Venerdì, 26 Aprile 2024


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Identità è Futuro

 Identità è Futuro

Intervento dell’On.le A. Pagano al Rotary Club Palermo Nord

Venire in una sede così prestigiosa è per me un piacere ed un onore. E devo essere sincero: mi fa piacere partecipare a questo incontro in questa veste di Assessore ai Beni Culturali ed Ambientali dopo essere stato Assessore alla Sanità e poi al Bilancio e Finanze ed avere ricoperto altri incarichi particolarmente impegnativi ed importanti per la Sicilia: incarichi questi di notevole prestigio che mi hanno permesso di acquisire uno straordinario bagaglio di conoscenze ed esperienze che mi permettono di apprezzare meglio la possibilità di occuparmi oggi di Beni Culturali.

E’ un’esperienza gratificante perché c’è la possibilità di incidere in modo profondo sugli usi, sui costumi, sulla mentalità, sulla cultura di un popolo che ha una cultura millenaria e che ha tutti i titoli per essere definito "popolo".

Tale definizione non è un fatto banale, ma l’espressione autentica di un modo di essere.

Quando sono stato in Giappone li ho trovati estremamente sorpresi della similitudine evidente che veniva percepita tra il popolo Giapponese e quello Siciliano e lo abbiamo potuto dimostrare nella kermesse che abbiamo realizzato.

Perché dico popolo. Popolo è quando un insieme di persone ha un’identità, una storia, un vissuto, una memoria oggettiva su cui affondare le proprie certezze. Coloro che non hanno questo tipo di fortuna non sono popoli, sono ‘realtà’; Paesi che probabilmente vivono in maniera molto decorosa il loro contesto, la loro attualità, ma non hanno una propria identificazione, una capacità di saper costruire il loro futuro. Ecco perché il Tema "Identità è Futuro": perchè nel nostro gruppo di lavoro abbiamo preso coscienza che esso rappresenta un fattore straordinario di sviluppo, un tema su cui centrare un programma di lungo periodo; sull’identità si gioca il destino del nostro futuro; perché le nostre società sono complesse, estremamente articolate e ingarbugliate; ingarbugliate perché complesse sono le dinamiche che intervengono e solo chi alle spalle ha un patrimonio ed è attrezzato in maniera opportuna ed ha punti di riferimento certi riesce a superare le difficoltà contingenti ed a vincere le sfide di oggi e del domani.

Avere le chiavi di lettura del successo diventa estremamente difficile, ma necessario. Ed una chiave di successo è puntare sulla propria Identità.

Una Identità che ci appartiene e che alcuni hanno smarrito, ma che costituisce un fattore di sviluppo determinante. Sull’Identità si gioca il contesto sempre più difficile per le sfide del nostro futuro.

L’elemento centrale su cui puntare, l’elemento centrale su cui fondare un futuro di successo è l’identità che noi abbiamo, è una nostra caratteristica, altri non l’hanno o l’hanno smarrito e noi potremmo rischiare di perdere questa identità in questa società complessa. Per cui rimarcare certi passaggi, soprattutto in ambienti di classi dirigenti come quella cui mi sto rivolgendo, è un fattore di necessaria riflessione.

La nostra società oltre che complessa è una società mondializzata, amo parlare di mondializzazione e non di globalizzazione, perché quest’ultima fa perdere identità, è estremamente anonima, perversa e considera tutto legato ad una dinamica di mercato. Sono particolarmente cosciente di ciò perché sono io stesso un uomo di economia, vivo questa realtà come un vissuto vero, quotidiano, costante e nello stesso tempo sono cosciente della grande forza, delle grandi prospettive, ma anche dei punti di debolezza e di quelli critici che essa offre.

La globalizzazione spersonalizza la società e la spersonalizzazione è l’anticamera di una sconfitta autentica. E visto che abbiamo parlato di futuro, consentitemi il passaggio quasi scontato, quasi spontaneo, tra economia e cultura.

Fare tutto questo in termini di prospettive significa avere la certezza di vincere le sfide.

Una società come quella di oggi, dove il costo del lavoro è estremamente non competitivo per il nostro Paese, può essere solo fonte di una preoccupazione leggittima per noi, visto che altre nazioni hanno costi del lavoro molto più modesti e qualità di prodotto praticamente comparabile. Allora diventa importante comprendere e trovare le chiavi di lettura per uscire da questo "cul de sac". E, secondo il mio modesto parere, una modalità per uscirne fuori, anzi la modalità, è possedere un’Identità. Ed in una società globalizzata di cui facciamo parte, ma che noi dobbiamo rendere mondializzata, è evidente che scoprire la propria anima, riscoprirla e riproporla a se stessi ed alle generazioni future è un viatico ed un’opportunità nello stesso tempo.

Oggi si dice che bisogna pensare globalmente e agire localmente.

Pensare globalmente significa avere una grande visione del mondo, grande prospettiva, grandi dinamiche; avere competizione, intelligenza, capacità di affrontare mercati e contesti estremamente diversi; ma questa mentalità non può che essere sposata con una capacità di agire localmente; perché è qui che dobbiamo confrontarci e misurarci ed è ovvio che tutto questo appartiene a maggior ragione a chi questa terra la ama profondamente al punto di farsene una ragione di vita in termini di servizio. So che in questo ambiente stiamo parlando a ragion veduta ed è facile condividere queste idee, ma bisogna avere le chiavi di lettura giuste perché altrimenti si perde tempo e la perdita di tempo instaura dinamiche negative, fa girare a vuoto e crea frustrazioni.

Ecco perché abbiamo sviluppato, per la prima volta nella storia di questa Regione, le "Linee Guida" di questo Assessorato.

In un Assessorato come questo, dove sono tante le opportunità di intervento, ci si fa prendere la mano dall’attività quotidiana, per cui si rischia che venga meno il sistema, la logica delle strategie e della programmazione. Ma soltanto chi pianifica, chi programma ha probabilità di successo. Per cui, forti di tutto questo, periodicamente ci chiudiamo nelle nostre stanze, riflettiamo e scriviamo.

Questo documento programmatorio sarà presentato da qui a qualche giorno alla stampa quando avremo il nostro Direttore Generale; perché al Direttore daremo molto di più delle semplici Linee Guida, daremo anche una modalità d’intervento e pubblicheremo tutto questo.

Perché non stiamo parlando solo in termini di ‘vision’, ma di programmazione, di ‘mission’, di avere la piena consapevolezza e di credere in quello che facciamo perché diversamente staremmo solo a cavallo, vivremmo alla giornata cercando di cavalcare la tigre.

Ecco allora perché Identità è Futuro, perché l’identità è la radice, l’identità è il sistema con cui avvinghiarsi al terreno per non cadere, ma è anche la capacità di trarre dal terreno stesso la linfa vitale, l’energia, per far crescere la pianta. Una pianta che oggi purtroppo non va tanto bene.

Noi siciliani riteniamo di essere i migliori, siamo afflitti dall’orgoglio, forse siamo i migliori, chissà; ma in una società come questa dobbiamo dimostrarlo e i fatti dicono che in realtà non siamo i migliori.

In questo momento, l’Europa colta ed il mondo internazionale che ha un certo livello di cultura ci guarda con interesse ed attenzione. Vengono finalmente superati i cliché di ingiusti anni di oscurantismo, di stereotipi che sono stati vergognosamente contrabbandati come una realtà comune, ma purtroppo comune non era e si guarda ad una Sicilia che ritorna ad essere centrale. Per cui il fatto che quegli stereotipi siano passati come messaggi subliminali devono darci una speranza; ciò non significa incassare un credito a vita che per incroci magici il destino ci ha voluto dare e ci permette di godere, bensì bisogna coltivarlo e costruirlo altrimenti andrà ad esaurirsi.

Ecco perché l’Identità deve essere anche il Futuro; perché se questa identità non ce la riproponiamo tutti i giorni, rischiamo un’involuzione in termini di orgoglio, cui accennavo prima, e rischiamo di seguire modelli sbagliati. Perché noi abbiamo avuto modelli sbagliati; quello che ci è stato tramandato è stato un modello profondamente fuorviante.

Quando siete venuti ad invitarmi personalmente, visita che ho gradito e di cui sono stato contento ed orgoglioso, mi avete fatto dono di questo libro di Franchetti e Sonnino. Libro che ho gradito perchè mi ha permesso di fare una riflessione con voi e che oggi vi ripropongo e cioè il fatto che la nostra Isola ha subito due grossi handicap negli ultimi 150 anni. Ma dobbiamo fare tesoro di entrambi e capire cosa è accaduto in modo che da questi errori del passato, che abbiamo subito, che non sono stati nostri, possiamo trarre la capacità di rilanciare e ricostruire il nostro futuro in modo diverso:

Primo dato storico: Nel 1860 non c’è stata una guerra di liberazione, ma una vera conquista militare. Per una Sicilia che era una delle più importanti regioni dell’epoca, utilizzando le logiche tipiche della politica di allora, vi fu una conquista del potere in maniera assolutamente anomala: mille uomini non potevano sconfiggere il III esercito più importante d’Europa, c’è stato qualche trucco, oggi si chiamerebbe corruzione.

I generali invece di combattere fuggivano. I mille uomini hanno invaso senza colpo ferire e commesso, soprattutto in Sicilia, mille barbarie, e poi fu una vera guerra militare. La chiusura, infatti, del Porto franco di Messina nel 1872, che ha creato immediatamente oltre 30.000 disoccupati in un’area geografica così ristretta non ha altre spiegazioni. Furono smantellate tante fabbriche e portate in Piemonte. Fu allora che iniziarono dalla Sicilia i flussi migratori che ancora oggi continuano.

Abbiamo impiegato anni per superare quel cliché; poi abbiamo avuto la II Guerra Mondiale e poi ancora un’altra guerra di conquista, perché l’assistenzialismo del dopoguerra ci ha dato l’illusione di lavorare e di percepire un compenso. In tal modo è stata generata in maniera scientifica, come dice l’economista Renato Brunetta, un’èlite che sta bene e poi tutto il resto che è costretto a sopravvivere per assistenzialismo. Questo non è stato il frutto di una casualità: questo è il pensiero di Pasquale Saraceno, cioè il consulente di decine di uomini di Governo dal 1955 fino alla sua morte.

Il suo pensiero sulla Sicilia era: in quella terra non può nascere nulla di buono, le risorse endogene non sono adeguate (le stesse cose che si dicevano ai tempi di Franchetti che fece una fotografia seria di quel periodo, mentre tutti gli altri la pensavano in modo diverso). E quindi "La Sicilia doveva essere una terra gestita, non una terra di sviluppo e di opportunità, ma di assistenzialismo e Welfare duro"; il risultato è stato un modello di sviluppo assolutamente negativo che ci ha penalizzati, che ci ha portati allo stremo, ci ha sfiniti, arrecandoci un danno incalcolabile. Nel momento stesso in cui viene realizzato un processo come quello di Gela, di Siracusa o di Termini Imerese (dove l’Azienda che vi è stata insediata era privata quando c’erano gli utili e pubblica quando doveva "socializzare" a noi contribuenti le perdite accumulate), dove questi stessi contesti hanno generato disagi spaventosi e contesti malavitosi straordinari, abusivismo dove un tempo c’erano le più grandi civiltà dell’Europa pre-cristiana, con i più importanti insediamenti che l’uomo ricordi, ed uno scempio dell’ambiente che è sotto gli occhi di tutti ancora oggi.

Vedete come è stata luciferina questa scelta: nei luoghi dove un tempo c’era la civiltà è stato distrutto tutto. Io che sono di Caltanissetta, esattamente di S. Cataldo, so che tutti sapevano che si scavava di notte per costruire di giorno abusivamente; e quando trovavano cose preziose, perché quei posti sono il ventre della civiltà e ancora oggi sono una miniera di reperti archeologici, o venivano venduti nei musei di mezzo mondo, oppure venivano distrutti, altrimenti la Soprintendenza bloccava tutto.

Questo è il dato, quasi a sottolineare che la nostra civiltà è stata distrutta e calpestata da un’altra presunta civiltà. E’ evidente quindi che ciò deve essere elemento di riflessione.

Ecco perché l’Identità è anche il Futuro. Noi non possiamo più realizzare modelli di sviluppo che altri ci hanno disegnato e che sono risultati assolutamente fallimentari e nefasti; abbiamo il dovere di capire dove abbiamo sbagliato, capire perché abbiamo avuto scarsa consapevolezza delle nostre risorse e non abbiamo saputo re-agire, dobbiamo riconquistare la consapevolezza di come intervenire.

Ma come intervenire? Ho qui la frase di un autore che amo molto leggere, Junger, che voglio sottoporre alla vostra attenzione e che dice "La storia è l’impronta che l’uomo libero dà al suo destino".

Nel 1860 non abbiamo avuto consapevolezza di quanto ci stava accadendo. Sembra che altri abbiano disegnato il nostro destino. La nostra regione era il Kuwait di allora, aveva lo zolfo, era importantissima, poi era alleata di un Paese che doveva soccombere: l’Austria; quindi come possiamo immaginare che l’Inghilterra massone avrebbe potuto accettare una cosa diversa; non vi era possibilità di reagire.

L’inchiesta di Franchetti, che ho attenzionato (ed accetto la proposta che mi avete fatto, quindi ufficializzo che l’Assessorato sarà onorato di fare propria la vostra proposta e di ristampare un’opera seria che ho avuto modo di apprezzare. E’ questo un modo concreto e fattivo di collaborare con enti ed istituzioni importanti) ci spiega come non c’è stata una reazione, ci mostra uno spaccato di quel periodo storico, ma ancora drammaticamente attuale: è una fotografia realistica e drammatica che ci parla di clientelismo di ieri come di oggi, ma anche di legalità non tanto profonda. Sono logiche che ci appartengono, che noi dobbiamo perdere, altrimenti che impronta potremo a dare al nostro destino?! Non vi è dubbio che molte vicende le abbiamo subite perchè la storia la fa chi vince, però dobbiamo ammettere che noi le carte a posto non le avevamo. L’inchiesta è perfetta e seria da questo punto di vista ed è di grande attualità per farci riflettere e farci capire cosa possiamo fare.

Cito ancora Junger: "La Storia, quando l’uomo è in difficoltà, restituisce."

Quando l’umanità non ha più un appiglio, quando tutto sembra perduto e l’uomo è alle corde, la Storia interviene e gli restituisce e gli permette di trovare elementi di riflessione. L’uomo intelligente, razionale che continua ad avere una visione ben chiara del mondo, che non è ossessionato ed oppresso da questa società complessa, ma che continua a ragionare, riesce a cogliere le riflessioni valide. Ecco perché il Satiro Danzante lo considero un grande regalo della Storia. Pensate cosa sarebbe successo se questo ritrovamento fosse avvenuto negli anni ‘70 – ‘80, quando un ritrovamento era un ostacolo ad un’economia già disegnata e prestabilita.

Ecco allora come la sensibilità di sette semplici e comuni pescatori, avulsi dalla materia dei beni culturali, ha permesso loro di capire che avevano tra le mani un bene prezioso, straordinario e, non solo non lo buttano in acqua, ma non ci speculano, non lo rivendono nonostante le offerte ricevute, seguono il loro intuito, la loro sensibilità e capiscono che devono fare qualcosa di diverso. Un gesto straordinario!

Ma a cinque anni dal ritrovamento, questa mitica Regione Siciliana, non è stata ancora in grado di ripagarli perché la valutazione economica del reperto è ancora dubbia. I musei più importanti del mondo sarebbero stati disposti a pagarlo con cifre sbalorditive e noi siamo fermi ancora con i periti. E tocca a noi spiegare ai periti che è un pezzo unico.

Siamo stati in Giappone, con una mostra che sta per iniziare il 25 marzo e che ha già venduto 8.000.000 di biglietti a visitatori che vogliono ammirare il Satiro Danzante, con circa 16 - 18 milioni di Euro di incassi. Capite allora quanto è difficile governare bene quando ci sono queste logiche. Ma fortunatamente vi sono anche logiche che ci fanno ben sperare; sono le logiche di chi non ha voluto cedere al ricatto, di chi avrebbe fatto cose negative in altri tempi, buttando a mare il Satiro o vendendolo in termini speculativi. E allora Junger dice bene "La Storia restituisce" e noi di storia ne abbiamo tanta: 2.500 anni, anzi 5.000 anni di storia ininterrotta perché quando i Greci sono venuti qui, c’erano già tracce di Storia. Nella Sicilia centrale, quella di Sutera, di Milena, ci sono tracce di Storia, di Protostoria e di Preistoria che sono inenarrabili e di cui un giorno bisognerà parlarne adeguatamente. Sempre e tutti passavano dalla Sicilia, perché qui c’erano risorse naturali preziose: il grano, il bitume, l’allume, il legno per mangiare e per fare il fuoco e poi ne rimanevano affascinati.

Noi, pertanto, abbiamo immaginato un ragionamento che suona in termini diversi: La Storia restituisce; la nostra identità è forte; il popolo in quanto tale continua ad esserlo di padre in figlio per un miracolo incredibile, perché non abbiamo ancora smarrito le nostre origini, però dobbiamo comprendere con quali chiavi di lettura accedere al nostro futuro, costruire la nostra Storia. Noi dobbiamo ritrovare la nostra visione antropologica.

Al centro di tutto c’è l’uomo.

Bisogna partire da quelle cose che ci appaiono banali, lapalissiane. Mi piace citare Massel de Cort, uno straordinario filosofo belga che nel suo libro ‘Intelligenza in pericolo di morte" dice che l’uomo essendo componente di dinamiche che sono psicologiche e umorali, ha un’accezione di Bene e di Male, per cui non è vero che si va sempre avanti.

Quando ci vogliono contrabbandare la tesi che si va sempre avanti, soprattutto nel campo della ricerca scientifica è una banalità, non tutto è scontato. Questo mondo di oggi non cammina mettendo al centro l’uomo, anzi, l’uomo viene messo molto da parte. Viene detto che la Natura è intoccabile, è sacra: "purtroppo la natura è un mostro" perché la natura che non è oggetto di controllo serio rischia di fagocitarci.

Vi invito a visitare i Giardini della Kolymbetra. E’ un simbolo di quello che sto dicendo: nel 450 il dittatore Tirone, utilizzando un migliaio di schiavi, fa scavare sotto la Valle dei Templi, realizza i 17 ipogei che consentono di raccogliere flussi di acqua, dando luogo anche alla formazione di un laghetto. Vi erano pietre aride, diventano luogo di frescura. Il tempo, i trasporti e così pure l’uomo creano una quantità di culture, dagli ortaggi agli agrumi, che rendono quel posto un vero paradiso terrestre. Fino a 30 anni fa era così, ma negli ultimi anni, parlo degli anni ’60 - ‘70, diventa luogo di arbusti e disordine, dove la natura distrugge. Il FAI trenta anni fa se lo fa affidare dalla Regione e lo fa ritornare al suo antico splendore. E cosa dire nei luoghi di montagna dove il mancato intervento dell’uomo crea friabilità. E’ vero, c’è anche l’intervento devastante dell’uomo. Ed è lì che bisogna intervenire, per evitare che l’intervento umano possa creare gli eccessi in termini di distruzione o di speculazione. Ma nello stesso tempo la visione dell’uomo che deve intervenire concretamente è essenziale in una società che si vuole definire tale; altrimenti non è società è un’altra cosa.

Qualcuno dice che il Ponte è una cosa innaturale, quando si parla del ponte sullo Stretto. Ma i ponti, le strade, le piramidi, li ha fatti l’uomo. I cavalli in America li ha portati l’uomo; i pomodori in Sicilia li ha portati l’uomo, ... Quasi tutto quello che ammiriamo è stato fatto dall’uomo. Eppure quest’uomo è diventato una bruttura ed allora è necessaria una visione antropologica, per evitare che qualcuno utilizzi male il Bene comune, che utilizzi a proprio vantaggio quello che è un bene di tutti: su questo dobbiamo riflettere. Ma poi l’uomo deve intervenire. Non possiamo costruire una casa anche in maniera ardita che tutti sono pronti ad intervenire ed a criticare, comprese le Soprintendenze.

E’ necessario cominciare a ragionare con una logica diversa, anche con le leggi che stiamo cominciando a cambiare in maniera profonda, ma anche con le mentalità. Perchè essere detentori di un potere non significa essere detentori del potere. Il potere è in termini di ministri, cioè a disposizione degli altri; Noi oggi giudichiamo positivamente quello che i nostri padri ci hanno lasciato, ma fra 200 anni cosa diranno i nostri figli di noi? Se abbiamo fatto abuso o abusivismo, perché nessuno dà autorizzazioni a costruire, che abbiamo fatto delle brutture incredibili perchè le uniche cose che abbiamo saputo regalare sono questi scatoloni di cemento armato con dei balconi orribili, omologati. Non c’è più niente di ardito perché i nostri architetti non possono fare più nulla , perché la creatività è stata uccisa, perché è più comodo restaurare e guadagnare di più. Non parliamo poi di Ponti, che da solo il Ponte sullo Stretto porterebbe 5 punti percentuali in più di Pil ogni anno per i prossimi 20 anni, che da solo bloccherebbe 40 mila miliardi di investimenti di vecchie lire, determinerebbe il miglioramento delle ferrovie ad alta velocità e delle autostrade. Il Ponte porterebbe tutto questo, porterebbe l’alta velocità e il raddoppio dell’autostrada. Il "Corridoio Otto" è Amburgo-Palermo, se non si fa il ponte il suo sviluppo si ferma a Napoli; ed erano tre gli ostacoli in Italia per la sua realizzazione: Il Traforo del Monte Bianco, Il Varco degli Appennini per congiungere Bologna-Firenze ed il Ponte sullo Stretto. Gli altri due li hanno fatti, il Ponte no. I primi tifosi di questa mancata realizzazione sono i francesi, i belgi ed i sassoni con la motivazione strumentale che ci vogliono prima interventi prioritari e che bisogna salvaguardare l’ambiente: in questo modo i finanziamenti rimarrebbero nel continente.

Anche qui dobbiamo riflettere, perché qualcuno sta facendo i suoi sporchi interessi contro il bene comune, strumentalizza i poveri idioti che abboccano ingenuamente all’amo.

E noi auspichiamo una società che si muova all’interno di logiche nuove. Noi vogliamo che la Sicilia sia espressione di un’alta cultura anche dal punto di vista urbanistico. La nostra Italia è ferma al 1910: al Liberty. Poi non troviamo più nulla di originale, tutto è omologato. Noi saremo giudicati dai nostri figli per quello che siamo. Se vogliamo trovare un pizzico di originalità dobbiamo risalire al ventennio fascista che ha lasciato una traccia di un’architettura più o meno discutibile, ma l’ha lasciata.

Oggi è arrivato il momento di immaginare un futuro che partendo dalle nostre radici sia diverso.

Desidero concludere con una frase di un poeta polacco, Norwick, che ci fa riflettere. Per Norwick "la bellezza serve per entusiasmare, l’entusiasmo serve per lavorare, e il lavoro serve per risorgere". E’ sbagliatissimo credere che è bello ciò che piace, secondo il relativismo etico, e negare che vi è una oggettività nella bellezza delle cose. La verità oggettiva prima o poi trionferà.

Rosario Assunto, che è stato un grande autore siciliano dimenticato, mortificato e che stiamo facendo rinascere (perché questa gestione dei Beni Culturali si caratterizzerà per la sua capacità di enfatizzare e sviluppare tutto ciò che è la nostra identità, dice: "esistono verità con la V maiuscola che sono diverse dalle tante verità che ognuno si costruisce". La verità con la V maiuscola è quella che ha per riferimento valori assoluti di cui dobbiamo ritrovare il gusto e il piacere di parlare, di discutere, di affrontare perché chi vuole cambiare le cose deve trovare anche il coraggio di affrontare le sfide di una non comprensione delle sfide.

Ma la "bellezza serve per entusiasmare, l’entusiasmo serve per lavorare, ma il lavoro, conclude Norwick, serve per risorgere".

E su questo pensiero di Norwick concludo e spero che tutti noi abbiamo elementi di riflessione e di condivisione.

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