Solo la fermezza del papa può fermare la guerra santa

(Tratto dal quotidiano "Italia Oggi" ) - «II rispetto e il dialogo richiedono la reciprocità in tutti i campi, soprattutto per quanto concerne le libertà fondamentali e, più particolarmente, la libertà religiosa», ha sottolineato l'altro giorno Benedetto XVI nel suo incontro a Castelgandolfo con gli ambasciatori dei paesi musulmani. Reciprocità è il termine chiave usato da papa Ratzinger, il pontefice odiato dai fondamentalisti islamici. Ma le parole sono di Giovanni Paolo II: una citazione del discorso pronunciato da Karol Wojtyla nel 1985 a Casablanca.

Le virgolette dovrebbero rimettere le cose a posto, dimostrando quanto strumentali siano stati gli attacchi al papa attuale, o quanto furbi i rimpianti per la figura del suo predecessore, indicato come l'uomo del dialogo con l'Islam. Giovanni Paolo II era l'uomo del dialogo, e non della resa senza condizioni. Ratzinger è l'uomo del dialogo, non del mu ro contro muro. Non è cambiata la «politi ca» del Vaticano in questi ultimi venti anni: è cambiato l'atteggiamento dei fondamentalisti, e si sono ingrossate le file dei loro seguaci.

È cambiato, purtroppo, anche il giudizio dell'Europa e, soprattutto, dei leader del Vecchio continente. Impauriti e arrendevoli di fronte al terrorismo, prigionieri della gabbia del «politicamente corretto». Fin da quando, nell'elaborazione del preambolo per la Costituzione europea, preferirono cancellare il riferimento alle radici giudaico-cristiane dell'Europa.

I diplomatici presenti nella sala degli svizzeri della residenza estiva del papa hanno espresso soddisfazione per le parole pronunciate dal pontefice, sottolineando i continui richiami alla necessità del, dialogo fra le due religioni monoteistiche. Non hanno preteso le scuse del papa per il discorso di Ratisbona (che, invece, continuano a pretendete molti estremisti, come i Fratelli musulmani e l’Unione degli ulema). Non hanno mosso obiezioni alla linea del Vaticano, né si sono messi in cattedra per impartire al papa lezioni di galateo, o di politica, come hanno fatto molti giornalisti occidentali dopo Ratisbona.

Il papa non ha chiesto scusa, semplicemente perchè non aveva di che scusarsi. Non spetta a lui fare un passo indietro o pentirsi di quel che ha detto a Ratisbona. Dovrebbero piuttosto riflettere i campioni di pavidità e della resa senza condizioni.
Molti commentatori, in queste ultime settimane, hanno evocato lo «spirito di Monaco»: nel settembre 1938 Daladier e Chamberlain legittimarono, nella conferenza tenuta nella capitale bavarese, le pretese di Hitler sulla Cecoslovacchia, persuasi di convincerlo, in tal modo, a placare i suoi appetiti di potenza, e di conquista. La storia ha dimostrato quanto fosse suicida quell'atteggiamento. Molti governanti europei (ai quali la storia non ha insegnato nulla) si comportano più o meno allo stesso modo, oggi nei confronti dei nuovi nemici. E i rischi sono molto più gravi di allora: perché Hitler, nonostante tutto, era un europeo, intriso di cultura occidentale (sia pure mal digerita), e nei suoi programmi non c'era quello di cambiare, o assoggettare, la nostra civiltà. Che è invece l'obiettivo dei fondamentalisti. Soltanto la fermezza del papa può spostare oggi l’asse della , proclamata dagli estremisti, in un conflitto interno all'Islam: fra i governanti responsabili (che, per fortuna, ci sono) e i fondamentalisti che hanno sposato la pratica del terrorismo. Questo è un merito che a Ratzinger deve essere riconosciuto, sul terreno politico prima ancora che su quello dottrinario o religioso.

Di Massimo Tosti