Giovedì, 18 Aprile 2024


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Evitare che l'Università assuma la connotazione di un ufficio di collocamento

Atto Camera

Interpellanza urgente 2-00496

 seduta n.225

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:

l'articolo 33 della Costituzione prevede che: «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento» e che: «Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato» concretizzati in autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile;

a partire dalla legge n. 168 del 1989, con la quale veniva istituito il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, le riforme successive hanno cercato di valorizzare la responsabilità dei singoli atenei per garantire la qualità dell'offerta formativa con l'obiettivo di adeguarla alla domanda di competenze richiesta dallo sviluppo della cultura e dall'evoluzione del mercato delle professioni;

al termine del decennio di applicazione delle riforme previste dal decreto ministeriale n. 509 del 1999, recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei, risulta evidente il mancato raggiungimento degli obiettivi indicati ed il verificarsi di gravi distorsioni del sistema universitario provocate soprattutto dalla frantumazione dei curricula accademici irresponsabilmente operata dal cosiddetto 3+2»;

la constatazione del fallimento del decreto ministeriale n. 509 del 1999 avrebbe dovuto produrre una decisa azione del Ministero dell'istruzione, dell'umanità e della ricerca per sanarne le distorsioni proprio a partire dal superamento del dannoso modello 3+2», primo responsabile della moltiplicazione del fabbisogno di docenti destinati a sostenere la struttura delle migliaia di inutili corsi di laurea creati con l'applicazione del suddetto decreto ministeriale;

per rimediare a questa incontrollata proliferazione di corsi e quindi al crescente fabbisogno di docenti, ci si è in gran parte affidati ai discussi concorsi universitari e, solo in minima parte, a contratti annuali di docenza ai sensi dell'articolo 1, comma 10, della legge n. 230 del 2005;

ora il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, anziché intervenire con decisione dettando parametri di compatibilità basati sulla domanda (un numero di studenti di almeno 250 per corso) e ristabilire la continuità curriculare con la prescrizione di corsi unitari di quattro o cinque anni, intende ricorrere al principio generalizzato dell'incardinamento in ruolo che già allo stato attuale incide gravemente sulle già esauste casse dello Stato;

a tale scopo si intende procedere aggravando le norme relative alle risorse di docenza (cosiddetti requisiti minimi) fissate per l'attivazione dei corsi di laurea, secondo procedure affidate ad astruse tabelle di ambiti, settori e crediti, elaborate sulla base di parametri che non hanno nulla a che fare con la programmazione delle competenze necessarie per una moderna formazione degli operatori professionali, mentre, ad avviso degli interpellanti, rispecchiano piuttosto gli articolati interessi della corporazione accademica;

del resto l'obiettivo di pervenire ad una composizione del corpo docente affidata alla sola qualifica di professore di ruolo è decisamente impensabile sotto il profilo economico dati i costi dei relativi adeguamenti stipendiali; ma è anche pericolosamente evocativa secondo gli interpellanti di una concezione cupamente statalista da democrazia popolare intesa a privilegiare un'idea di funzionario docente del tutto privo di autonomia dal potere amministrativo;

corollario di tale principio, di cui si riconosce facilmente la natura ideologica, è l'abolizione, ora anticipata dalle linee di indirizzo del 4 settembre 2009, del fecondo sistema di scambio tra il sistema universitario e il sistema produttivo, tra il mondo della ricerca e della cultura e il sistema delle attività sociali, che oggi è ancora garantito proprio da quel contratto annuale di docenza che costituisce anche il residuo di autonomia didattica che ancora resta agli atenei virtuosi;

con il complesso di tali norme si delinea una concezione certamente in controtendenza rispetto alle timide aperture contenute nello stato giuridico di cui alla legge n. 230 del 2005, poiché l'università finisce per costituire a giudizio degli interpellanti, sostanzialmente un «ufficio di collocamento» che provvede a costruire un sistema assolutamente autoreferenziale, chiuso in se stesso e del tutto isolato dai processi di innovazione che costituiscono il seme vitale delle dinamiche sociali del cambiamento senza il quale viene meno il modello stesso dell'universitas studiorum -:

quali iniziative il Ministro interpellato intenda assumere per evitare che l'Università assuma sempre più la connotazione di quello che agli interpellanti appare un «ufficio di collocamento», con conseguente svilimento per la professione docente che richiede invece una vocazione per una vita di sacrifici e impegni sul piano personale ma di profonde soddisfazioni sul piano cultuale ed intellettuale che non tutti riescono a cogliere e per impedire, altresì, che si verifichi un sostanziale aggravamento della disciplina dei requisiti quantitativi e qualitativi necessari all'attivazione dei corsi di studio, peraltro già gravosa, che vanificherebbe proprio gli obiettivi di qualificazione del corpo docente degli atenei disciplinati dalla normativa in vigore.

(2-00496)
«Marinello, Pagano, Gioacchino Alfano, Traversa, Osvaldo Napoli, Vincenzo Antonio Fontana, Franzoso, Ventucci, Fallica, Dima, Catanoso, De Angelis, Savino, Germanà, Mariarosaria Rossi, Toccafondi, Girlanda, Nola, Cristaldi, Romele, D'Ippolito Vitale, Marsilio, Rosso, Taddei, Mussolini, Polidori, Antonione, Lo Presti, Soglia, Biancofiore, Polledri, Bernardo, Porcu, Zorzato».

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