Caccia all'uomo. Berlusconi come Calabresi

Non crediamo di esagerare ma la campagna di odio contro Silvio Berlusconi, per certi versi assomiglia alla campagna di diffamazione che allora subì il povero commissario Luigi Calabresi. Stesse violenze verbali, stesse pressioni mediatiche, stesso odio e cattiveria.

Per evitare che anche queste aggressioni verso il Presidente del Consiglio possano degenerare, ci permettiamo di ricordare a mò di monito il “caso Calabresi”.
Per quanti non lo dovessero ricordare, per oltre due anni Luigi Calabresi subì una sistematica campagna diffamatoria che lo portò alla morte violenta il 17 maggio 1972.
A tal proposito ci permettiamo di consigliare di leggere un libro “Luigi Calabresi. Un profilo per la storia”, di Giordano Brunettin che ci ricorda questa bella figura.
Luigi Calabresi era il commissario di polizia  che indagava sul movimento anarchico dopo la strage alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana a Milano avvenuta esattamente 40 anni fa. Durante un interrogatorio uno di questi anarchici, Giuseppe Pinelli si buttò dalla finestra e la sinistra accusò Calabresi  di essere stato l’omicida.
Certo non vogliamo arrivare a paragonare Berlusconi con Calabresi, due persone molto diverse, ma molto simili furono e sono le campagne di odio che hanno subito.
Nella prefazione scrive il cardinale monsignor Angelo Comastri: "Luigi Calabresi ha vissuto in pieno le 'assurdità' cristiane: non si è preoccupato del potere ma del dovere, non si è preoccupato della carriera ma della fedeltà alla coscienza, non ha cercato onori ma ha cercato di far onore alla verità e all'onestà. Per questo è stato ucciso e, dopo l'uccisione, è stato più volte crocifisso da una campagna di menzogne che, finalmente, ora si sta sciogliendo come nebbia al sole”.
Per fortuna oggi Calabresi si pone, quale modello ideale anche per le giovani generazioni, che purtroppo ignorano la storia e non conoscono le loro radici e gli uomini che si sono contraddistinti per eroismo.
Anche il Grande Giovanni Paolo II si occupò di Calabresi definendolo: “generoso servitore dello Stato, fedele testimone del Vangelo, costante nella dedizione al proprio dovere pur fra gravi difficoltà e incomprensioni, esempio nell'anteporre sempre all'interesse privato il bene comune”.
Oggi chiunque abbia onestà intellettuale e rigorosa capacità storica sa che quell’integerrimo commissario di polizia fu perseguitato e anche la morte, per mano del movimento ultra comunista Lotta Continua, fu presentata come atto di giustizia proletaria.  
Durante quella persecuzione mediatica, non ci furono limiti. Si pensi che il giornale eversivo Lotta Continua indicò Calabresi come futuro “imputato e vittima” di un processo e di una “esecuzione” da parte della giustizia del proletariato, e affermò che “l'eliminazione di un poliziotto è un momento e una tappa fondamentale dell'assalto del proletariato contro lo Stato assassino”.
Quegli anni furono caratterizzati da vignette offensive (i comunisti hanno sempre usato l'arma della satira, come fa oggi Vauro), da volgarità, da telefonate anonime e da lettere minatorie. I manifesti diffamatori e minacciosi affissi a Milano presso l'abitazione di Luigi Calabresi e a Roma presso l'abitazione dei suoi genitori furono centinaia, i cortei nei quali si gridava contro Calabresi decine e decine. Oltre a tutto questo vi fu una squallida mobilitazione di 800 persone che sottoscrissero un documento (pubblicato da L'Espresso il 13 giugno 1971) nel quale Luigi Calabresi venne definito “commissario torturatore” e “responsabile della fine di Pinelli”. A firmare furono filosofi, personaggi del cinema, poeti, storici, critici, musicisti, scienziati, architetti, scrittori, politici, sindacalisti, giornalisti: da Norberto Bobbio a Tinto Brass, tutti fecero a gara a scrivere contro il poliziotto.
Ma Luigi Calabresi reagì da buon cristiano all'alluvione di ingiurie e minacce. Confidò nel trionfo della verità, trovò conforto nella fede e quando le minacce si fecero insistenti e gravi e qualcuno gli propone il trasferimento, egli rifiutò dicendo: “L'attacco non è tanto rivolto a me, quanto allo Stato, che io nel mio piccolo rappresento; ma lo Stato non può fuggire”. E poi “non posso farlo, perchè non voglio che domani a qualcuno dei miei figli possano dire: tuo padre è fuggito”.
Abbiamo pensato di donarvi queste pagine di questo splendido uomo perché ognuno possa riflettere su quanto accaduto in questi giorni al Presidente Berlusconi e perché non vi sia mai più un altro caso Calabresi.

 

 

 

Alessandro Pagano

 

Domenico Bonvegna