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Intervento in Commissione Giustizia su #processocivile. 30 Ottobre 2014

 

 

 

 

 

Alessandro PAGANO (NCD) preliminarmente sottolinea come il provvedimento in esame, salvo che in alcuni punti, non sembri assolutamente rispondere ai presupposti di necessità ed urgenza richiesti dalla Costituzione.


Per quanto al Senato vi sia stato un dibattito che ha portato a delle mediazioni politiche su alcune questione, ritiene importante che la Commissione giustizia della Camera ed il Governo riflettano su alcune disposizioni che hanno una vera e propria portata storica, così come quelle relative alla separazione ed al divorzio previste dagli articoli 6 e 12 del decreto legge. A tale proposito, osserva come, negli ultimi decenni, la famiglia in Italia non abbia vissuto momenti felici quanto a trattamento normativo o amministrativo. Ritiene che il bombardamento sistematico al quale si sta sottoponendo la famiglia da qualche mese sul piano della legislazione, dell'azione di governo, della giurisprudenza e degli atti degli enti territoriali non abbia precedenti. Ogni giorno, invece di provare a riparare le crepe e i crolli che hanno interessato l'edificio, si picconano le poche stanze rimaste in piedi e in grado di ospitare qualcuno. L'ultima picconata è stata la scorsa settimana dal Senato, che ha approvato – anche in questo caso con Pag. 23voto di fiducia – la legge di conversione di un decreto legge al cui interno, col pretesto di snellire i carichi giudiziari, le due disposizioni sopra richiamate privatizzano la crisi del matrimonio e quindi indirettamente privatizzano lo stesso. Trovandoci dunque fin da ora di fronte a quello che molto probabilmente sarà il testo definitivo, ritiene opportuno spendere qualche parola sul merito, sul metodo e sulle prospettive.

  Quanto al merito, le norme votate con la fiducia prevedono per separazione e divorzio, nel caso in cui i coniugi concordino sulle condizioni dell'una e dell'altra, due strade alternative: secondo la prima separazione e divorzio sono definite davanti ad almeno un avvocato per parte. Rispetto alla versione originaria, che si accontentava di un solo avvocato per entrambi, è un passo in avanti formale più che sostanziale, poiché, se tale previsione punta a tutelare la parte debole, quest'ultima difficilmente si potrà permettere un avvocato o comunque un avvocato capace. Nella procedura che si è seguita finora, il presidente del Tribunale aveva proprio la funzione di tutelare la parte debole, anche non difesa o difesa in modo inadeguato. Se i coniugi non hanno figli o hanno figli maggiorenni il verbale redatto dagli avvocati viene poi trasmesso al pubblico ministero per il «nulla osta»; non si precisa entro quali termini deve avvenire la trasmissione né entro quali termini il p.m. deve esprimersi, né che cosa accade se non si esprime: si può immaginare che l'esplicito rifiuto del nulla osta faccia redigere un nuovo verbale con clausole differenti. Se i coniugi hanno figli minori o figli maggiorenni disabili, il verbale viene trasmesso al p.m.: qui si precisa il termine, 10 giorni, anche se non si dice che cosa accade se il termine viene sforato. Il p.m. «autorizza» l'accordo se lo valuta conforme all'interesse dei figli; diversamente, lo invia nei cinque giorni successivi al presidente del Tribunale, che entro un mese fa comparire le parti davanti a sé. Il meccanismo, oltre a essere contorto, conferisce al p.m. un ruolo incoerente con la sua ordinaria funzione: per un verso gli viene chiesto un vaglio «da giudice», per altro verso gli si impongono atti – il nulla osta, l'autorizzazione – che hanno natura amministrativa. È certo che gli viene attribuita una competenza che finora gli era estranea. Altrettanto certo è che egli dovrebbe valutare questioni di notevole delicatezza – l'interesse dei minori o dei disabili – sulla base di una carta, senza aver vagliato la situazione in concreto e di persona. Delle due l'una: o, non avendo elementi diretti di cognizione, si limiterà a siglare un nulla osta e quindi il potere che gli viene conferito è solo nominale, in quanto varrà solo l'accordo raggiunto dagli avvocati e l'effetto-privatizzazione trionferà; o attiverà le procedure di rifiuto del nulla osta o della trasmissione al giudice. Non ritiene ci sia alcuno snellimento visto che il tutto si traduce in un iter più complicato di quello attuale.

  La seconda strada è quella della comparizione dei coniugi al comune, secondo quanto previsto dall'articolo 12. Nella versione originaria essi andavano all'ufficiale di stato civile, adesso si prevede che incontrino il sindaco: affinché l'accordo abbia efficacia la presentazione al sindaco deve avvenire due volte, con trenta giorni liberi in mezzo. Questa modifica, come quella – prima descritta – del passaggio dal p.m., ripristinerebbe il carattere pubblicistico di separazione e divorzio. Ora, è vero che il sindaco di Roma celebra di persona matrimoni fra persone dello stesso sesso, ma forse non è un parametro di riferimento, anche perché per separazione e divorzio i coniugi continuano a essere di sesso differente. Nelle città di una certa dimensione – e pure in quelle piccole – i sindaci non trascorreranno le giornate a ricevere coniugi che si separano o divorziano; delegheranno a un ufficio del Comune: che non potrà non essere quello dello stato civile. Si chiede che cosa cambi rispetto alla prima versione ?

  Quanto al metodo, la sequenza rappresentata da un cattivo decreto legge, seguito da una legge di conversione peggiorativa, poi dal voto di fiducia e dalla mera ratifica dell'altro ramo del Parlamento, sia diventata una prassi del Governo sui temi Pag. 24eticamente sensibili. Sottolinea come quella sequenza sia stata seguita in materia di droga e ora per separazione e divorzio.

@alepaganotwit

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