Dossier Veltroni e le divisioni del Pd

Veltroni ha scelto di allestire l'ennesima armata Brancaleone della sinistra con l'unico obiettivo di arrivare a una sconfitta onorevole. La speranza del leader, infatti, è quella di far arrivare il nucleo fondante di quello che fu il vecchio Ulivo - cioè l'unione fra Dc e Margherita - al suo massimo storico. Per questo ha imbarcato i radicali nelle liste del Pd invece di dare il via libera a un apparentamento che dal punto di vista strettamente elettorale sarebbe stato sicuramente più proficuo.

La zavorra Di Pietro

Veltroni ha scelto l'apparentamento con Di Pietro nella speranza che la lista dell’ex pm riesca a intercettare il voto dei seguaci di Beppe Grillo e dell’antipolitica. Ma dopo le rivelazioni della scorsa settimana sulla esistenza di un’indagine della procura di Roma proprio a carico del Tonino nazionale per il modo in cui gestisce il proprio partito e i rimborsi elettorali, diventa difficile capire la ragione del favore fatto all’Italia dei Valori. Tanto più se si considera che tutto il gruppo dirigente del Pd era ben al corrente dell’indagine romana su Di Pietro. Mercoledì si terrà l’udienza preliminare per decidere se accogliere l’istanza di proscioglimento presentata dal pm o se invece proseguire con le indagini come aveva chiesto il giudice della indagini preliminari. È probabile che si decida per un altro rinvio, in quanto i legali di Di Domenico, l’ex socio fondatore dell’Italia dei Valori che con le sua denunce ha dato vita all'inchiesta, chiederanno di poter ascoltare numerosi altri testimoni. Un’indagine pendente significherebbe per Di Pietro dover rinunciare a tutto il proprio armamentario polemico giustizialista in campagna elettorale. Veltroni, che lo ha scelto per strizzare l’occhio all’antipolitica, rischia così di vederlo diventare una zavorra.

Il caso De Mita

La cacciata di Ciriaco De Mita dalle liste democratiche ha significato consegnare matematicamente il Senato al PdL che, dopo l’accordo con l’Mpa di Lombardo, conquisterà il corposo premio di maggioranza regionale non solo in Sicilia, ma anche in Campania. Non si ripeterà, dunque, lo scenario del 2006 con vittoria netta alla Camera e pareggio al Senato. Anche Palazzo Madama sarà di Berlusconi. Ma Veltroni, che è consapevole della sconfitta nonostante gli improbabili annunci delle "impressionanti risalite", ha cominciato a fare piazza pulita di vecchi arnesi e nemici interni per costruirsi un partito composto quasi esclusivamente da fedelissimi.

I radicali

Al loft veltroniano girava da qualche giorno un sondaggio che pur attribuendo alla lista Bonino un 3 per cento ben più ampio dell’1-1,5 per cento che porterebbero le candidature radicali nelle liste Pd, avrebbe visto la lista apparentata erodere consensi anche al partito di Veltroni. Il quale sa che al centro è difficile guadagnare altri voti, vista la concorrenza fatta da Udc, Rosa Bianca e Udeur, e per questo con i Radicali cerca di prendere consensi nell’elettorato laicista che avrebbe altrimenti votato per la Cosa Rossa.

Il caso Pannella

I radicali hanno accettato tra insoddisfazioni e mugugni l'esclusione di Pannella imposta dal Pd. E nel documento col quale hanno dato via libera all'accordo elettorale hanno promesso di "rilanciare una radicale riforma dell’economia, della giustizia, delle istituzioni" senza fare alcuna menzione dei temi che danno i brividi ai teodem ex Margherita: fecondazione artificiale, coppie di fatto, eutanasia. Accettata senza batter ciglio anche l'esclusione di Sergio D´Elia, l´ex terrorista di Prima Linea. Ma quel che importa è che nella bozza di accordo è prevista una quota del 10 per cento di rimborsi elettorali, una boccata d´ossigeno per il Pr alle prese con spese e debiti. Alta politica, insomma.

La rivolta dei teodem

Veltroni dovrà superare se stesso per respingere le lamentele di teodem e Popolari che, con Paola Binetti ed Enzo Carra, criticano duramente l'accordo con i radicali e avvertono: "Sui temi etici c´è una sensibilità molto diversa dai radicali, sarebbe un grave errore stravolgere in questo senso il programma". E dubbi arrivano anche da Castagnetti, secondo il quale "non è stato chiarito il senso politico dell’operazione". A fianco dei teodem è sceso in campo perfino padre Bartolomeo Sorge, punto di riferimento del cattolicesimo di sinistra. Come sia possibile conciliare la Bonino e la Binetti, solo Veltroni lo sa. Ammesso che lo sappia davvero.

Il caso Veronesi

Veltroni ha scelto Veronesi conoscendo alla perfezione qual è il suo pensiero sulle questioni ‘eticamente sensibili’, uno dei temi caldi di questa campagna elettorale. Ed è un pensiero laicista, scientista, antiproibizionista. Dall’aborto all’eutanasia, dalle droghe libere alla fecondazione assistita, dalla pillola del giorno dopo alla clonazione, non c’è un argomento di carattere etico che trovi Veronesi d’accordo con la Chiesa. E infatti Avvenire, il quotidiano dei vescovi, ha duramente attaccato la scelta di farlo correre come capolista nelle liste lombarde del Pd. Lui ha assicurato: "Non tratterò temi etici, nella mia attività parlamentare mi occuperò di fame nel mondo e di disarmo. Sono soprattutto un pacifista". Chissà se basterà per andare d’accordo con la Binetti.

Il boomerang Ichino

L’invito a candidarsi rivolto dal Pd a Pietro Ichino, uno dei massimi giuslavoristi italiani da sempre in prima linea per modernizzare il mercato del lavoro e cacciare i fannulloni dalla pubblica amministrazione, si è già trasformato in un boomerang per Veltroni. Ichino in un’intervista a Repubblica ha proposto di ridiscutere l’articolo 18, battaglia che il centrodestra aveva perso per il no dei sindacati. Ma è stato subito stoppato dal responsabile economico del Pd Giorgio Tonini, il quale ha precisato che "il contributo intellettuale che Ichino sta dando all'elaborazione di una linea moderna di politica economica e di lavoro è di primo piano ed è un contributo prezioso", ma che "le idee si discutono e nel nostro programma si sono preferite proposte diverse che non riaprono la questione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori". Il confronto si è così chiuso prima ancora di cominciare.

I figli di papà

Veltroni si è molto adombrato per la fuga di notizie dal loft sulla discesa in campo dei rampolli dell’imprenditoria. Il quartetto di "figli di" - Benetton-Mondadori-Sensi-Colaninno - ha infatti già perso i primi due cognomi. Dopo Alessandro Benetton, anche Martina Mondadori ha precisato che non è sua intenzione entrare in politica, bensì continuare a occuparsi delle sue attività culturali ed editoriali. Due prese di distanza che hanno fatto infuriare il leader del Pd.

Il libro dei sogni

Veltroni non ha preso molto bene neanche la presa di posizione, apparsa sul Corriere della Sera, dell'economista e delegato del Pd Giacomo Vaciago, il quale ha letteralmente demolito il programma partorito dagli strateghi del loft. Secondo Vaciago, "per realizzare tutti i sogni promessi da Veltroni ci vogliono 30 anni, non cinque". La contraerea del Popolo della Libertà non avrebbe potuto sparare più forte.