Domenica, 16 Giugno 2024


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Giotto

A proposito di Global e No-Global - (Cultura e Libri)

Povero Angiolo di Bondone, in arte Giotto. Mai il suo nome è risuonato così tanto in Italia e nel mondo.

Se chiedete a un bambino sue notizie, vi risponderà che è nato a Genova in mezzo alle mazzate e alle molotov.

Forse quando queste righe verranno stampate ce ne saranno stati altri, di giotti, con il solito corollario di botte, danneggiamenti, proclami, avvisi di garanzia e, perché no, bombe. Sarà caduto il governo sotto l’urto della piazza (arma già collaudata contro il centrodestra e, ma sì, sempre efficace: squadra che vince non si cambia)?

Le preoccupazioni, da parte dei centrosinistra europei, sul futuro della democrazia in Italia e nel mondo saranno ancora vive? Boh!

Ma non sperate che dica la mia sul G8 e l’antiglobal: ho già dato, e giusto la sera prima dei fatti di Genova in un dibattito su Sat 2000, in compagnia di Bobba, presidente delle Acli, e di Caracciolo, direttore di "LiMes". No, no, "de hoc satis".

Solo qualche considerazione globale sulla globalità, l’antiglobalismo e le globalle che circolano per l’aria. Una è questa: il movimento antiglobal con chi ce l’ha, con i governi o con le multinazionali? Se ce l’ha con queste ultime, perché se la prende con i primi? Quelle, se non sbaglio, abbisognano della "deregulation" più totale; questi, che dipendono dai voti dei popoli e, dunque, dalle rispettive opinioni pubbliche, sono i soli che possano imporre regole al «mercato» e renderlo più umano per volgerlo a vantaggio della maggior parte.

Altro bersaglio stonato è la catena dei Mac Donald’s. Ci vanno a mangiare più che altro i bambini e gli extracomunitari. Fuori dal mirino restano, stranamente, Coca-Cola (forse perché ha già dato, ai tempi del Sessantotto), Internet e la Cnn.

Insomma, i simboli della globalizzazione sono stati ridotti all’osso, anzi alla polpetta e all’hamburger (che sono, paradossalmente, piatti tradizionali e neppure transgenici). Boh! Dice Andreotti che a pensar male si fa, sì, peccato, ma talvolta ci s’azzecca.

Forse una buona direzione d’indagine, per chiarirsi le idee, sarebbe la seguente: dove pigliano i finanziamenti gli antiglobal? Niente, tutto sembra, chissà perché, un dèjà vu: il dibattito, pur doveroso e oserei dire vitale, sulla globalizzazione prossima ventura è di fatto ridotto a due soli poli dialettici, così che uno si trova, gli piaccia o no, costretto a scegliere.

A scegliere, per giunta, tra due alternative che vogliono la stessa cosa: la globalizzazione.

Poiché quella auspicata dalla seconda delle alternative, quella "antagonista", puzza di anarchismo velleitario e tribale, straparla di supergoverni mondiali affidati all’Onu (dove voterebbero paritariamente sia gli Usa che il Burkhina Faso, ma i fondi e i mezzi sarebbero più a carico dei primi che del secondo), di irrealizzabili tassazioni "umanitarie" sulle speculazioni finanziarie internazionali (che, nell’era elettronica, sono tempestive e per definizione anonime), praticamente proponendo al pianeta un’etica da «centro sociale», e poiché tali richieste vengono di solito accompagnate da scontri e danneggiamenti, va da sé che tutti finiamo per fare il tifo per l’altro polo dialettico.

Insomma, mi chiedo: non staremo mica assistendo a un’immane gioco delle parti avente come scopo la spallata finale al sistema fondato sulle sovranità statali e a quanto rimane della cultura occidentale e cristiana?

Il materialismo dialettico, sconfitto in politica, ritorna (o continua) come metodo?

Questi due poli (o chi tira veramente i fili, cioè Mammona) finiranno per usarsi l’un l’altro come cinghia di trasmissione, un motore a due tempi che porti il pianeta verso un’unica direzione (globale, s’intende)? Altro boh.

Insomma, qualcosa non quadra del tutto.

Personalmente mi sento come davanti al prestigiatore che mi induce a guardare una delle sue mani per distrarmi da quel che sta facendo con l’altra. E il disagio si spinge fino al ricordo di quel vecchio libro di Volkoff, "Il montaggio", in cui il vecchio gnostico della Sezione D dice ghignando al suo interlocutore: «Noi abbiamo già programmato il Duemila. I russi? Quelli ormai non servono più».

Voi a questo punto mi direte: ma come, anche tu credi nel Complotto? Ma no: non sono solito sopravvalutare l’intelligenza del mio prossimo.

Certi meccanismi, avviatisi secoli fa, vanno avanti da soli, per forza d’inerzia. Credo invece nel Vangelo. E, dunque, nel Principe di Questo Mondo.

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