Proposta di Legge "Riforma rateazione debiti tributari "di iniziativa degli Onorevoli Filippo Busin, Alessandro Pagano e altri.
Venerdì 04 Ottobre 2013 10:41
Onorevoli Deputati!
Il recupero dei crediti fiscali è tra gli obiettivi prioritari per ogni Stato civile che si definisca tale. Tuttavia, le modalità con le quali questi vengono perseguiti mai possono portare all’utilizzo di meccanismi oppressivi e vessatori, che determinano effetti opposti a quelli desiderati, sia in termini economici che nel rapporto fisco-contribuente, e che non portano rigore, ma solo discredito.
Consapevoli della difficile congiuntura economica che sta interessando questo Paese e della rilevanza anche sociale che la situazione sopra descritta va assumendo, è quanto mai necessario farsi interprete del crescente disagio dei contribuenti per l’impiego massiccio delle cosiddette «ganasce fiscali» e più in generale, per un utilizzo eccessivo della strumentazione normativa e tecnica, a disposizione per riscuotere i crediti fiscali.
Sono palesi, e ogni giorno confutabili, le difficoltà che incontrano oggi le aziende, in una crisi così grave, a pagare le rate e le penali assurde nelle fattispecie che la presente proposta di legge chiede di modificare.
Ed in effetti, non sono mancati, anche in questi ultimi mesi, provvedimenti legislativi finalizzati a rendere le procedure di riscossione adottate dal concessionario più flessibili e meno gravose per i contribuenti. Tuttavia, appare evidente come nel nostro ordinamento non sia più rinvenibile una disciplina unitaria della rateazione delle somme dovute al fisco. Convivono oggi, nel nostro sistema fiscale, tre tipologie di dilazione di pagamento. La prima, avente ad oggetto le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo o di affidamento dei carichi all’Agente della riscossione nei confronti dei contribuenti a cui siano stati notificati accertamenti esecutivi (art. 29 d.l. 31 maggio 2010, n. 78), trova la sua disciplina nell’art. 19 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, il quale statuisce, al comma 1, che «l’agente della riscossione, su richiesta del contribuente, può concedere nell’ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di settantadue rate mensili». Su tale disposizione è intervenuto l’art. 52 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (il c.d. decreto del fare), prevedendo, per quel che riguarda il numero di rate, che, qualora ricorrano le condizioni ivi indicate, la dilazione di pagamento può essere estesa fino a 120 rate.
Una seconda, invece, avente ad oggetto le comunicazioni di irregolarità (anche dette avvisi bonari) inviate ai contribuenti a seguito della liquidazione delle dichiarazione (art. 36 bis del d.p.r. n. 600 del 1973, ai fini delle imposte dirette, e art. 54 bis del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, ai fini dell’Iva) o dei controlli formali di cui all’art. 36 ter del d.p.r. n. 600 del 1973, è regolamentata dall’art. 3 bis del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, il quale dispone, al comma 1, che «le somme dovute ai sensi dell'articolo 2, comma 2, e dell'articolo 3, comma 1, possono essere versate in un numero massimo di sei rate trimestrali di pari importo, ovvero, se superiori a cinquemila euro, in un numero massimo di venti rate trimestrali di pari importo».
L’ultima si riferisce infine alle rateizzazioni conseguenti:
- all’adesione ai processi verbali di constatazione (art. 5 bis del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218):
- all’adesione agli inviti a comparire previsti dall’art. 5 del d.lgs. n. 218 del 1997 (art. 5, co. 1, bis del menzionato decreto);
- alla definizione degli accertamenti nel procedimento di accertamento con adesione (art. 8, co. 2, del d.lgs. n. 218 del 1997);
- alle somme dovute a seguito di conciliazione giudiziale (art. 48 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546);
- alle somme dovute in caso di omessa impugnazione dell’avviso di accertamento o di liquidazione (art. 15 del d.lgs. n. 218 del 1997).
Con riferimento a quest’ultima fattispecie, è il caso di ricordare che l’art. 8, co. 2, del d.lgs. n. 218 del 1997, che si applica anche all’adesione ai p.v.c./inviti a comparire e all’omessa impugnazione, per effetto dei rinvii operati, rispettivamente, dagli artt. 5 bis, 5, co. 1 ter e 15, co. 2, del d.lgs. n. 218 del 1997, stabilisce che «le somme dovute possono essere versate anche ratealmente in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo o in un massimo di dodici rate trimestrali se le somme dovute superano euro 51.645,69. L’importo della prima rata è versato entro il termine indicato dal comma 1. Sull’importo delle rate successive sono dovuti gli interessi al saggio legale, calcolati dalla data di perfezionamento dell’atto di adesione». L’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992 detta analoga regola per la conciliazione, stabilendo, al comma 2, che «il processo verbale [redatto in occasione dell’udienza] costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto in un’unica soluzione ovvero in forma rateale, in un massimo di otto rate trimestrali di pari importo, ovvero in un massimo di dodici rate trimestrali se le somme dovute superano i 50.000 euro».
Vi sono tuttavia delle differenze tra le diverse forme di rateazione sotto i profili del diritto ad accedere al beneficio, del periodo di rateazione, della decadenza dal beneficio e delle sanzioni connesse al mancato rispetto del piano.
Innanzitutto, non si può non segnalare che, mentre nella seconda e nella terza forma di rateazione, la dilazione del pagamento non è sottoposta a condizione alcuna, nella prima il beneficio è subordinato alla sussistenza di una comprovata e temporanea situazione di difficoltà ad adempiere. Nel primo caso, quindi, è l’Agente della riscossione a decidere in merito alla concessione della rateazione, nel secondo e nel terzo l’Amministrazione non può in alcun modo opporsi alla decisione del contribuente di pagare a rate.
A fare da contraltare al riconoscimento di un vero e proprio diritto alla rateazione sta il minor numero di rate di cui il contribuente può al massimo usufruire, 12 trimestrali, e quindi tre anni, contro 72 mensili, e quindi sei anni.
È pur vero, il massimo della dilazione a fronte di cartelle di pagamento o di carichi da accertamenti esecutivi è solo teorico, potendo essere acquisito solo previa valutazione di Equitalia, che deve negare qualsivoglia rateazione nel caso in cui non sussista una situazione di difficoltà obiettiva che sia anche temporanea.
È altresì vero, tuttavia, che la rigidità del meccanismo previsto per le rateizzazioni diverse da quelle gestite da Equitalia (la prima fattispecie) può dare origine a situazioni palesemente discriminatorie: sebbene a chi aderisca ad un verbale/invito o raggiunga un accordo con il fisco in sede preprocessuale o processuale non possa essere negata la dilazione, è fuori di dubbio che, a fronte di situazioni di temporanea ed obiettiva difficoltà che gli rendano difficile rispettare il piano commisurato al numero di rate massimo previsto dalla legge, costui si vede negare dal sistema una rateazione più lunga, che invece gli sarebbe riconosciuta a fronte di una richiesta avanzata a seguito di iscrizione a ruolo e conseguente notificazione della cartella di pagamento.
Né si dica che il mancato rispetto del piano di rateazione da parte di chi si trovi nella situazione descritta dà comunque origine all’iscrizione a ruolo, con conseguente possibilità di accedere al meccanismo che, per le ragioni suesposte, si rivela, in presenza di situazioni di obiettiva e temporanea difficoltà, più favorevole.
Ed infatti, tale passaggio non è «indolore», atteso che l’art. 8, co. 3 bis (applicabile alle definizioni in accertamento con adesione e, per effetto dell’art. 15, co. 2, del d.lgs. n. 218 del 1997, ai pagamenti in acquiescenza), e l’art. 48, co. 3 bis, del d.lgs. n. 546 del 1992 per le somme dovute a seguito di conciliazione, stabiliscono che «in caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio dell’Agenzia delle entrate provvede all’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, applicata in misura doppia, sul residuo importo dovuto a titolo di tributo».
In definitiva, in caso di mancato pagamento di una rata delle somme dovute a seguito di accordo con il fisco (o di acquiescenza) entro la scadenza della rata successiva, non solo si perde il beneficio della rateazione, ma ci si vede irrogare una sanzione pari al 60 per cento del tributo che ancora non è stato pagato, con effetti che, in taluni casi possono definitivamente compromettere la sopravvivenza dell’impresa.
Da segnalare, oltretutto, che, per gli istituti dell’adesione ai verbali (art. 5 bis del d.lgs. n. 218 del 1997) e degli inviti a comparire (art. 5, co. 1 bis, del medesimo decreto), non dovrebbe trovare applicazione l’abnorme sanzione del 60 per cento, atteso che le norme citate rinviano all’art. 8 del d.lgs. n. 218 del 1997 esclusivamente per quel che riguarda i termini e le modalità del versamento rateale. Per quel che riguarda l’acquiescenza, invece, l’art. 15, co. 2, del d.lgs. n. 218 del 1997 rinvia esplicitamente alla norma sanzionatoria, e cioè a dire all’art. 8, co. 3 bis, del pluricitato decreto.
Accade quindi che se si aderisce ad un p.v.c./invito a comparire, non si deve temere la sproporzionata sanzione del 60 per cento delle somme che ancora debbono essere versate a titolo di tributo, a differenza di quel che invece accade per l’acquiescenza all’accertamento, per la definizione in accertamento con adesione, per la chiusura in conciliazione.
Appare dunque evidente che l’istituto della rateazione delle somme dovute al fisco meriterebbe un radicale ripensamento.
Le evidenziate differenze non sembrano infatti sufficientemente supportate dal punto di vista logico-giuridico, generando non giustificabili discriminazioni, con conseguenti dubbi in merito al rispetto dell’articolo 3 della Costituzione. E ciò non solo per quel che riguarda la già ricordata discrasia connessa alla sanzione del 60 per cento. Ed infatti, per quale ragione chi non versa una sola rata, seppur entro la scadenza della rata successiva, deve perdere il diritto alla rateazione vedendosi irrogare una sanzione del 60 per cento sul tributo non ancora versato, mentre, per chi rateizza gli avvisi bonari, si prevede sì che il mancato pagamento di una rata implica decadenza dal beneficio (l’art. 3 bis, co. 4, del d.lgs. n. 462 del 1997 stabilisce che «il mancato pagamento della prima rata entro il termine di cui al comma 3, ovvero anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta la decadenza dalla rateazione e l'importo dovuto per imposte, interessi e sanzioni in misura piena, dedotto quanto versato, è iscritto a ruolo»), senza però che si stabilisca analoga sanzione?
Cosa giustifica il diverso trattamento per coloro che rateizzano i carichi di ruolo ai sensi dell’art. 19 del d.p.r. n. 602 del 1973, il quale prevede, a seguito del varo del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (il c.d. decreto «del fare»), che «in caso di mancato pagamento nel corso del periodo di otto rate, anche non consecutive: a) il debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione; b) l’intero importo iscritto a ruolo ancora dovuto è immediatamente ed automaticamente riscuotibile in un’unica soluzione; c) il carico non può più essere rateizzato»?
In definitiva, risulta che :
- se si rateizza a seguito di adesione a p.v.c./inviti a comparire, definizioni in accertamento con adesione e conciliazioni e, fatto salvo il pagamento della prima, non si paga una sola rata entro il termine di scadenza della successiva, si decade dal beneficio e ci si vede irrogare una sanzione pari al 60 per cento del tributo che resta ancora da versare;
- se si rateizzano le somme richieste con avviso bonario, si decade, allo stesso modo, in caso di mancato pagamento di una sola rata entro il termine del versamento della rata successiva, ma ci si vede irrogare una sanzione pari al 30 per cento della sola rata non versata;
- se si rateizzano i carichi di ruolo, si decade solo se non si versano otto rate anche non consecutive e non ci si vede irrogare alcuna sanzione per il mancato pagamento della rate.
Si tratta di differenze irragionevoli, che si aggiungono a quanto già detto in merito al numero delle rate, numero che, a determinate condizioni, previste dall’art. 19, co. 1 quinquies, introdotto dall’art. 52, co. 1, lett. a), n. 1, del d.l. n. 69 del 2013, può salire da 72 a 120.
Ma non è tutto. Mentre per gli avvisi bonari i termini sono più lunghi, potendo arrivare per le comunicazioni di importo superiore a 5.000 euro a 20 rate trimestrali, per i pagamenti che conseguono all’adesione a p.v.c., all’invito a comparire o dagli accordi raggiunti in sede di accertamento con adesione o conciliazione giudiziale, la rateazione massima si attesta sulle 12 rate trimestrali, a partire, peraltro, da euro 51.645,69 per le prime tre fattispecie, da euro 50.000,00 per la quarta (anche questa piccola differenza è del tutto irragionevole). La rateazione breve, oltretutto, si differenzia non solo per gli importi (da 5.000 euro in su per gli avvisi bonari, da 51.645,69/50.000,00 per le altre fattispecie), ma anche per il numero delle rate (sei trimestrali nel primo caso, 8 trimestrali nel secondo).
Appare, da ultimo, di notevole interesse, evidenziare due ultimi aspetti. La rateazione è generalmente ottenibile a fronte di tutte le pretese avanzate dal fisco, tranne che per gli avvisi di liquidazione in materia di imposta di registro. Si tratta di atti (si pensi a titolo esemplificativo al disconoscimento dell’agevolazione prima casa che non sono normalmente preceduti da processi verbali di constatazione, a fronte dei quali gli uffici non inviano inviti a comparire e che non consentono di instaurare il procedimento di accertamento con adesione. Di Fatto, quindi, non sono nemmeno disciplinati dall’art. 15 del d.lgs. n. 218 del 1997, norma laddove viene disciplinata l’acquiescenza degli atti a fronte dei quali può essere instaurata la procedura dell’accertamento con adesione. Si tratta, anche qui, di penalizzazione del tutto irragionevole.
Da ultimo le somme che il contribuente ha diritto di pagare al fine di definire in misura agevolata le sanzioni, ai sensi e per gli effetti dell’art. 16, co. 3, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, il quale statuisce che «entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, il trasgressore e gli obbligati in solido possono definire la controversia con il pagamento di una sanzione pari ad un terzo della sanzione indicata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo …» (ripreso, peraltro, pedissequamente, dal successivo art. 17, co. 3, del medesimo decreto). Non si prevede alcuna forma di rateazione, anche qui, a noi pare, senza alcuna valida ragione.
Stante la situazione sopra descritta, l’intervento di riforma qui proposto, tutto ciò premesso, si ispira ai seguenti criteri direttivi.
In primo luogo, va mantenuta la differenza tra la rateazione dei carichi di ruolo, giustamente gestita da Equitalia e collegata alla valutazione di situazioni di obiettiva e temporanea difficoltà ad adempiere, e la rateazione delle somme, gestita dall’Agenzia delle Entrate, che il contribuente decida di pagare al fisco in una fase precedente alla riscossione. Corretto, in questa prospettiva, è collegare il beneficio alla obiettiva e temporanea situazione di difficoltà da valutarsi da parte dell’Agente della riscossione nel primo caso, a meccanismi automatici previsti dalla legge nei secondi.
In questa prospettiva, ovviamente, va eliminata ogni differenza la seconda e la terza fattispecie, e cioè a dire tra rateazione conseguente all’utilizzo di istituti deflattivi del contenzioso (adesione ai p.v.c., adesione inviti a comparire, accertamento con adesione, conciliazione giudiziale, acquiescenza) e rateazione delle somme chieste con avviso bonario.
In secondo luogo, va diminuito il divario tra numero delle rate ottenibili da Equitalia sui carichi di ruolo e numero delle rate che la legge individua come massimo per le altre forme di rateazione. Ad oggi, è possibile che nel primo caso le somme siano dilazionate in dieci anni, nel secondo in un massimo di tre (cinque se le somme sono richieste con avviso bonario).
In terzo luogo, va completamente riscritta la disciplina sanzionatoria. La penalità del 60 per cento del tributo che rimane da pagare genera notevolissime perplessità dal lato costituzionale, non solo per la discriminazione che essa introduce rispetto a fattispecie del tutto analoghe (si pensi al caso degli avvisi bonari, alla rateazione dei carichi di ruolo, ma anche alla situazione di chi scientemente non paga le imposte, vedendosi irrogare la sanzione del 30 per cento, peraltro riducibile al 10 per cento ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 462 del 1997), ma anche perché è intrinsecamente irragionevole che la sanzione per un determinato inadempimento, il mancato pagamento di una rata, sia commisurata non alla rata stessa, ma a quello che ancora resta da pagare.
Infine, va consentita la rateazione anche per gli avvisi di liquidazione in materia di imposta di registro, non essendovi alcuna valida ragione che escluda tali atti impositivi dal beneficio, e per il pagamento in misura agevolata delle sanzioni ai sensi degli artt. 16, co. 3, e 17, co. 3, del d.lgs. n. 472 del 1997.
La proposta di Legge che si presenta, si compone di otto articoli tutti, ad eccezione dell’ultimo, che intervengono su normative vigenti al fine di rivedere le medesime così da perseguire le finalità sopra esposte. Il primo di questi, dilata i tempi della rateazione per acquiescenza, adesione ai p.v.c., adesione agli inviti a comparire, accertamento con adesione. Il secondo articolo, invece, dispone come, nel caso di conciliazione, il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto in un’unica soluzione ovvero in forma rateale in un massimo di dodici rate trimestrali di pari importo, o in un massimo di ventiquattro rate trimestrali qualora le somme dovute superano i 50.000 euro.
Gli articoli 3 e 4 stabiliscono come venga soppressa l’abnorme sanzione del 60 per cento sulle somme non ancora versate a titolo di tributo e mantenuta una sanzione, pari al 30 per cento della rata non versata, oltre al principio secondo il quale il mancato pagamento di una rata entro la scadenza della rata successiva determina decadenza del beneficio. Tale più rigorosa disciplina si spiega in ragione del fatto che l’accesso alla rateazione non è subordinato a nessun tipo di condizione. Lo stesso articolato dispone ora come la rimodulazione della sanzione può consentire il «passaggio» alla rateazione dei carichi di ruolo senza effetti sproporzionati, tali, in determinate situazioni, da mettere a rischio la sopravvivenza stessa dell’impresa.
Il quinto articolo ridefinisce invece il numero massimo di versamenti delle rate, equiparando così la disciplina della rateazione delle somme dovute in caso di acquiescenza, adesione al p.v.c., adesione all’invito a comparire, accertamento con adesione, conciliazione giudiziale e quella della rateazione delle somme richieste con avviso bonario.
L’articolo 6, invece, rivede anche la normativa in materia di rateazione degli avvisi di liquidazione in materia di registro, unico atto questo per cui ogni forma di rateazione è, ad oggi, assurdamente preclusa. Il settimo articolo stabilisce come entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, il trasgressore e gli obbligati in solido possono definire la controversia con il pagamento di un importo pari ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo, e che la definizione agevolata impedisce l’irrogazione delle sanzioni accessorie. Le somme dovute per la definizione possono essere versate anche ratealmente in un massimo di dodici rate trimestrali di pari importo o in un massimo di ventiquattro rate trimestrali se le somme dovute superano euro 50.000,00. L’articolo, inoltre, consente di rateizzare anche le somme versate in sede di definizione delle sanzioni, possibilità questa ad oggi preclusa.
L’ottavo ed ultimo articolo, infine, stabilisce come la presente proposta di legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.