Domenica, 16 Giugno 2024


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Le radici cristiane d’Europa (e non solo)

Una riflessione sulle responsabilità degli opinionisti - (Famiglia e Società)

Non si riflette mai abbastanza (anzi, non si riflette mai) sulle responsabilità morali di cui si fa carico un opinionista. Chi commenta un fatto su un mezzo di comunicazione di massa, oltre ad aver diritto ad esprimere la sua opinione come tutti (diritto costituzionalmente garantito), ha un diritto in più: quello di farla arrivare a un sacco di gente, perché la sua, visto che lo pagano, è «qualificata».

In effetti, ci sono persone che, per competenza acquisita o per il solo fatto di saper penetrare nella realtà più profondamente degli altri, vengono addirittura pregate di farci sapere come la pensano.

Non di rado, tuttavia, la sola abilità di alcuni tra questi è quella di saper mettere le parole in seducente fila, e non si capisce se quel che affascina è "ciò" che dicono o "come" lo dicono.

In tutti i casi, la tentazione principale dell’opinionista è di scivolare poco alla volta nella posizione di «consigliere del popolo» o, come dicono i francesi, "maître à penser": "maestro del pensiero", colui che insegna agli altri cosa devono pensare.

La storia, purtroppo, ci ha lasciato un lungo elenco dei danni che possono fare gli opinionisti quando si comportano come gli antichi sofisti, e le tragedie di cui possono rendersi causa quando, in quel che dicono, ci credono davvero.

Per esempio, nel 1792 "L’Ami du Peuple" di Marat (che scriveva tutto maiuscolo per rispetto alle proprie idee) con una sola frase a effetto, fu capace di scatenare le «stragi di settembre»: metà della popolazione carceraria di Parigi (millequattrocento persone, quasi tutti semplici «sospetti») venne massacrata dai sanculotti scatenati da un giornale di un solo foglio, diretto, scritto e perfino stampato da una persona sola.

Da notare che Marat non aveva detto nulla di esplicito; solo, si era limitato a far notare che, essendo la Rivoluzione in pericolo per via dei successi militari della coalizione europea, qualcuno in casa se ne stava rallegrando.

Non a caso uno dei più terribili anatemi del Vangelo è rivolto a chi non sta bene attento a come usa la lingua.

Ma abbandoniamo i toni tetri e torniamo ai più pacifici opinionisti di tutti i giorni, quelli che appunto tutti i giorni abbiamo sotto gli occhi, quelli la cui principale occupazione è di solito costituita da quanto ha detto ieri quel politico e cosa gli ha risposto quell’altro.

Talvolta proprio l’ossessiva frequenza di queste opinioni, una al giorno di media, induce a chiedersi quanto tempo l’opinionista in questione dedichi alla riflessione. Si aggiunga che, per un comune impulso umano, un’opinione espressa viene poi difesa e sono rari quelli che ammettono di essersi sbagliati.

Ecco, nel vasto oceano delle opinioni non meditate ma sostenute fin che morte non sopraggiunga c’è quella, oggi corrente tra diversi opinionisti, della inconsistenza delle radici cristiane dell’Occidente perché anche ideologie a-cristiane, o magari anticristiane, hanno contribuito a formare dette radici.

E’ incredibile come il famosissimo «perché non possiamo non dirci cristiani» di Benedetto Croce sia stato da costoro allegramente accantonato. Eppure, parla chiaro: protestantesimo, massonismo, illuminismo, marxismo, agnosticismo e perfino ateismo sono tutti nati in casa cristiana e, dirò di più, proprio il cristianesimo li ha resi possibili.

Basta conoscere un po’ di storia o guardarsi attorno: le altre religioni sono immutate da millenni e nessun –ismo è mai uscito dalle loro costole. C’è un motivo, certo, che spiega questo, e purtroppo non abbiamo qui lo spazio per neppure accennarvi. Ma il dato è sufficiente.

Diceva Chesterton che «il mondo è pieno di idee cristiane impazzite», e lo diceva negli anni Venti-Trenta del secolo ormai scorso. E anche Marx, in fondo, non faceva che rimproverare al cristianesimo di non aver mantenuto le sue promesse di migliorare il mondo. Gli –ismi si può dire che non siano altro che tentativi di attuare quelle speranze, messe in moto dal cristianesimo, contro la religione che, dopo averle fatte balenare, le aveva deluse.

E’ questa, paradossalmente, una prova della potenza del messaggio cristiano. Butto lì, a questo proposito, una provocazione: come mai i vikinghi, che pur conoscevano benissimo l’islam (religione guerriera, teoricamente più accettabile agli adoratori di Wotan e Thor), scelsero il cristianesimo (religione di pace e rinuncia) e, per giunta, vi perseverarono per sempre?

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