L’interpretazione della legge e la separazione dei poteri. Le esperienze italiane e statunitensi a confronto

L’interpretazione della legge e la separazione dei poteri. Le esperienze italiane e statunitensi a confronto

(Convegno organizzato da: Regione Siciliana, Corte d’Appello Caltanissetta, NIAF National Italian American Foundation)

Fra gli intervenuti: Antonin Scalia (Giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti); Kenneth Ciongoli (NIAF Chairman); Giuseppe Meliadò (Componente del Consiglio Superiore della Magistratura); Roberto Toniatti (Ordinario di Diritto Pubblico Univ. Trento); Pietro Messineo (Procuratore Repubblica Caltanissetta).

Relazione dell’On.le Alessandro Pagano – Assessore Regionale ai Beni Culturali, Ambientali e alla Pubblica Istruzione

Sono molto lieto di portare il mio saluto a questa autorevolissima assemblea, saluto che non vuole essere di mera circostanza ma intende sviluppare alcune semplici riflessioni di carattere culturale. Evidentemente, queste riflessioni non potranno essere natura tecnica. Vogliono piuttosto offrire un contributo personale dì tipo storico e politico.

Il momento in cui cade questo convegno è particolare: di fronte a gravi problemi internazionali, Europa e Stati Uniti si interrogano sulle loro radici. Il mio Assessorato, il cui programma culturale ha al suo centro i temi dell'Identità e del Futuro, è particolarmente interessato a ogni riflessione che verta sulle caratteristiche identitarie dell'Europa e dell'Occidente. Identità che ovviamente ha anche una dimensione giuridica e costituzionale.

L'esperienza costituzionalista - l'idea, cioè, che il potere politico non sia illimitato, ma trovi dei limiti al di sopra della politica, di cui l'ordinamento giudiziario può essere il garante a condizione di essere a sua volta garantito da una effettiva separazione dei poteri - è alle origini degli Stati Uniti come dell'Europa continentale moderna. Tuttavia, la declinazione di questa esperienza non è stata identica nelle due aree geografìche.

La rivoluzione americana ha avuto nella Costituzione degli Stati Uniti, per citare un'espressione di Nicola Matteucci, «il fine e la fine». La Costituzione, più che frutto della Rivoluzione Americana, fu in un certo senso essa stessa quella rivoluzione, segnando così una notevole differenza rispetto alla Francia, dove la rivoluzione non finisce mai e le Costituzioni sono continuamente riscritte. Non a caso è stato anche detto che ai francesi con Montesquieu si deve la teoria del potere costituente e della separazione dei poteri, e agli americani la pratica.

In verità queste differenze esprimono la tensione fra due aspirazioni concorrenti e contrapposte: quella "costituzionalista del potere limitato" e quella, "tendenzialmente insofferente ai limiti", che si richiama alla sovranità popolare rappresentata in un'Assemblea. La prima aspirazione prevale negli Stati Uniti, la seconda in Francia. In America il potere costituente è considerato tendenzialmente esaurito con l'approvazione della Costituzione. In Francia rimane, anche qui tendenzialmente, sempre a disposizione dell'assemblea rappresentativa del popolo, dando vita a quello che Roberto Martucci nel suo libro L'ossessione costituente ha chiamato un autentico «valzer delle costituzioni».

Ne nasce anche una diversa filosofia della separazione dei poteri: per la Rivoluzione americana, garanzia necessaria dell'idea-forza secondo cui il potere politico, anche democratico, non è illimitato; per la Rivoluzione francese, piuttosto semplice articolazione funzionale della stessa sovranità popolare di cui anche il potere giudiziario è mero mandatario.

Naturalmente, da queste originarie differenze nascono e si sviluppano processi assai complessi. Vorrei richiamare soltanto un aspetto, che mi sta particolarmente a cuore. Quello che mi colpisce favorevolmente nell'esperienza originaria americana è l'idea secondo cui anche il potere politico democratico non è assoluto, sciolto da qualunque vincolo superiore. Ci sono cose che anche la maggioranza non può fare. Se la maggioranza ha la tentazione di svincolarsi da questi limiti la Costituzione -considerata almeno tendenzialmente immutabile - è lì per fermarla, e un potere giudiziario effettivamente indipendente dal potere politico è lì per far rispettare sia la Costituzione sia questa idea fondamentale secondo cui la sovranità politica non è assoluta. Lo studio del processo di formazione del costituzionalismo americano mostra come molti dei Padri fondatori consideravano questi limiti non negoziabili in quanto la loro natura non derivava semplicemente da un contratto sociale o dal consenso, ma era morale e religiosa.

Questi problemi sono di grande attualità. Negli ultimi mesi - con il libro Il cubo e la cattedrale e con diversi articoli di giornale - su questi temi si è espresso tra gli altri George Weigel, uno dei capofila della corrente detta "theo-con", che rilegge alcuni temi del conservatorismo in chiave religiosa. Secondo Weigel il problema Europa non ha solo radici politiche: ha principalmente radici religiose.

L'Europa - a differenza degli Stati Uniti, dove (almeno al di fuori delle grandi metropoli) la maggioranza della popolazione continua a frequentare le chiese - ha subito un processo di scristianizzazione, evidenziato dal suicidio demografico. Quelli che sono talora definiti con un malcelato senso di superiorità rispetto agli Stati Uniti i valori morali dell'Europa - pace, giustizia e solidarietà - sono invece secondo Weigel molto spesso scatole vuote, vaghi slogan relativisti che mascherano una diffidenza a pensare la politica in termini di valori. E, se cadono i Valori, cade il limite della sovranità garantito dalla separazione dei poteri. Il rischio è quella «dittatura del relativismo» di cui ha parlato il cardinale Ratzinger nell'ultima omelia prima di diventare Papa Benedetto XVI: "un mondo dove si ritiene che la maggioranza possa prendere qualunque decisione, senza limiti imposti dalla natura delle cose o da quel senso morale che per il credente deriva dalla legge di Dio ma in cui anche i non credenti preoccupati da sempre possibili «dittature delle maggioranze» possono convenire".

Lo stesso Giovanni Paolo II scriveva nella Evangelium Vitae che esistono "totalitarismi aperti" (quelli dei Gulag e dei carri armati per intendersi) e "totalitarismi subdoli".

Quanto precede non vuole essere un'ingenua apologia del sistema americano o del costituzionalismo statunitense, quasi che questo fosse sempre e per definizione superiore a sistemi diversi, o capace di risolvere automaticamente qualunque problema. Al contrario, come molti hanno notato, è forte il rischio nel sistema americano, che dall'assolutismo della politica si passi all'assolutismo del potere giudiziario. La tragedia di Terry Schiavo ne è una chiara dimostrazione. Il potere giudiziario lì, a sua volta, ha avuto la tentazione di considerarsi un potere assoluto, "creatore e non solo interprete" del diritto costituzionale. Si ha qui il rischio di abusare della separazione dei poteri per creare autorità sciolte da quei vincoli religiosi e morali, da quelle «verità che a tutti appaiono evidenti» cui i Padri fondatori dell'America intendevano invece vincolare tutti i poteri.

Problemi, come si vede, assai complessi, che il vostro convegno contribuirà certamente a meglio impostare, se non a risolvere. Di coloro che furono all'origine dell'appassionante vicenda della separazione dei poteri e del costituzionalismo, al di qua e al di là dell'Atlantico, resti almeno la perorazione perché nessun potere sia assoluto, e tutti riconoscano nel Bene Comune e nei Valori, il limite che nessuno può valicare. Quel Bene Comune e quei Valori capaci di proteggere la libertà di tutti.

Bibliografia: