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Intervento del relatore, On. Alessandro Pagano sul tema: "Ruolo dell’Italia unita fra Europa e Regioni" 


 



Per ascoltare direttamente l'intervento dell'On. Alessandro Pagano vai ai minuti: 2:04:25
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Agrigento, 11-12 giugno 2010 

Il tema su cui i relatori e i convenuti sono oggi chiamati a riflettere è “il ruolo dell’Italia Unita fra Europa e Regioni”. Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, che ci apprestiamo a celebrare, offre lo spunto per avviare una riflessione anche di natura storica.

L’Unificazione politica dell’Italia, la cosiddetta Unità d’Italia, e l’omogeneizzazione culturale fra gli stati che la componevano, ha prodotto non pochi danni se consideriamo che ancora oggi ci sono problemi irrisolti quali la “questione Meridionale” e la “questione Settentrionale”.

I liberali utilizzarono il mito del Nazionalismo per scalzare i governanti degli stati pre-unitari e anche i fascisti ripresero il Nazionalismo per rafforzare la loro egemonia. Esso però era un artificio politico, non a caso sia il Risorgimento, con il suo “mito di fondazione”, che la Resistenza, con il suo “mito di rifondazione”, non fanno parte del patrimonio comune dell’intero territorio italiano, ma soltanto di una parte di esso.

Anche l’On. Luciano Violante, per quanto i nostri orientamenti politici siano differenti, si è espresso in questi termini sul tema. In occasione del suo insediamento come presidente della Camera dei Deputati (10 maggio 1996), egli affermava: «L’Italia deve capire perché, a differenza di altri Paesi europei, non ha ancora valori nazionali comunemente condivisi. […] Le due grandi vicende della storia nazionale, il Risorgimento e la Resistenza, hanno coinvolto solo una parte del Paese e ed una delle forze politiche. […] Oggi del Risorgimento prevale un’immagine oleografica e denudata dei valori profondi che lo ispirarono. La Resistenza e la lotta di liberazione contro il nazifascismo corrono lo stesso rischio e, per di più, non appartengono ancora alla memoria collettiva dell’Italia repubblicana».

In verità l’Italia esisteva già come unità culturale e linguistica pur nella diversità. A tenerla unita ci pensavano la latinità, la grande tradizione romana, e il Cristianesimo. Dante, citando Virgilio, scriveva: «quell’umile Italia […] per cui morì la vergine Cammilla, Eurialo e Turno e Niso di ferute».

Prima del Risorgimento l’Italia era una terra caratterizzata da una grande cultura, apprezzata tanto dai suoi abitanti quanto dai suoi tanti estimatori stranieri. Gli italiani pre-unitari erano consapevoli che nel loro patrimonio culturale c’erano l’eredità romana e cristiana, due concetti che li hanno sempre fatti oscillare tra l’apertura all’universale (la nazione) e l’attenzione al particolare (la comunità locale). Due concetti certo opposti, ma vissuti con quell’equilibrio che ha reso la nostra cultura feconda nella maniera che conosciamo.

Questa nazione pre-unitaria che tutelava la cultura italiana quindi era permeata dal cristianesimo e dai valori del diritto naturale; questi erano il collante del popolo italiano.

Nei diversi Stati e fra i singoli Stati la mediazione tra il locale e l’universale veniva svolta dalla Chiesa cattolica. Dopo la caduta del Sacro Romano Impero, avvenuta nel 1806 sotto la pressione di Napoleone, la politica divenne puro rapporto di forze e solo una Federazione di Stati avrebbe potuto ammortizzare l’impatto del cambiamento politico sopraggiunto, ma sappiamo bene che essa non si realizzò. Le élites dell’epoca, infatti, avevano ben altri interessi, volevano spazi e mercati più ampi, senza contare che la loro avversione nei confronti della Chiesa e del Cristianesimo non poteva aiutare la scelta federativa.

A tal proposito Giovanni Spadolini, storico e politico laico, ha scritto: «In un Paese che aveva conosciuto solo l’universalismo religioso e il federalismo politico, il progetto di conquista piemontese doveva necessariamente urtare contro l’uno e contro l’atro, contro la Chiesa e contro la tradizione nazionale e popolare, perfettamente rappresentata dalla Chiesa» (Il Papato socialista, 1982).

La stessa riflessione la fece Fedor Dostoevskij: «[…] Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di un politico, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? E’ sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, […] un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!».

Il crollo del fascismo spianò di nuovo la strada alla presenza dei cattolici nella vita politica, si pensi ad esempio ai comitati civici di Luigi Gedda del 1948. Quest’esperienza per quanto “salvifica”, visto che ci salvò dal comunismo in quelle mitiche elezioni del 18 aprile, non prese piede e i cattolici italiani confluirono nella Democrazia Cristiana, che era un partito di notabili senza alcun progetto culturale. L’egemonia culturale, invece, rimase salda nelle mani dei comunisti, dei laicisti massoni e dei cattolici democratici.

Così anche nel dopoguerra il federalismo non trovò attuazione. Dobbiamo attendere il 1983 e la fondazione della Lega Lombarda, oggi Lega Nord: solo allora, infatti, la parola “Federalismo” entrò nel vocabolario politico.

Tale concetto non indica solamente una forma di Stato, ma anche un principio di organizzazione dei popoli: esso richiama l’idea della comunità, della parentela, del vicinato, della città. Il Federalismo rispecchia la formazione naturale di tutte le società politiche, che sono costruite dal basso verso l’alto. Rappresenta uno stato intermedio tra la famiglia e la nazione. Da ciò discende che:

a)                 il federalismo autentico riconosce il primato della persona e della società sullo Stato, al quale rimane il compito di assicurare l’unità e di intervenire negli ambiti in cui il livello più prossimo al cittadino non può garantire efficienza (principio di sussidiarietà);

b)                 tutela il cittadino dal peso e dal dispotismo dello Stato.

Federalismo non significa appesantimento della burocrazia con l’apertura di nuovi sportelli, ma minimizzazione della presenza dello Stato; se lo Stato arretra ciò che acquisterà peso saranno le libertà concrete secondo il noto schema della dottrina sociale della Chiesa: «tanta libertà quanta è possibile, tanto Stato quanto è necessario».

Questo principio vale anche per l’Unione Europea. Viviamo in un periodo in cui a fronte del progressivo trasferimento di funzioni in favore degli organismi sovranazionali si riscontra una tendenza a rafforzare il contesto subnazionale e regionale. Ciò è possibile grazie anche allo sviluppo della tecnologia che ci consente di sentirci allo stesso tempo “globali” e “locali”.

Lo Stato italiano oggi può svolgere due funzioni: può divenire il ponte che mette in comunicazione le piccole patrie locali (le Regioni) e l’Europa evitando che le prime siano schiacciate dal peso di Bruxelles; lo Stato italiano può impedire che tutto il potere finisca nelle mani del centro politico europeo, la qual cosa produrrebbe gli stessi guai creati dallo Stato post-unitario.

Questa è la moderna e insostituibile funzione dell’Italia unita oggi, a maggior ragione se l’Italia sarà forgiata da quelle formidabili radici che l’hanno segnata così da oltre 2.000 anni.

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