Martedì, 14 Maggio 2024


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Tagliare la spesa pubblica improduttiva per non morire


 

 Il fallimento della Grecia ha determinato la scelta del Governo italiano, così come di altri Paesi europei, di concepire una manovra finanziaria di 25 miliardi di euro capace di diminuire il deficit e contenere il grande debito pubblico.
Gli avversari di questo Governo hanno criticato ma il tutto si è limitato alla sterile lamentazione, visto che tacciono sul fatto che le responsabilità vanno ricercate verso quei Partiti che in maniera consociativa tra il 1980 e il 1992 moltiplicarono il debito pubblico italiano di 8 volte.


La ricetta di Tremonti/Berlusconi è stata chiara sin dall’inizio: lo Stato deve essere come quel buon padre di famiglia che quando vede che le entrate diminuiscono procede alla eliminazione degli sprechi e delle spese superflue.
 Questa semplice filosofia ha consentito all’Italia di essere, negli ultimi due anni, il migliore Paese dell’occidente a sapere affrontare la crisi.
Ma la crisi oggi è arrivata ad un altro stadio. Come ci spiegava mesi fa lo stesso Tremonti, “siamo in una sorta di video–gioco dove affiorano nuovi mostri. Quello di adesso è la crisi degli Stati sovrani a seguito del loro enorme debito pubblico”. La terapia anche in questo caso è semplice: occorre ridurre il peso della presenza dello Stato e ciò lo si fa  riducendo la spesa improduttiva.
La Corte dei Conti ci dice che la spesa improduttiva per eccellenza, e su cui bisogna lavorare, è quella dei dipendenti pubblici. Il loro costo ammonta a 170 miliardi di euro che aumenta clamorosamente ogni anno.
Il Ministero della Funzione Pubblica ha ufficializzato che, negli ultimi 10 anni se gli aumenti concessi ai “pubblici” fossero stati pari a quelli dati ai “privati”, lo Stato avrebbe risparmiato 7,5 miliardi di euro l’anno. Una cifra davvero impressionante.
Anche nei conti previdenziali le cose non vanno bene per i dipendenti pubblici visto che il buco viaggia sugli 11 miliardi di euro. Al contrario per i lavoratori dipendenti privati il saldo è di (+) 4 miliardi di euro.
Ora è evidente che gran parte del danno dei nostri conti sta proprio nella voce “dipendenti pubblici”. I costi sono altissimi, mentre la qualità del loro servizio è bassa. Le pratiche da loro lavorate  stanno mesi sulle scrivanie, qualsiasi investimento privato che necessita di un’autorizzazione della P.A. decolla con fatica o non decolla per niente. Ci sono poi i casi di dirigenti che guadagnano centinaia di migliaia di euro ogni anno e che fanno pure politica diretta o indiretta, o che non si prendono responsabilità nemmeno sotto tortura.
La Corte dei Conti dice che bisogna legare gli aumenti delle retribuzioni della Pubblica Amministrazione alla produttività, ma questa è una cosa a cui non crede più nessuno. Troppo forte è infatti la pressione che la burocrazia esercita nei confronti di chi governa. E se non vengono concessi gli aumenti la macchina amministrativa viene bloccata del tutto.
Negli Enti Locali e in particolare nelle Regioni questa pressione è ancora più forte.
Con queste condizioni il federalismo  sta nascendo già zoppo e l’unica proposta seria è quella di bloccare per qualche anno l’autonomia contrattuale degli Enti Locali per riconcederla poi con regole severissime e con vincoli di bilancio non scardinabili.
Chiudo con un esempio virtuoso. La Norvegia ha 5 milioni di abitanti ed ha la seconda riserva di petrolio più estesa al mondo. Grazie a queste condizioni i norvegesi potrebbero vivere di rendita per 400 anni e andare in pensione quando vogliono. Invece loro hanno alzato l’età pensionabile fino ad arrivare in molti casi a 75 anni di età. Le risorse risparmiate sono state investite verso le generazioni future mediante un welfare particolarmente favorevole alle famiglie. Guarda caso oggi in Norvegia la media dei figli è di 4,5 per ogni famiglia, contro la media di 1,9 in Italia.
Conclusioni: tra 20 anni l’Italia sarà piena di vecchi e di poveri, mentre la Norvegia sarà un Paese vigoroso e ricco.
Piaccia o non piaccia, tagliare la spesa pubblica improduttiva serve anche a questo!

 Alessandro Pagano

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