontata al mio cane", Ugo Guanda editore, giunto alla 10 edizione che consigliamo di leggere anche ai non addetti ai lavori perché rappresenta uno spaccato interessantissimo, dove la Mastrocola, professoressa di lettere in un Liceo scientifico, fa una descrizione spietata dell’attuale sistema scolastico italiano e offrendo ottimi spunti per una vera "riforma" della scuola.

Il presupposto dell’autrice è che una volta c’era un patto tra scuola e società; si volevano le stesse cose e si lavorava nella stessa direzione. Per esempio la scuola esigeva studio e fatica e la famiglia era d’accordo. La meta da raggiungere era condivisa: una buona formazione culturale che la scuola s’impegnava a fornire. Adesso questo patto è saltato, scrive la Mastrocola, "la famiglia rema contro e desidera che i propri figli sorridano e siano lasciati in pace, senza traumi, punizioni, prezzi da pagare". Gli insegnanti sempre più spesso percepiscono di avere un nemico: i genitori, ovvero la società.

Quando i genitori chiedono che la scuola sia facile e divertente, che abolisca le difficoltà, la fatica e l’impegno, in realtà chiedono alla scuola di snaturarsi e di abdicare anche lei, così come hanno già fatto gli stessi genitori. E la scuola alla fine si è adeguata!

"Adesso mi sembra - scrive Mastrocola – che la scuola voglia assomigliare a cose che per natura sono molto diverse da lei: un Parco Giochi, o un Centro Sociale".

La scuola di oggi "non fa lezione, ma brainstorming e uscite didattiche; non chiede, ma offre; non segue programmi, ma percorsi; non fa letteratura, ma comunicazione; non chiede il tema, ma l’articolo di giornale; non fornisce contenuti, ma metodi; non indirizza nei libri da leggere. Evita così all’allievo, la frustrazione del foglio bianco; l’umiliazione di avere un professore sapiente; la fatica di imparare delle nozioni; l’imbarazzo di prendere 4 in pagella; l’impegno di fare cose difficili; la noia di leggere un libro troppo lungo".

Siamo sinceri, noi tutti vogliamo che i nostri figli-allievi siano non frustrati, non umiliati, non affaticati, non imbarazzati, non impegnati, non annoiati. Per cui devono essere integrati, socializzati, promossi, divertiti, alleggeriti, confortati, aiutati, ascoltati, recuperati, poco-facenti. Da tutto ciò l’unica cosa che è scomparsa è lo studio. A furia di combattere il nozionismo si è esagerato al punto che oggi è pressoché impossibile trovare studenti che sappiano a memoria passi della "Divina Commedia" oppure poesie e odi. Addirittura per colpa dell’uso smodato delle calcolatrici ci sono larghe fette di allievi che non sanno fare le operazioni matematiche o addirittura non sanno le tabelline. In pratica tutti siamo diventati più ignoranti, senza contare che non abbiamo più coltivato la nostra memoria.

Abbiamo perso definitivamente l’idea di studio. Studio voleva dire fare in modo che le cose contenute in un libro poi fossero contenute nella nostra testa, così che non avessimo più bisogno del libro.

Noi, certo, dovevamo leggerli! E anche studiarli. Niente ci poteva esimere dallo studio, dalla fatica e anche dalla noia di trasferire i libri in noi. Oggi non avviene più così. Con internet, spesso si scarica una ricerca, si stampa, si copia e incolla e poi basta. Tutto scivola come acqua fresca.

In un profetico film del 1966, Fahrenheit 451, tratto dall’omonimo romanzo di Ray Bradbury, il grande regista François Truffaut narrava di una società immaginaria e futuristica, una dittatura che aveva soggiogato il mondo rendendolo schiavo attraverso la distruzione sistematica dei saperi, cioè dei libri.

Per cui la polizia di quella dittatura procedeva all’arresto di quanti erano in possesso di libri e bruciavano qualsiasi testo esistente. Gli abitanti di quella società erano andati avanti facendo imparare a memoria i fondamenti della nostra società, cioè i libri, ai loro figli. Oltre a consigliare la visione del film (fra l’altro è uno dei rari casi in cui il film è più bello del libro), l’augurio è che quanti hanno responsabilità a vari livelli facciano fare alla scuola un percorso opposto a quello finora vissuto. Che questo prossimo anno scolastico (ma anche accademico) diventi il punto di risalita rispetto al baratro cognitivo in cui siamo precipitati.

Alessandro Pagano

Domenico Bonvegna