Esercizi spirituali per i politici - 3^ serata

 "Testimoniare in maniera credibile la novità Cristo Gesù’"

Esercizi spirituali per i politici 3 -5 Marzo

Terzo giorno: Mercoledì 5 Marzo

La politica sia un servizio: Amministrare e Servire

                              Prima Parte: Commento al Vangelo Mt 23, 1-12: "Uno solo è il vero maestro"

Se leggiamo tutto il capitolo dal quale è tratto questo brano, non possiamo non rimanere sconcertati di fronte al linguaggio duro impiegato da Gesù. Per sette volte Gesù dice: "Guai a voi scribi e farisei Ipocriti". Ci chiediamo quale senso abbia riproporre, oggi, alla nostra meditazione il lungo elenco di accuse contro i farisei di duemila anni fa. Le parole del maestro sono dure perché il pericolo denunciato è grave. Il "fariseo" è un personaggio tipico: rappresenta un modo di pensare, di giudicare, di comportarsi opposto a quello evangelico, i ragionamenti e le convinzioni dei farisei si infiltrano in modo subdolo fra i discepoli e vengono facilmente assimilati. Per accostarci correttamente al testo, verifichiamo anzitutto a chi Gesù si rivolge, a chi dirige i suoi sette, terribili "guai". Ci accorgiamo che i destinatari non sono gli scribi e i farisei del suo tempo. Dal primo versetto del capitolo risulta chiaro che Gesù sta parlando "alla folla e ai suoi discepoli", sono questi che corrono il rischio di comportarsi da "farisei". Siamo noi oggi a essere chiamati in causa dai suoi rimproveri. Individuiamo alcuni aspetti caratteristici del fariseismo e per verificare, come in uno specchio, se, dove e come il fariseismo si ripresenta nelle nostre comunità. E’ fariseo:

  1. chi occupa una cattedra non sua (v.2). E’ l’abuso di autorità.
  2. chi dice e non fa (v.3). L’incoerenza. Chi si presenta come persona devota, pronunzia bei discorsi sull’amore, sulla pace, sul rispetto degli altri, ma evita abilmente di lasciarsi coinvolgere da queste affermazioni di principio.
  3. Caricare pesi insopportabili sulle spalle della gente (v.4). Riducono la fede e l’amore di Dio alla pratica della religione predicano la fedeltà a precetti, osservati i quali ci si può tranquillamente sentire a posto e in pace con il Signore. Si getta l’uomo in un circolo angosciante: leggi sempre minuziose e dettagliate, interpretate in modo rigoroso con il risultato di togliere il respiro, dì rendere la vita impossibile, di provocare ansie invece di condurre alla pace interiore. Nasce la religione giudaica rappresentata dalle giare di pietra vuote, è la festa di nozze senza vino, priva di gioia perché manca lo slancio amoroso. Libero e fiducioso verso Dio. Gli scribi che hanno imposto queste leggi non muovono poi nemmeno un dito per aiutare il popolo, schiacciato dal peso di tali precetti: "non vogliono muoverli neppure con un dito". Chi oggi tenta di imporre agli uomini "carichi assurdi e insopportabili" chi detta arbitrariamente norme, chi si preoccupa di minuzie cui Gesù non ha mai accennato si comporta da fariseo.
  4. Chi ha la smania di mettersi in mostra. Esibizionismo. Oggi il desiderio di attirare gli sguardi della gente, la pretesa di avere le telecamere puntate su di sé non sono scomparsi. Gesù alla sera del Giovedì Santo nell’ultima cena disse: "I re delle nazioni le governano e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Voi però non così! Ma il più, grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serva" (Lc 22,24-26). E’ il capovolgimento dei criteri di questo mondo.

E Gesù chiude il brano di questo Vangelo con un messaggio assai chiaro: "Il più grande tra voi sia vostro servo, chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato" (v. 11).

Seconda Parte: Riflessione seguente:

Anche per la politica c’è il bisogno che questa da parte dei laici cristiani venga svolta come servizio.

Che cosa ne è oggi della politica? Che cosa ne è quando le questioni vere non sono più centrali quando la politica è inera ricerca di un potere da esibire forse più che da utilizzare?

Non c’è dubbio che, nel momento che stiamo attraversando, di particolare attualità è l’argomento della giustizia e dell’onestà nell’amministrare. Che cosa vuoi dire "amministrare"?

Prendendo lo spunto dalle affermazioni di Gesù riguardo all’amministratore fedele e saggio, riferito dal Vangelo di Luca (12,42-48) se ne ricava che:

- Fedeltà, Democrazia e Politica

La fedeltà è legata ad una responsabilità che esige di mantenere la parola data. Molto di più di un programma elettorale: è l’idea sottesa al patto elettorale, e cioè che l’amministratore sarà intessuto di competenza, onestà, giustizia, intelligenza. E una fedeltà da giocarsi in una quotidianità che può far smarrire gli entusiasmi e le certezze degli inizi a favore di un’abitudine un po’ stanza e logora. La fedeltà — si potrebbe dire — cresce e crea. Applichiamo i due verbi "creare" e "far crescere" alla politica e all’amministrazione e domandiamoci: Politica e amministrazione sono capaci di creare e di far crescere? La fedeltà deve sì sprimersi nella capacità di custodire e tenere saldo ciò che dice la continuità e che riguarda le dimensioni più profonde della realtà e dell’uomo, ma deve anche spingerci ad aprire la mente e il cuore a una intelligente ricerca dei nuovo.

- Una fèdeltà dinamica

La fedeltà e una fora vitale, anzi è essa stessa vitale. Una fedeltà storicamente collocata non può che essere dinamica e questo perché l’amministratore fedele ha continuamente il problema di adeguarsi sì ai tempi che mutano, senza però mutare il proprio atteggiamento di fondo, senza allontanarsi dallo spirito iniziale che lo conduce, a rimanere fedele anche quando colui al quale. o coloro ai quali, è dedicata la sua fedeltà risultasse assente.

La conoscenza instancabile del tempo che ci è dato da vivere è determinante per l’intima solidarietà con il genere umano: per vivere la fedeltà, insomma, deve esserci un tempo di ascolto, di studio, di ricerca. Parlare di sobrietà delle parole in questo tempo, e specificatamente in questo nostro tempo politico, non basta mai. Non dobbiamo lasciarci abbagliare dalle luci della ribalta né coinvolgere dal clamore mediatico. Nel fare politica è quanto mai necessario tornare ad un uso sobrio delle parole, a un silenzio operoso, a uno sguardo attento sulla storia e sui suoi mutamenti, a un ascolto verso della gente per dare risposte che facciano crescere la comunità.

Non vive la fedeltà colui che si distrae. . . Non la vive neppure quando l’ascolto delle persone e delle comunità è sostituito esclusivamente dai sondaggi.

La democrazia è infatti un dialogo tra le parti; non semplicemente tra maggioranza e minoranza o fra un partito e l’altro, ma tra chi governa e chi è governato. Oggi noi sappiamo quanto discutere si fa a proposito della democrazia. Qui diciamo semplicemente che essa non va tradita dove per tradimento della democrazia non si intende solo il radicale mutamento delle istituzioni. La democrazia è tradita quando chi amministra non ascolta nessuno, ma anche quando la trascuratezza dell’ascolto, magari per le troppe cose da fare pur legittimamente e doverosamente prevale. La democrazia è tradita, ancora, quando chi amministra non esercita l’"intus-legere", il "guardare dentro", il "leggere dentro" le persone e le situazioni.

Che cosa ne è oggi della politica? Che cosa ne è quando le questioni vere non sono più centrali? Quando la politica è mera ricerca di un potere da esibire forse più che da utilizzare? E ancora: che ne è della politica quando essa cerca alleanze innaturali con quelle sfere dell’attività umana che dovrebbe piuttosto ordinare, o quando è continua commistione di interessi di parte e interessi personali. E che fine fa la politica quando non si interroga più sul futuro: quando consuma tutti: beni di cui ancora disponiamo perché intessuta di egoismo e individualismo? O quando, nella sua agenda, i poveri e i deboli non compaiono più quando abdica per insipienza o incapacità alla tecnica e alla burocrazia?

Giovanni Paolo 11 nella sua "Veritatis splendor" affermava: "Di fronte alle gravi forme di ingiustizia sociale ed economica e di corruzione politica di cui sono investiti interi popoli e nazioni, cresce l’indignata reazione di moltissime persone calpestate e umiliate nei loro fondamentali diritti umani e si fa sempre più diffuso e acuto il bisogno di una radicale rinnovamento personale e sociale capace di assicurare giustizia, solidarietà, onestà, trasparenza" (98).

La corruzione politica non è solo quella connessa con l’uso improprio e illecito del denaro. Attecchisce in un diffuso non esercizio della politica da parte di chi dovrebbe esercitarla perché ha un ruolo e una funzione. Corruzione è già cercare coperture nei poteri forti e privilegiare le alleanze con chi conta. Ma ritorniamo alla politica. Per farla bisogna coltivare il senso interiore cioè l’esatto contrario della superficialità.

Giustizia, amore, servizio al bene comune come possono crescere e dare frutto nel rumore, nel caos, nella superficialità? Una politica seria, attenta, vera non può radicarsi lì. Rimettiamo al centro la politica. Chiediamoci quale ne può essere il futuro in un mondo globale.

- Allargare gli orizzonti

Non sia forse creata, senza quasi che ce ne accorgessimo o, quanto meno, che lo decidessimo, una ‘città infinita", come viene chiamata da molti, una città che ci obbliga a fare i conti con ciò che sta "al di là della siepe" ideale che abbiamo costruito nella nostra immaginazione e che ci separa dal comune vicino al nostro. Contrapporre il bene della propria città e il bene dell’umanità intera, vedere la propria città in contrapposizione con l’umanità è operare contro il bene, è seguire il male. Ma il male porta con sé rovina e distruzione per la comunità umana, a ogni livello. Direi: responsabilizziamoci verso la globalizzazione!

La sfida sta proprio qui: tenere insieme il bene locale e quello dell’intera umanità. La politica ha del resto a che fare con le paure degli uomini. E la politica deve essere proprio risposta al bisogno di sicurezza, di pace, di protezione, perché la società possa vivere serenamente la solidarietà, la fratellanza, la condivisione nell’eguaglianza e nella giustizia.

Oggi a chi fa politica è chiesto di dare risposta anche alla domanda di sicurezza che viene dalla paura dell’ignoto e del diverso, di ciò che sta oltre il proprio confine.

A questa domanda si risponde mostrando concretamente, senza irenismi e semplificazioni, magari anche affrontando contraddizioni, che allargare gli orizzonti è ricchezza, che costruire la pace è obiettivo comune, che sulla pace si radica una comunità divenuta mondiale e che l’accoglienza è la regola di questa nuova e moderna comunità, se si vuole una convivenza possibile per tutti, noi compresi.

- Il politico sia prima un uomo

Vorrei ricordare Don Primo Mazzolari. citando una sua "nota politica" del 1 ottobre 1945: "Prima di essere ammessi a un partito ci vorrebbe la promozione a uomo. Allora ci si intenderebbe più facilmente, e la politica sarebbe un‘occupazione meno vuota, e molte brutte cose che tanti deplorano appena e in cui credono di trovare una scusa per non impegnarsi verrebbero tolte di mezzo... per chi ha bisogno unicamente di arrivare al potere e di tenerlo a qualsiasi costo è più redditizia l‘apparizione delle comparse che quella dell‘uomo. Le comparse si nutrono del peggio, mentre l‘uomo osa chiedere un po‘ di pane, un po‘ di giustizia, un po‘ di libertà per tutti. La democrazia ha bisogno di uomini, non di comparse".

Quali virtù saranno richieste a quanti vogliono essere "uomini veri" e non "comparse"? Giustizia, lealtà, pazienza, coraggio, intelligenza, onestà, amore per la verità, capacità di "commuoversi" di fronte all’altro, fortezza, temperanza, passione per la legalità. L’uomo vero, dunque, è colui che è attento alla propria interiorità.

Ma il cuore deve esistere... a tutti noi è stato "dato" molto. A ciascuno di noi è, quindi, chiesto di fare fruttificare quanto ci è stato donato, di metterlo a servizio di tutti, della comunità, del bene comune. C’è oggi un problema morale non piccolo: quanti comprendono la necessità di una responsabilità civile? Quanti ritengono che ciò che hanno — beni, cultura e istruzione, lavoro — non è qualcosa che riguarda esclusivamente la propria individualità, ma chiede di essere messo in relazione, di essere "messo in comune", perché c’è dato non solo per il nostro bene, ma anche per il bene di tutti?

L’augurio è quello di sperimentare la verità e la bellezza della parola di Gesù: "Vi è più gioia nei dare che nel ricevere" (atti 20,35).

Desidero concludere ricordando la figura di Giorgio La Pira, Servo di Dio: un testimone della speranza. Sono trascorsi da poco trenta anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 5 Novembre 1977. Da cristiano impegnato nella politica ha saputo sperare contro ogni speranza. Era bene certo che con Cristo tutto è possibile,a che quello che umanamente sembra fuori della nostra portata. La sua straordinaria personalità, la sua semplicità, la sua capacità di avvicinarsi agli uomini, il suo partire per un obiettivo senza fare il calcolo dei vantaggi o degli svantaggi in termini umani, fanno di La Pira un profeta, un testimone e un maestro. Ai sindaci di tutto il mondo riuniti a Firenze così ha detto: "La crisi del nostro tempo è una crisi di sproporzione e dismisura con ciò che è veramente umano", mentre "entro la cerchia de//e mura cittadine i problemi del tempo presente assumono una dimensione umana perfettamente comprensibile. A tutti si fa chiaro che in una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa.), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l‘officina), un posto per guarire (l‘ospedale)".

A chi diceva che questo era utopia e che lui fosse un poeta, lui replicava: "Da giovane ho preso ii diploma di ragioniere" e aggiungeva: "Comunque noi dimenticate che i poeti possiedono l‘intuizione". Nei giorni oscuri gli piaceva ripetere i versi di Edmond Rostand: "è di notte che è bello credere nella luce / dobbiamo forzare l ‘aurora a nascere, cedendoci".

Lui certamente ci ha creduto. Crediamoci anche noi.

Sac. Angelo Spilla
Parroco