Credito e sviluppo in Sicilia

Credito e sviluppo in Sicilia

(Convegno organizzato da: Centro Studi CGIL Regionale)

Fra gli intervenuti: Prof. Antonio Purpura (Docente di Economia Industriale Università di Palermo); Dott. Giuseppe Quirino (Istat); Prof. Pietro Busetta (Docente di Statistica Economica Università di Palermo); Dott. Carmelo Di Liberto (Segretario Generale CGIL Sicilia).

Sintesi della relazione dell’On.le Alessandro Pagano – Assessore Regionale al Bilancio e Finanze.

IL CREDITO IN SICILIA

I nostri banchieri ci dicono attraverso i dati BANKITALIA di pochi giorni fa che:

Così il timore che gli effetti dei casi Parmalat e Cirio potessero creare un sovrappiù di prudenza da parte delle banche nella concessione di prestiti alle imprese sembra non concretizzarsi nel senso che una sostanziale debolezza della domanda proveniente dalle attività produttive è da ricercarsi soprattutto in aspetti strettamente congiunturali.

Ci assicurano inoltre che il sistema bancario rimane disponibile a finanziare l'economia.

Ma questa situazione riguarda anche il contesto del Mezzogiorno e particolarmente la Sicilia? Da dove bisogna partire per cogliere i problemi più di fondo della situazione siciliana e delle sue effettive prospettive?

Una premessa di carattere generale:

è indubbio che esiste un rapporto di causa effetto tra sistema creditizio e sviluppo economico. Soprattutto nelle aree depresse la presenza di una efficiente struttura finanziaria costituisce una delle premesse per il decollo del processo di sviluppo economico.

Il sistema bancario è certamente uno dei regolatori più importanti dell'economia anche se è opinione diffusa che esso da un lato non riesce a sostenere adeguatamente lo sviluppo delle imprese più piccole, che costituiscono il nerbo del nostro sistema produttivo, e dall'altro gli si imputa di privilegiare i soliti grandi gruppi industriali del nord di non favorire lo sviluppo del mercato dei capitali in alternativa alle tradizionali forme di credito ordinario.

L'Italia è il paese europeo con la più alta bancarizzazione dei finanziamenti alle imprese nel senso che c'è un basso sviluppo del mercato dei capitali e le aziende pensano poco alla borsa, alle securitization, al venture capital, merchant bank o ad altri strumenti per trovare risorse da investire.

Questo succede anche per ragioni culturali. Le piccole aziende spesso non sono abbastanza trasparenti nella loro organizzazione interna e contabile e preferiscono ricercare rapporti confidenziali con le banche sul territorio. La finanza d'impresa finisce così per coincidere con il credito erogato dalle banche commerciali le quali assumono il rischio soltanto in presenza di patrimoni dell'imprenditore ovvero dinanzi ad altre forme istituzionalizzate di garanzie pubbliche o private. In un modello più equilibrato l'attività del banchiere commerciale è affiancata da quella di altri intermediari (fondi, i, venture capital ecc) che coprono quegli spazi di insoddisfazione.

Per certi aspetti le banche commerciali italiane hanno svolto una funzione di supplenza, rispetto all'assenza di altri intermediari, mercati e strumenti, cercando di ridurre le asimmetrie informative e le carenze di capitale umano specifico.

Ma su questa posizione le stesse banche hanno costruito una rendita di posizione dove l'erogazione del credito avviene solo se il richiedente è dotato di adeguate coperture patrimoniali senza alcuna attenzione verso il progetto imprenditoriale. La concorrenza delle banche si riduce soltanto al semplice prezzo del servizio o tasso d'interesse.

Le nuove idee di imprese hanno sempre trovato ostacoli all'interno del circuito bancario ed a maggior ragione in quei tenitori dove lo sviluppo del capitalismo è stato debole ma dove si dovrebbe intervenire con rilevanti disponibilità di capitali.

Il sistema creditizio siciliano è stato interessato negli ultimi anni da due fattori:

1) CONCENTRAZIONE

Si pensava che con la realizzazione dell'Unione Economica e Monetaria si sarebbe verificato un miglioramento dell'efficienza dei sistemi creditizi, soprattutto nelle regioni meno sviluppate, grazie ad un incremento della presenza di grandi banche che avrebbe provocato un aumento delle alternative di finanziamento con la riduzione del costo del credito.

In verità questi miglioramenti non si sono ancora manifestati in Sicilia ma anzi i processi di concentrazione che si sono attuati hanno penalizzato le realtà periferiche dotate di sistemi finanziari meno efficienti e di una struttura produttiva caratterizzata da micro imprese.

La presenza di banche del nord o straniere non ha accresciuto la concorrenza dal punto di vista degli impieghi e per quanto attiene l'offerta di tassi di interessi più vantaggiosi. Così come i rapporti tra PMI e sistema creditizio non si sono evoluti positivamente con i processi di fusione/acquisizione bancaria avvenuti negli ultimi anni.

Dai dati relativi a settembre 2003 risultano in Sicilia 66 banche di cui 35 con direzione amministrativa nella regione per un totale di 1685 sportelli. Dal 1996 (63) la presenza di istituti siciliani si è dimezzata e l'offerta bancaria risulta più bassa che nel resto del paese.

Il numero di sportelli per abitanti nel centro-nord è più del doppio rispetto a quello riscontrabile nel mezzogiorno (5,9 sportelli ogni 10.000 abitanti, contro i 3 delle regioni meridionali) ed anche se valutando altri indicatori quali il rapporto tra il numero di sportelli ogni 1000 miliardi di PIL prodotto le differenze strutturali a livello territoriale sembrano attenuarsi possiamo affermare che la forte presenza di banche del nord non ha accresciuto la concorrenza. Qualche effetto positivo si è verificato dal lato della raccolta mentre i risultati si sono dimostrati più deludenti dal lato degli impieghi.

Come Regione per la prima volta ci siamo posti il problema di come valutare il grado di adeguatezza del settore dell'intermediazione rispetto ai bisogni effettivi e potenziali dei clienti. Abbiamo così costruito un sistema di monitoraggio che ci consentirà di assumere informazioni autonome dalle banche e di valutarle secondo le nostre esigenze.

In un economia di mercato l'adeguatezza dell'industria bancaria si misura con la capacità di offrire alle famiglie ed alle imprese prodotti e servizi utili ad affrontare le diverse forme di rischio. Per quanto riguarda le imprese esse hanno bisogno di poter contare su banche che sappiano valutare il merito di credito in una prospettiva capace di saper individuare la struttura finanziaria più adatta alla fisionomia dell'impresa. Ma per certi aspetti le concentrazioni bancarie hanno portato molti istituti lontano dal territorio allungando la catena del dialogo ed i tempi delle risposte. Il risultato, così come evidenziato dalle imprese, è che per certi aspetti le grandi banche sono sempre meno competenti a giudicare le capacità di credito di un impresa.

Le aziende sono fatte di tante cose: oltre che di macchinali e capannoni anche di uomini, di idee e di intuizioni e quindi una parte dei fondi degli istituti di credito dovrebbe essere lasciata nella disponibilità delle banche slegati dalle garanzie reali in modo che si possono finanziare anche i business emergenti.

In questo senso l'adozione di strumenti innovativi come fondi, venture capitai, merchant bank è condizione necessaria ma si segna il passo anche per l'incapacità delle banche di informare e gestire processi avanzati di finanziamento, fatto testimoniato per esempio, come è stato denunciato dalla Confindustria, dalla mancata presentazione di progetti per la Legge 388/2000 che prevede agevolazioni per fare Venture Capital.

Da un indagine dello SVIMEZ di contro si accredita alle imprese meridionali una maggiore propensione all’uso di strumenti finanziari innovativi. Nel periodo 1998/2000 la quota di imprese che ha fatto ricorso a tali strumenti è stata del 6,4 al sud rispetto al 3,9 del nord. Il prodotto bancario (depositi + impieghi) per sportello è cresciuto nel 2003 (settembre) del 2,72 rispetto al dato del 2002.

2) RAZIONAMENTO

In realtà le grandi banche hanno privilegiato il mercato all'ingrosso e quella parte di mercato al dettaglio meno rischioso lasciando alle banche locali settori più rischiosi. Oggi il sistema bancario in Sicilia è senz'altro più efficiente sotto il profilo dei costi e sotto quello reddituale rispetto al passato ma detto recupero non si è ancora tradotto in un miglioramento delle correnti condizioni creditizie per le imprese e per l'economia regionale nel suo complesso e quindi i maggiori vantaggi del processo di ristrutturazione rimangano limitati allo stesso settore bancario. Così il sistema regionale si caratterizza più per essere un valido ed efficiente fornitore di liquidità e di depositi che per un capace utilizzatore.

Il rapporto impieghi-depositi mostra - con riferimento agli ultimi dati disponibili giugno 2003 - come mentre i DEPOSITI sono cresciuti del 7,6% (la media nazionale è del 6,9%) gli IMPIEGHI sono aumentati solo del 6,4 (media nazionale 7,1%).
Se osserviamo la composizione degli impieghi per settori di attività economica rileviamo i riflessi di una certa fragilità della struttura economica dell'isola ma anche un certo modo di gestire i flussi di credito:

Per quanto riguarda il dettaglio dei crediti erogati al comparto produttivo circa il 50% è diretto verso il settore dei servizi (44% in Italia) ed il 26,6 all'industria (41% in Italia) 8% verso l'agricoltura (4% in Italia).

Da una analisi dello Svimez risulta che ben il 33% delle imprese meridionali che avrebbe desiderato maggior credito è rimasto insoddisfatto mentre al centro-nord la percentuale si abbassa al 18%.

A fronte dell'evoluzione della struttura del sistema creditizio, anche per il perdurare di una fase congiunturale economica depressiva che ha provocato una accelerazione nel tasso di mortalità delle imprese, non si è incentivato l'incremento di nuovi modelli organizzativi e nuove strategie di sviluppo dal lato dell'offerta del credito in grado di determinare una fluida circolazione di capitali all'interno dei circuiti economici locali.

Se nonostante la consistenza delle sofferenze lorde in Sicilia, a giugno 2003, registra una riduzione del 7% a fronte di un incremento a livello nazionale del 5% e medesimo andamento si riscontrano per gli incagli che in Sicilia si riducono del 7% mentre in Italia crescono del 6,4% costituiscono delle indicazioni positive, spiegate attraverso operazioni di cessioni e cartolarizzazione, permane però una condizione in cui si rispecchia una realtà in cui i meccanismi di approvvigionamento del credito continuano ad essere più restrittivi che altrove. Il tasso medio di interesse risulta di quasi due punti superiore ai tassi praticati al centro- nord.

IL RUOLO DELLA REGIONE:

Siamo intervenuti sul sistema economico partendo dalla convinzione che la leva fiscale che la Regione può utilizzare doveva essere attivata per attrarre investimenti ed interessi imprenditoriali. Per la prima volta in 50 anni di autonomia si è deciso di aprire un confronto-scontro, partendo dallo Stanato con lo Stato e la Comunità europea: le norme sulle agevolazioni IRAP e sulla zona franca sono i primi atti legislativi che porteranno comunque la Regione a confrontarsi con la Comunità Europea.

Ma la questione si pone su un livello più generale e riguarda il fatto che mai la classe politica regionale ha voluto intestarsi una politica di rivitalizzazione del tessuto economico creando delle attrazioni locali in grado di attrarre capitali pur in presenza di una serie di storture strutturali che creano un gap ed una marginalità negativa che non consente di far decollare lo sviluppo. Certamente non è una operazione semplice tenuto conto che la Comunità si muove su regole e principi consolidate da tempo.

Abbiamo attivato seriamente i fondi chiusi e comunque siamo sempre pronti a recepire proposte che possono aiutare lo sviluppo anche attraverso un confronto con le organizzazioni sociali ed imprenditoriali concreto cosa avvenuta anche in sede di redazione delle finanziarie e dei bilanci regionali.

Sull’IRFIS, di cui la Regione detiene il 20% del capitale sociale, siamo convinti che deve svolgere un ruolo più strategico capace di dare una veste nuova e dinamica all'istituto ed accompagnare le imprese sia siciliane che fuori regione ma interessate ad investire nell'individuazione di progetti finanziari adeguati.

Stiamo valutando l'esigenza di dotarci di strutture di Public Private Partneship ossia di forme strutturate di collaborazione pubblico privato con l'obiettivo di dotarsi di strumenti finanziari innovativi, capaci di massimizzare la capacità di intervento pubblico fornendo assistenza economica finanziaria e tecnico giuridico lavorando in stretto contatto con l'imprenditoria privata. Tutto ciò proprio per supplire all'assenza in questo segmento di banche capaci di valorizzare le forme di accesso al credito alternative.

Questa struttura dovrebbe essere in grado anche di gestire direttamente numerosi strumenti finanziari agevolativi per le PMI ,e quindi si ricollega per certi aspetti alla figura dell'IRFIS, agendo in cofinanziamento con istituti bancari convenzionati.

All’interno dei poteri attribuiti in questo momento alla nostra Regione la politica creditizia ed economica può essere articolata solo in questo modo.

Non possiamo infine denunciare (ma vedo che sono in linea con gli altri relatori) le interferenze e la scarsa vigilanza fatta da Banca d’Italia in Sicilia.

Se il nostro sistema creditizio locale è praticamente scomparso ciò è dovuto senz’altro alla poca diligenza delle classi dirigenti, ma soprattutto agli intendimenti dell’Istituto di Vigilanza che ha consentito il fagogitamento del nostro sistema da parte di banche del nord.