Mostra Caravaggio e l’Europa

Mostra Caravaggio e l’Europa

(Organizzato da:Comune di Milano)

Fra gli intervenuti: Vittorio Sgarbi

Relazione dell’On.le Alessandro Pagano – Assessore Regionale ai Beni Culturali e Ambientali e alla Pubblica Istruzione

Intervenire alla presentazione della Mostra "Caravaggio e l’Europa", al Palazzo Reale di Milano, mi consente di esprimere qualche valutazione sui significati per l’attualità che può offrire l’affascinante tema figurativo e pittorico degli artisti che, in Italia ed in Europa, hanno seguito la via "del vero" tracciata da Michelangelo Merisi (Milano 1571-Porto Ercole [Grosseto] 1610).

E’ questo il contributo "minimo" che ho il dovere istituzionale di dare all’evento, nella qualità di "custode" ed "amministratore" pro-tempore dei tre capolavori "siciliani" di Caravaggio esposti tra le 150 opere in Mostra:

Il "passaggio" siciliano del Maestro si caratterizzò per la sua intensa brevità (1608-1609) e si situa all’estremità della sua vita; ripartì alla volta di Napoli, per morire poco dopo a Porto Ercole, nel 1610.

In realtà è possibile rintracciare sue frequentazioni con siciliani fin da quando, nel 1592, si trasferì a Roma. Qui entrò in contatto con Lorenzo Carli, pittore siciliano presso la cui bottega iniziò a lavorare. Conobbe pure il siracusano Mario Minniti, con cui collaborò e che più tardi lo accolse nella sua città natale dopo un’altra fuga da Malta, ove si era rifugiato da latitante, con una tappa a Napoli, per scampare all’accusa di omicidio.

In Sicilia, dall’ottobre del 1608 all’ottobre del 1609, produce "le sue opere di massimo spessore tecnico-concettuale, in cui il linguaggio si fa più travolgente e la narrazione visiva s’identifica ormai, in un’appassionata e intima autobiografia che comprende il presentimento di un tragico epilogo." (Marini)

Oltre le opere in Mostra ne esegue molte altre per privati committenti, non più rintracciate.

Esegue, in particolare, la "Natività ed Adorazione dei Pastori con i S.S. Lorenzo e Francesco" per l’Oratorio di S. Lorenzo a Palermo, opera grandiosa, che misura cm.197 x 268, ove rimase fino all’ottobre funesto del 1969, data in cui venne vilmente trafugata.

Il fascino dell’opera di Caravaggio è generalmente legato al suo essere testimone di un’arte come specchio della tragedia della realtà, che si rappresenta nella sua crudezza senza maschera e belletto. Che si immerge nell’abisso oscuro della vita, fino ad essere violenza, avventura, scelleratezza e dissacrazione.

Questa immagine dell’uomo e dell’artista è in fondo la più facile da "piazzare" alla nostra contemporaneità, anche per gli stili di vita e la dissolutezza morale che caratterizzano il nostro tempo.

Un’altra chiave di lettura, altrettanto autentica, ci consente di dire che nella storia dell’arte, dopo la fase bizantina e medievale in cui compito dell’arte era stato quello di rappresentare "ciò che non si vedeva", in primo luogo la realtà di natura spirituale; dopo Giotto e Masaccio toccò a Caravaggio la ventura di ancorarci alla realtà concreta del visibile, che spesso è verità dolorosa, umile e solenne insieme: riflessione "ultima" sul senso stesso della vita, che non guarda all’aspetto esteriore di ricchezza o di potenza delle cose ma all’interiorità spoglia o marginale; di un "Cristianesimo del Venerdì Santo".

Caravaggio cerca sempre di svelare la forma della bellezza contemporaneamente a quella della sua verità visibile, anche quando essa passa dal calvario della violenza e del martirio.

A volere ripercorrere i suoi temi figurativi emerge che, anche nei soggetti all’apparenza non-religiosi o quasi blasfemi, prevale la ricerca tormentata dell’armonia, perfino sul delicato crinale dell’androginia primordiale (uomo-donna), quasi a volere cercare nella divinità l’unificazione dei contrari; la nostalgia dell’umanità caduta per il Paradiso Perduto originario. Lo stesso tema del Bacco paganeggiante che offre il calice rimanda ad un’elitaria simbologia cristologica che era assai diffusa presso i colti prelati-committenti per i quali Caravaggio dipinse, e che furono lesti acquirenti privati delle stesse opere religiose ufficialmente "rifiutate", che tanto scandalo crearono e su cui tanto si è scritto.

Nelle opere più tarde e della maturità, sempre a tematica religiosa, il rigore compositivo si fà nuda semplificazione dello spazio, in contrasto drammatico con la luce che serve a creare zone d’ombra, dalle quali emerge il dramma del martirio e della via scandalosa per la santità, sia pure con chiavi di lettura "sconvenienti" e di religiosità popolare.

"Caravaggio non aveva dipinto che i simili…" scrisse Roberto Longhi nel 1952, all’indomani della Mostra milanese di cui l’odierna costituisce il naturale aggiornamento.

Una lettura attenta dell’opera di Caravaggio può riportarci nell’esatto contesto sorico-religioso in cui operò. La sua ricerca della salvazione cristiana, di un autentico e spesso disperato cristianesimo degli ultimi, è sempre alternativa alla visione laicistica ed esistenzialistica in senso moderno e contemporaneo, che proprio alla fine dell’Umanesimo e del Rinascimento, con il sofisticato intellettualismo del Manierismo, si delineava come forza dirompente e dissolutiva della Filosofia Perenne e della Tradizione.

Maurizio Calvesi, nel 1971, vi ha riconosciuto l’espressione di un dramma profondamente religioso e morale dell’esistenza, riferibile a precise correnti della devozione Cattolica.

Un Caravaggio non più visto dunque come individualità astorica, opposta titanicamente alla società secondo la condizione moderna dell’artista rivoluzionario, d’accezione otto e novecentesca, ma seguace di una precisa cultura morale, vissuta e attualizzata nella sua pittura e vittima del prevalere della corrente opposta, tendenzialmente "secolarizzante" di fatto, come poi si è visto, in seno allo stesso mondo Cattolico.

E’ quello che in pratica rischia di accadere nel nostro tempo, nello stesso ambiente religioso, in nome del cosiddetto "relativismo etico".

La forma di religiosità nella quale è collocabile l’opera di Caravaggio trovava pieno riscontro nell’impulso dato da alcuni settori della Controriforma Cattolica alla pratica del culto e della devozione rivolta al popolo: San Filippo Neri, Sant’Ignazio di Loyola e San Carlo Borromeo.

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Nella certezza di averVi graditi ospiti in Sicilia in un futuro prossimo-venturo, alla scoperta dei territori di provenienza e dei contesti, vorrei offrirVi qualche altro dato per l’inquadramento delle informazioni e della Cultura che comunicano le opere di Caravaggio in mostra. A partire da quella mirabile definizione che Johann Wolfgang Goethe , nel suo Viaggio in Italia diede della nostra terra : "L’Italia senza Sicilia non lascia alcuna immagine nell’anima: questa è la chiave di tutto."

La lotta per la sopravvivenza dell’Arte e della Bellezza intese in senso proprio, per come ci sono state tramandate, rappresenta una delle frontiere più impervie dell’attuale scenario di pensiero e d’azione applicato alla Politica e quindi allo stesso destino della Polis e, quindi, delle nostre Comunità.

Dostoevskij ci insegna che quando si cerca di togliere Dio dal cuore dell’uomo, rimane un vuoto enorme che si cerca poi disperatamente di riempire con surrogati illusori.

Nel nostro tempo, la via maestra per la perdizione, forse soprattutto in Politica, è quella che porta al "grande Nulla", su cui drammaticamente indagò anche Caravaggio, passando dall’ebrezza narcotizzante del "caos organizzato": i nostri Valori, ereditati essenzialmente dalle tradizioni della classicità mediterranea e delle Culture nord-europee, riconfigurate nella sintesi della civiltà Cristiana, sembrano essere stati artificialmente, con un processo di dissoluzione secolare, sostituiti dal Nulla. E’ una linea di pensiero che ha un suo fascino perverso, fatto di edonismo, di mode, di "valori di mercato"…e basta!

Sono i caratteri di una società intrisa di malessere, dove, per dirla breve, "tutto ha un prezzo e niente ha più Valore".

La Storia, specie in Sicilia, dimostra che è necessario possedere identità forti. Una forte identità non è mai intollerante. Spesso l’intolleranza nasce dalla paura nel confronto con l’altro. E’ meno tollerante chi non è davvero forte nell’animo. Chi ha identità forte si guadagna sul campo il rispetto necessario, come base del dialogo.

Anche per quest’ordine di motivi ho individuato nella tematica "IDENTITÀ è FUTURO" l’idea-forza a partire dalla quale abbiamo elaborato la strategia culturale per la gestione dei Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione in Sicilia.

Ci siamo posti in una prospettiva di quest’ordine: oggi più che mai in Europa e nel mondo c’è la necessità di pensare globalmente e agire localmente. Soprattutto a partire dall’opera grandiosa di giganti della statura di Caravaggio.

Questo è tanto più evidente nel campo dei Beni Culturali, che sono il concentrato della memoria storica della Cultura che li ha espressi e della potenzialità di sviluppo che oggi essi ci prospettano.

La questione della "centralità" della memoria storica non consiste nella riproposizione del passato, ma nella consapevolezza che l’identità può costituire un progetto per il futuro.

Le società sono contesti di memoria trasmessi alle generazioni successive. La Cultura è esercizio di facoltà spirituali ed intellettuali; per svilupparsi ha bisogno di un adeguato contesto di memoria storica.

Qui sta il vero problema del presente e la connessione con l’opera dei seguaci di Caravaggio: l’Europa, il cui patrimonio culturale e figurativo è la memoria dell’Occidente, attraversa oggi una fase di profonda crisi d’identità.

L’identità europea nasce dalle identità nazionali e regionali, le deve favorire e non sovrapporsi ad esse. Anche e soprattutto a partire dalla conoscenza e valorizzazione dell’opera degli artisti.

Per noi che ci occupiamo di Beni Culturali in Sicilia questa scelta si traduce nella necessità di recuperare la memoria storica della nostra Cultura e dell’uso che è stato fatto del nostro patrimonio nel corso del tempo .

La riflessione sulla diffusione impressionante di opere d’arte sul territorio siciliano ci porta alla conclusione che bisogna coinvolgere nei processi di sviluppo le comunità locali, che devono essere messe in condizione di progettarsi e proiettarsi verso il futuro a partire dalle radici storiche e dai Valori condivisi, contemporaneamente all’apertura su scenari internazionali come quello che ci offrite nell’occasione della Mostra su Caravaggio ed i caravaggeschi in Europa, cosa di cui Vi ringraziamo.

Leggere e spiegare il tessuto culturale della Sicilia è impresa ardua, anche per chi da anni opera in questo settore.

La storia della nostra Isola, contaminata dalle diverse civiltà che ne hanno determinato grandezza e originalità, si presta infatti a interpretazioni le più varie, in un susseguirsi di riti e tradizioni che rimandano a quello straordinario principio d’integrazione tra popoli che rappresenta l’essenza di una terra come nessun’altra capace di assorbire il nuovo e miscelarlo con i contesti precedenti e successivi. Fra i numerosi esempi che potrebbero citarsi mi limito a ricordare lo straziante vuoto lasciato sull’altare maggiore dell’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, dove dall’ottobre nefasto del 1969 manca la "Natività" di Caravaggio, che era il punto focale di tutta la composizione scultorea che il genio artistico di Giacomo Serpotta (1656-1732) aveva saputo creare con le Allegorie della Fortezza, della Verginità, della Mansuetudine, della Ospitalità, della Religione, della Pudicizia, della Temperanza, della Carità, dell’Ospitalità. Cioè di un poderoso percorso semantico di Civiltà Cristiana, che prendeva corpo proprio dalla tela di Caravaggio e che è rimasto mutilato per la violenza della sottrazione, in attesa del suo augurabile ritorno.

I dipinti in Mostra ripropongono l’assunto di Heidegger, perfettamente applicabile a Caravaggio, che vede nell’arte la "messa in opera della verità" : è questo l’apice da raggiungere nel nostro tempo, per arrestare quel processo di "Perdita del Centro" di cui ha mirabilmente scritto Hans Sedlmayr.