Domenica, 16 Giugno 2024


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Per l’Occidente e l’Occidente cristiano

Sgradevoli e strumentali le polemiche sulle affermazioni del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi - (Cultura e Libri) 

Oswald Spengler, l’autore de "Il Tramonto dell’Occidente". Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale, tanto citato almeno come prototipo di un genere della filosofia della storia, conclude quest’opera con una sentenza di Lucio Anneo Seneca: «Ducunt fata volentem, nolentem trahunt!», «Il destino guida chi lo segue, costringe gli altri».

Si potrebbe dire che tale «coazione» giunge anche a quel genere di fatti che sono i pensieri e le parole che li rappresentano. Così, di fronte ai tragici accadimenti dell’11 settembre 2001, che si sono verificati in America ma hanno sconvolto il mondo intero e che hanno tutta l’aria di un semplice inizio, si è costretti a pensare e a parlare in proporzione, cioè a pensare in grande e a utilizzare termini di uso non corrente. Soprattutto a rendersi conto che il significato attribuito a tali termini è tutt’altro che univoco. Così si equivoca su «scontri di civiltà» o «scontri di cultura» e su «guerre di religione», come se i primi dovessero essere dichiarati dai magnifici rettori delle università e le seconde dal Papa o da autorità equipollenti, dimenticando quanto, piaccia o meno, è implicito nei fatti e nelle situazioni.

Comunque, se serviva una prova di queste ricadute lato senso culturali, l’offre la cronaca politica.

Il 26 settembre, il presidente del Consiglio, on. Silvio Berlusconi, in visita a Berlino, ha parlato di superiorità della civiltà occidentale su quella islamica. Ed è stata immediatamente polemica.

Dando prova di mirabile sensibilità, sul Corriere della Sera del 25 settembre Angelo Panebianco ha affrontato il tema del relativismo culturale, espressione appunto culturale, cioè di visione del mondo condivisa da un gruppo umano, mentre il relativismo filosofico e morale è stato denunciato con altrettanta puntualità dall’on. Lucio Colletti su Il foglio quotidiano del 13 settembre.

Cos’ha detto di così scandaloso l’on. Berlusconi? Ha notato una «singolare coincidenza» fra i fondamentalisti islamici e il movimento antiglobalizzazione nella sua radicale critica ai valori del mondo occidentale. Una coincidenza determinata dal fatto che il movente dell'attacco terroristico dell'11 settembre, oltre a voler provocare «un'azione violenta da parte dell'Occidente per suscitare una reazione popolare dei paesi arabi moderati», era anche di carattere «culturale, ovvero quello di fermare la corruzione del mondo islamico da parte della civiltà occidentale». Per questo il presidente del Consiglio, parlando con i giornalisti al termine dell'incontro con il presidente russo Vladimir Putin, ha scorto «una singolare coincidenza con il movimento antiglobalizzazione, perché dall'interno dell'Occidente sono state mosse critiche al modo di pensare e di vivere occidentale». «Si cerca di criminalizzare l'Occidente — ha spiegato —, come se fosse colpa dei paesi più industrializzati la povertà di cui soffre larga parte del mondo». Anche a Genova, durante il G8, il presidente del Consiglio ricorda di «aver subìto la pressione dei ragazzi occidentali che in modo estremo e violento manifestavano contro la civiltà occidentale e ciò che questa porta nel mondo».

«Noi invece dobbiamo essere consapevoli della superiorità della nostra civiltà — ha aggiunto in una conferenza stampa —; il nostro è un sistema che ha garantito il benessere, il rispetto dei diritti umani e, a differenza dei paesi islamici, il rispetto dei diritti religiosi e politici. Un sistema che ha come valore la comprensione delle diversità e la tolleranza». «L'Occidente è stato un grande crogiolo di culture, storie, modi di pensare e di vivere, tradizioni. È esattamente l'opposto del pensiero unico — ha osservato l’on. Berlusconi —. Il valore della diversità è un valore riconosciuto. La capacità di integrazione, la tolleranza e la solidarietà per gli altri sono valori che fanno della nostra civiltà un fatto di cui dobbiamo essere orgogliosi». Per questo sbaglia chi «vuole mettere le due civiltà [quella occidentale e quella islamica, Nota dell’agenzia] sullo stesso piano. Dobbiamo essere convinti della superiorità della nostra civiltà — ripete il presidente del Consiglio —, una civiltà che mette al centro, come valore più grande la libertà, che non è un patrimonio della cultura islamica».

Dunque, si comincia trasformando la rilevazione delle diverse prospettive individuali e di gruppo a prova della non esistenza e della non coglibilità di verità oggettive se non della stessa realtà, quindi di valori permanenti che ne decorrano; si prosegue guardando con indifferenza ogni comportamento umano, e si finisce per diventare «comprensivi» anche nei confronti del terrorismo e per valutare come equipollenti tutte le visioni del mondo condivise, con una propensione alla svalutazione e alla criminalizzazione della propria, in quanto meno esotica e della quale sfuggono con maggiore difficoltà pure i particolari scabrosi.

Certo, come dice Plinio Corrêa de Oliveira, nella cultura e nella civiltà occidentale vi sono elementi positivi e negativi ma, aggiungo, oltre al fatto non trascurabile di essere la nostra cultura e la nostra civiltà, per quanto e nella misura in cui è degradata, gli elementi positivi primeggiano su quelli negativi, le luci hanno la meglio sulle ombre, com’ebbe a dire Papa Giovanni Paolo II a proposito della scoperta, della conquista e dell’evangelizzazione del Continente Americano.

Certo, la libertà non è tutto ma, come la pace, è la possibilità del molto concesso all’umanità come singoli e come gruppi. E, piuttosto che far l’apologia dell’illibertà religiosa e politica, merita si facciano sforzi, questa è anche la Nuova Evangelizzazione, per provare storicamente e teoreticamente che l’uomo occidentale ha fatto conquiste decisive e irrinunciabili perché ha scommesso sull’«ipotesi Gesù» — passo da un richiamo a Blaise Pascal a quello del titolo di un’opera di Vittorio Messori —, da cui è derivata, come ricaduta ad altri ignota, una straordinaria fecondità, anche scientifica, alla quale niente ci può indurre a rinunciare, ma che, per non produrre un delirio di onnipotenza, abbisogna della consapevolezza della sua causa prima e profonda.

Perciò, «di fronte alle diverse "culture" — suggerisce Nicolás Gómez Dávila — vi sono due atteggiamenti simmetricamente erronei: ammettere un solo modello culturale, concedere a tutti i modelli un identico rango. Né l’imperialismo petulante dello storico europeo di ieri; né il relativismo che si vergogna di quello attuale».

E non manca chi alla vergogna aggiunge — accanto a risibili notazioni economiche, costruite a prescindere dei mutamenti avvenuti nel neolitico, cioè nel 9000 avanti Cristo — volgare demagogia e afferma di esser grato al Signore dell’esser nato in Occidente, ma che l’«[…] esser grato al Signore non mi impedisce di pensare che se i miei quattro figli fossero nati in Biafra e nell’Iraq dell’embargo occidentale, essi sarebbero morti di fame nell’indifferenza dell’Occidente per le sue colpe».

Al che rispondo che la mia gratitudine verso il Signore per la condizione in cui sono nati e nella quale vivono i miei quattro figli trova il suo fondamento nel fatto che non sono nati in nessun paese islamico, dove avrebbero certo potuto ricevere dai genitori la fede, ma non trasmetterla. E non voglio, l’esito è un incubo, pensare a cosa sarebbe accaduto loro se, in un tale paese, non avessero fatto parte della «gente del libro», ma fossero stati, per esempio, poveri animisti sudanesi.

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