Mercoledì, 04 Dicembre 2024


-



.

 

 

 

Seguimi su Facebook e Twitter

Verbale della seduta del 18/07/ 2013 della II Commissione Giustizia della Camera relativa al ddl sull’omofobia

 

 

 

Alessandro PAGANO (PdL) dichiara di dare per scontato che il Parlamento non andrà in ferie senza aver prima approvato la legge cosiddetta antiomofobia. Ciò perché lunedì prossimo il provvedimento verrà votato in Commissione e subito dopo – probabilmente la settimana successiva – ci sarà l’approvazione dell’Aula.


Osserva come finora nessuno dal Palazzo abbia espresso serie riserve verso la nuova normativa – anzi, il testo base prossimo a essere votato viene dalla unificazione di tre proposte di legge, una delle quali del Pdl, primo firmatario il capogruppo Brunetta –, è da immaginare un iter rapido anche al Senato. È giusto così: che cosa mai saranno quisquilie come incentivi seri allo sviluppo, la sorte dell’Imu o dell’aumento dell’Iva, o le emergenze sociali e di ordine pubblico per le quali non si hanno strumenti adeguati ? È tutto secondario ! La priorità del momento è annientare le discriminazioni omofobe: è questione di civiltà. Esattamente come la legalizzazione dell’incesto, divenuta operativa col decreto legislativo varato dal Governo nei giorni scorsi (esercitando una delega votata con legge dal precedente Parlamento nel novembre 2012) è stata presentata come la fine della differenza tra figli di serie A e figli di serie B.

Ritiene che si debba provare ad uscire dagli slogan e guardare che cosa dice la legge che sta per passare: in modo automatico essa estende la «legge Mancino» del 1993 alle «discriminazioni motivate all’orientamento sessuale o dall’identità di genere della vittima ».  La «legge Mancino», a sua volta, punisce con la reclusione fino a un anno e mezzo chi « propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico » o istiga in tale direzione, e con la reclusione fino a quattro anni chi istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi.

La stessa legge vieta ogni associazione che fra i propri scopi abbia quelli appena indicati: per chi ne fa parte la reclusione è fino a quattro anni; per chi le promuove fino a sei anni. Il tutto accompagnato da una serie di previsioni sul sequestro e sulla confisca dei mezzi adoperati per compiere tali attività. Il testo in esame estende queste disposizioni, come si è detto, alle   « discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere della vittima ».

Si domanda dunque quale sarà l’area di applicazione della nuova disciplina. È lecito domandarselo non solo per curiosità accademica (che pure non manca: uno dei cardini del diritto penale è la precisione della norma incriminatrice e qui si va molto sul generico), ma anche per capire come si può evitare una imputazione, per es., di propaganda di discriminazione che abbia questa motivazione.

Il testo unificato qualche aiuto lo fornisce, attraverso la definizione delle espressioni che introduce nel sistema penale; all’articolo 1 chiarisce che « orientamento sessuale » è « l’attrazione nei confronti dello stesso sesso, di sesso opposto, o di entrambi i sessi », e che invece « identità di genere » è « la percezione che una persona ha di sé come appartenente al genere femminile o maschile, anche se opposto al proprio sesso biologico ».

Appare chiaro che si archivia un sistema fondato, per senso di realtà e per garanzia, su dati oggettivi. Diventano penalmente rilevanti, con conseguenze non lievi, viste le sanzioni in discussione, due elementi, entrambi soggettivi e transitori:

la « percezione di sé » quanto al genere, « anche se opposto al proprio sesso biologico » e « l’attrazione » verso il proprio o l’altro o entrambi i sessi. Curiosità soddisfatta? Teme di no. Poiché il diritto vive se concretamente applicato, immagina qualche ricaduta delle nuove disposizioni su casi specifici.

Esempio n.1. Il parroco organizza il corso di preparazione al matrimonio.

Spiega che la famiglia è quella fondata sull’unione permanente fra un uomo e una donna, che non è immaginabile altro tipo di unione, e aggiunge che non sta bene assecondare « l’attrazione » verso persone dello stesso sesso, o anche di altro sesso se si tratta di persona diversa dalla propria moglie, e infine che non funziona nemmeno la versione bisex. Di più, aggrava la situazione quando, a domanda di un nubendo se ciò di cui parla è materia di peccato, risponde che gli « atti impuri contro natura » costituiscono uno dei quattro peccati che « gridano vendetta al cospetto di Dio » (copyright: Catechismo della Chiesa cattolica). A Rocco Buttiglione una decina d’anni fa una affermazione di questo tipo costò l’incarico di commissario europeo; al nostro parroco, con la nuova legge, può costare un po’ di carcere. Qualcuno mette la firma perché a nessun p.m. venga in mente una bella incriminazione di « propaganda » fondata su « discriminazione » per « orientamento sessuale » ?

Esempio n. 2. Il docente di psicologia insegna ai suoi allievi che « la percezione che una persona ha di sé » come appartenente a un genere « opposto al proprio sesso biologico » è qualcosa da affrontare con equilibrio e delicatezza, sapendo che provoca non poco disagio a chi la vive. Ma può essere positivamente risolta, superando situazioni difficili, come in più d’un caso è accaduto. Chi assicura che quel docente potrebbe continuare a tenere lezione, e non trasferirsi, anche lui, in un luogo più ristretto, nel quale riflettere con maggior tempo a disposizione ?

Esempio n. 3. Riguarda chi sta salendo e chi pubblica considerazioni come quelle che sta tentando di illustrare. Lascia alla fantasia di chi legge arricchire la casistica.

Attenzione: l’articolo 4 del testo Scalfarotto- Brunetta-Fiano (sono i primi firmatari delle proposte originarie) si preoccupa saggiamente, dopo il profilo della repressione, di quello della rieducazione.

A chi viene condannato per i fatti prima indicati viene inflitta pure una sanzione accessoria: quella di « prestare un’attività non retribuita a favore della collettività per finalità sociali » per un periodo fra tre mesi e un anno. Tra tali attività, è prescritto che vi sia pure « lo svolgimento di lavoro (...) a favore delle associazioni a tutela delle persone omosessuali ». Dunque, per il parroco del corso prematrimoniale, per il docente di psicologia e per chi parla, chiuse le porte del carcere, si aprirebbero quelle di lavoro « obbligatorio e gratuito » in un centro di rieducazione.

Questa legge, dunaue, non è contro la religione ma è contro la libertà e la ragionevolezza.

La Commissione ha adottato il testo base del provvedimento contro l’omofobia e la transfobia, testo che andrà all’esame dell’Aula il prossimo 26 luglio. In previsione di tale importante passaggio parlamentare, i Giuristi per la Vita – insieme a La Nuova Bussola Quotidiana – lanciano un appello per fermare questa iniziativa legislativa, che rischia seriamente di avere gravi ripercussioni sui diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dalla nostra Costituzione, tra cui il diritto alla libertà di pensiero (articolo 21), alla libertà religiosa (articolo 19), principio di tassatività (articolo 25) e principio di uguaglianza (articolo 3).

Si sofferma quindi ad illustrare i profili di incostituzionalità del provvedimento in esame, come evidenziati ed argomentati dal professor Mauro Ronco, Ordinario di diritto penale presso l’Università di Padova.

L’introduzione nell’ordinamento di nuove fattispecie che sanzionino penalmente le discriminazioni o l’istigazione a discriminazioni per motivi inerenti all’orientamento sessuale va contro il principio, condiviso dalla quasi totalità della dottrina, del « diritto penale minimo » e del diritto penale come « extrema ratio ».

Un razionale dispiegamento della sanzione penale, onerosa per la società, per il sistema giudiziario e per i cittadini, nonché scarsamente efficace sul piano pratico a cagione della notevole complessità del procedimento postulato per la comminazione e l’esecuzione della pena, importa che il legislatore si attenga a un costante self restrainement, che lo trattenga dal minacciare la sanzione quando essa non sia assolutamente indispensabile per la tutela di beni giuridici di importanza essenziale per la pacifica convivenza sociale.

La discriminazione è un concetto di assai vasta latitudine, che consiste, a tenore della normativa internazionale (cfr. per esempio Direttiva 2000/78/CE dell’Unione Europea del 27 novembre 2000), in un qualsiasi comportamento che sfocia in un trattamento di una persona in guisa meno favorevole di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra persona in una situazione analoga. A questo concetto di discriminazione, detta « diretta », va giustapposta una nozione di discriminazione « indiretta », che si verifica allorché una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di svantaggio determinate persone rispetto ad altre. Alla stregua di questo latissimo concetto di discriminazione è chiaro quanto immenso spazio sia guadagnato a favore dell’intervento della sanzione penale, se dovesse integrare reato qualsiasi discriminazione o istigazione alla discriminazione per motivo di orientamento sessuale. Solo per esemplificare, la madre che cercasse di persuadere la figlia di non sposare una persona che manifesti un orientamento « bisessuale », rappresentandole i rischi per la formazione di un nucleo familiare stabile, potrebbe essere responsabile del reato di istigazione alla discriminazione per motivo di orientamento sessuale.

Allo stesso modo il padre che rifiutasse di affittare al figlio un appartamento di sua proprietà per la ragione che quest’ultimo intenderebbe utilizzarlo per la convivenza con una persona dello stesso sesso – ove fosse provato che il medesimo genitore sarebbe disponibile ad affittarlo se il figlio fosse intenzionato a convivere con una donna –, potrebbe essere responsabile del reato di discriminazione per motivo di orientamento sessuale.

Tali aberranti conseguenze, come tante altre dello stesso genere, limiterebbero in modo inaccettabile sia la libertà di espressione del pensiero sia la libertà e l’autonomia delle persone nell’esercizio dei propri diritti e nella regolazione dei propri interessi, con violazione dei diritti fondamentali di libertà statuiti soprattutto dagli artt. 21 e 30 della Costituzione. Né può trascurarsi la possibile violazione degli artt. 18 e 19 della Costituzione, con riferimento alla libertà di associarsi e alla libertà di professare la propria fede religiosa, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, con il solo limite del buon costume. Invero, (1) se qualsiasi indicazione espressiva di un giudizio critico, sul piano scientifico, etico ed educativo, di determinati orientamenti sessuali;

(2) se qualsiasi dottrina religiosa, che sostenesse la contrarietà al diritto naturale degli orientamenti sessuali, diversi da quello eterosessuale;

(3) se qualsiasi espressione educativa, che si ponesse sullo stesso solco concettuale; se tutte queste forme espressive e i comportamenti pratici conseguenti fossero sottoposti a rischio di sanzione penale, grandemente offese sarebbero la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di educazione, la libertà religiosa, la libertà di associazione.

Se poi si giustapponesse, come fanno i testi dei progetti di legge oggetto di esame, al motivo dell’orientamento sessuale il motivo dell’ « identità di genere », con tutte le manifestazioni contestative dell’identità sessuale dell’uomo e della donna, come maschio e femmina, che sono conosciute nella letteratura dei gender studies, soprattutto nel movimento queer, e che sono praticate in alcuni gruppi umani, si giungerebbe al paradosso che sarebbe impossibile la critica nei confronti del discorso negazionista della alterità sessuale, nonché nei confronti di alcuni comportamenti sessuali, ancora oggi annoverati tra le parafilie, come, per esempio, il sadismo e il masochismo.

Le discriminazioni ingiuste per ragioni di orientamento sessuale trovano la loro sanzione nel ripristino della situazione della giusta uguaglianza, attraverso una tutela giurisdizionale che assicuri la parità di trattamento, senza alcuna necessità di minacciare la sanzione penale.

La previsione dei reati di discriminazione per motivi di orientamento sessuale violerebbe anche, per la sua assoluta genericità e indeterminatezza, il principio di legalità e di tassatività del precetto penale, statuito all’articolo 25 comma 2 della Costituzione.

Il precetto penale è determinato quando sia caratterizzato dalla pregnanza rispetto a un fenomeno sociale determinato e circoscritto, del cui disvalore la grandissima parte dei cittadini sia consapevole.

Il precetto non è dotato di questo carattere quando l’oggetto evocato dalla norma non abbia contorni precisi, tanto che la stessa possa trovare applicazione in situazioni tra loro molto diverse. Prevedere delitti di discriminazione significa assumere come oggetto di norme penali situazioni diversissime tra loro. Tutta la vita dell’uomo, tutte le sue scelte sono scelte di qualcosa piuttosto che di qualcosa d’altro; scelte di qualcuno al posto di qualcun altro; scelte di un fine piuttosto che di un altro. In queste scelte, spesso consce, ma talora anche inconsce, agiscono pulsioni che sono radicate nella profondità dell’anima. Prevedere la sanzione penale per ogni caso di discriminazione significherebbe proiettare la minaccia dell’intervento coattivo dello Stato su ogni scelta dell’uomo che dia corso a tendenze o a  pulsioni corrispondenti all’autonomia personale.

La previsione come delitto della discriminazione per motivi di orientamento sessuale viene fatta comunemente rientrare tra i delitti definiti di « odio » e, per questa via, viene vista come il complemento dei delitti di « odio » per motivi etnici, razziali o religiosi. Dalla assimilazione sorge il rilievo critico secondo cui chi contrasterebbe concettualmente la riforma sarebbe necessariamente in contrasto con il diritto vigente, che prevede, appunto, delitti di « odio » per motivi etnici, razziali o religiosi.

Osserva in via generale che la previsione dei delitti di « odio » rischia di sovvertire il principio del « diritto penale del fatto », che contraddistingue la nostra civiltà giuridica ed è imposto dagli artt. 25 comma 2 e 27 comma 3 della Costituzione, poiché centrerebbe il diritto penale sul dato etico e intimo concernente la motivazione « riprovevole » della persona.

L’odio, peraltro, è una tra le passioni che compongono naturalmente la psicologia umana, che fanno da tramite e assicurano il legame tra la vita sensibile e la vita morale della persona. Il timore del male causa l’odio, l’avversione e lo spavento del male futuro. L’odio, pertanto, come ogni emozione o sentimento, in sé stesso non è né buono né cattivo, ma riceve la sua qualificazione morale dall’oggetto cui si riferisce. È moralmente malvagio quel sentimento di odio, che, una volta volontariamente accettato dal soggetto, conduca a una azione moralmente cattiva.

Intanto, dunque, è punibile una espressione di «odio», in quanto conduca a una azione moralmente cattiva. Alla luce di queste essenziali precisazioni, ci si rende conto di quanto rischiosa, per la garanzia della libertà dei cittadini, sia la previsione dei delitti di « odio », che implicano necessariamente uno scandaglio approfondito in ordine ai moventi intimi, talora inconsci, che stanno alla base delle azioni umane.

L’accoglimento da parte dell’ordinamento di tipologie delittuose così intensamente centrate sui moventi intimi dell’azione implicherebbe una eticizzazione incongrua ed eccessiva del diritto penale. Al riguardo si noti che molti delitti sono espressione di « odio » contro la persona. Si pensi tra tutti all’omicidio, che spesso trova la sua origine in tale movente. Eppure tale movente non è previsto in alcun ordinamento come elemento aggravatore del fatto.

I delitti previsti dalla cosiddetta legge Mancino, che sanzionano la « Discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi » costituiscono, pertanto, una eccezione nel corpo del« diritto penale del fatto », che trovano giustificazione, per un verso, nella pregnanza concettuale, legata a ragioni storiche ben precise, delle discriminazioni di tipo etnico o razziale o religioso e, per un altro verso, nella connotazione violenta che tendono ad assumere, nella esperienza concreta, le azioni discriminatorie compiute per tali motivi.

Invero, per quanto la violenza non sia ripetuta nella descrizione analitica delle fattispecie, tale concetto costituisce il criterio interpretativo essenziale della punibilità di tali condotte, come risulta dalla stessa rubrica della norma, che menziona la violenza in modo espresso. L’estensione delle norme « Mancino » alle discriminazioni per motivi di orientamento sessuale o, addirittura, a non bene definiti motivi di « identità di genere » costituirebbe segnale inequivoco della tracimazione inaccettabile dal solco del « diritto penale del fatto » a un « diritto penale dell’atteggiamento interiore ».

Oltre alla violazione del principio di tassatività per incertezza sull’oggetto effettivamente tutelato (principio di tassatività come pregnanza della norma rispetto all’esperienza dell’uomo comune), le disposizioni progettate rischiano di violare il principio di tassatività anche sotto il profilo della idoneità descrittiva della proposizione normativa. I concetti di « orientamento sessuale » e di « identità di genere» non hanno precisione descrittiva tale da delimitare chiaramente l’ambito dell’intervento punitivo.

È stata proposta anche l’introduzione di una aggravante consistente nell’ «aver commesso il fatto per finalità di discriminazione per motivi inerenti all’orientamento sessuale o all’identità di genere della persona offesa dal reato».

Si impongono anzitutto due rilievi di carattere tecnico. La collocazione dell’aggravante all’articolo 61 comma 1, 11 ter definirebbe l’aggravante come «comune».

A questa stregua non si giustifica la limitazione del giudizio di bilanciamento ai sensi dell’articolo 69, prevista espressamente al comma 2 dell’articolo 1 della proposta di testo unificato di legge. Il secondo rilievo è più grave. Il contenuto della circostanza è ripreso dalla legge Mancino (articolo 3). Ne differisce però in modo significativo. Mentre la legge Mancino individua l’aggravante alternativamente nella «finalità di discriminazione» o di « odio », l’aggravante proposta recita « per finalità di discriminazione per motivi inerenti... ». In questo modo si è voluto togliere il riferimento al movente e incentrare l’aggravante sul finalismo di dolo specifico. Con ciò si è costruita una norma Giovedì 18 luglio 2013 — 48 — Commissione II senza oggetto, giacché la ragione ragionevole di una aggravante potrebbe stare soltanto nella riprovevolezza del movente e non nel finalismo specifico. Già l’esperienza giudiziaria della legge Mancino rivela che i casi venuti all’attenzione riguardano proprio la qualificazione del movente e non del finalismo specifico della condotta. Incentrare l’aggravante su quest’ultimo aspetto significa compiere cosa contraddittoria. Invero, un reato, per esempio di minaccia, di ingiuria, di lesione, di percossa, concretizza una offesa al bene giuridico personale ben più grave di una semplice « discriminazione », nel senso di « differenza di trattamento ». Una offesa integrante un delitto realizza già una discriminazione gravemente ingiusta e, pertanto, non può essere aggravata da una finalità di discriminazione, perché l’offesa alla persona, in quanto distruttiva di un bene personale, assorbe il finalismo discriminatorio, essendo essa stessa una discriminazione. In realtà si è descritto con finalismo di dolo specifico il movente per cui sarebbe commesso il reato. Circa la previsione di una aggravante incentrata sull’ «odio» valgono gli stessi rilievi svolti in precedenza al punto 7. Ma v’è di più. L’odio come passione che costituisce movente del delitto non è mai stato preso in considerazione come circostanza aggravante sia perché il diritto rifiuta di valutare elementi che, in quanto tali, rilevano soltanto sul piano etico interiore, sia perché è processualmente impossibile stabilire con una prova certa il movente dell’odio. Procedere nel senso proposto implica il rischio che ogni reato commesso nei riguardi di una persona orientata sessualmente sulla linea dell’orientamento sessuale che si vuole specificamente proteggere o con una identità di genere diversa dalla identità del sesso morfologico non si dimentichi che le previsioni in oggetto nascono espressamente per dare attuazione alla Risoluzione 2006/18 volta a colpire, anche penalmente, la cosiddetta « omofobia » (Risoluzione del Parlamento europeo sull’omofobia in Europa) sia punito con un aggravamento di pena che, addirittura, impedirebbe di dare rilevanza in termini di prevalenza od equivalenza ad eventuali circostanze attenuanti. Il che si riverbererebbe in una giustificata protezione più intensa, con evidente violazione del principio di uguaglianza, di determinati fatti rispetto ad altri, pure originati da moventi di odio. Peraltro, il nostro ordinamento conosce già una circostanza aggravante, comune e ad effetto comune, consistente nei «motivi abietti». Tale aggravante, che può ricomprendere agevolmente quelle situazioni in cui la condotta sia stata realizzata allo scopo di offendere, per via dell’orientamento sessuale, la dignità ineliminabile di ogni persona umana, è ben più specificamente connotata che non il generico movente di « odio », come insegna la giurisprudenza in una esperienza ormai quasi secolare. La proposta dell’aggravante in esame porrebbe inoltre problemi difficilmente risolubili di concorso apparente o effettivo con la circostanza dei «motivi abietti».

La previsione dell’aggravante rivela allora tutta il suo contenuto simbolico, ispirato a prospettive di promozionalità di «valori» che si radicherebbero, fondamentalmente, nel negazionismo di ogni differenza morfologica di tipo sessuale. Che una fattispecie, sia pure di tipo soltanto aggravatore, imperniata sulla nozione di « odio », sia assolutamente indeterminata, è confermato dalla maggiore prudenza con cui si è mosso il legislatore francese, il quale, alla luce dell’evidente carenza di tassatività di un delitto legato a ragioni di orientamento sessuale, ha imperniato (legge n. 2004/204 del 9 marzo 2004) la circostanza aggravante per i delitti commessi « ... à raison de l’orientation sexuelle de la victime » su elementi di fatto ben precisi, alla stregua della seguente enunciazione: « La circostance aggravante définie au premier alinéa est constituée lorsque l’infraction est précédée, accompagnée ou suivie de propos, écrits, utilisation d’images ou d’objets ou actes de toute nature portant atteinte à l’honneur ou à la considération de la victime ou d’un groupe de personnes dont fait partie la victime à raison de leur orientation sexuelle vraie ou supposée».

Cerca nel sito

Appuntamenti

Mese precedente Dicembre 2024 Prossimo mese
L M M G V S D
week 48 1
week 49 2 3 4 5 6 7 8
week 50 9 10 11 12 13 14 15
week 51 16 17 18 19 20 21 22
week 52 23 24 25 26 27 28 29
week 1 30 31
Nessun evento

Social Network

diventa Amico di Alessandro Pagano su Facebook diventa supporter di Alessandro Pagano su Facebook Alessandro Pagano su You Tube Alessandro Pagano su Flickr Alessandro Pagano su Twitter